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Nel nome del padre, ma soprattutto nel segno della famiglia. Il 10 dicembre 2024 ha rappresentato una data storica per la cantina Arpepe, un’occasione di celebrazione e memoria per i fratelli Isabella, Emanuele e Guido Pelizzatti Perego. Un evento unico, tenutosi presso l’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo in provincia di Cuneo, dedicato al ricordo del fondatore Arturo Pelizzatti Perego, scomparso esattamente vent’anni fa, e a Paolo Camozzi, classe ‘84 vice curatore della guida Slow Wine, mancato prematuramente quest’anno. In tanti hanno risposto presente alla chiamata della famiglia Pelizzatti, non solo per celebrare un grandissimo i quarant’anni di un vino tra i top player dell’enologia valtellinese e italiana, ma per celebrare una storia di famiglia e di amicizia.

La famiglia Pelizzatti Perego con il team di Slow Wine

VALTELLINA IN VERTICALE Con Arpepe si è parlato tanto del loro vino simbolo, etichetta iconica che ha scritto la storia dell’enologia valtellinese moderna, ma sotto i riflettori c’è stato anche tanto spazio per il territorio e di Valtellina. La verticale di Sassella Riserva Rocce Rosse con quattordici annate in un vero viaggio nel tempo, ripercorrendo la storia della cantina dal 1984, anno della sua rinascita, fino alle più recenti innovazioni. Ogni annata è una tappa del percorso di una famiglia che ha saputo superare difficoltà e conquistando un posto di rilievo nel panorama enologico italiano. Una degustazione totale, all’olandese, visto che quattordici erano le annate in mescita, come il numero sulla casacca del grande Johan Cruyff, per un paragone calcistico per nulla azzardato.

CADUTA E RINASCITA La storia della cantina Arpepe inizia con Arturo Pelizzatti Perego che, dopo la vendita del marchio familiare “Pelizzatti” a una multinazionale svizzera del wine&food nel 1973 per una serie di vicissitudini familiari, operazione che si rivelerà disastrosa, decide di ripartire dai vigneti di famiglia. Vinifica inizialmente a Scarpatetti, nel cuore di Sondrio, compiendo il primo passo di una lunga e appassionata ricostruzione. Nel suo discorso, la signora Giovanna Massera, moglie di Arturo e madre dei fratelli Pelizzatti Perego, ha ricordato con emozione i tempi difficili in cui i vini di Arpepe erano lontani dal mercato di massa, ma grazie alla visione e alla tenacia del marito, oggi sono ambasciatori della Valtellina in Italia e nel mondo, grazie alla cura maniacale con cui coltivano 15 ettari, di cuoi circa 9,5 nella Sassella, 4,5 in Inferno e 1 nel Grumello.

RICORDO DOPPIO Una giornata di celebrazione dove c’è stato un omaggio a due uomini, Arturo e Paolo, accomunati dalla stessa passione per il vino, storie che intrecciano ricordi e destino. Non ho incontrato personalmente Arturo Pelizzatti Perego, ma grazie ai suoi vini e ai ricordi dei figli, oggi potrei dire di conoscerlo. Ho avuto qualche contatto con Paolo Camozzi, conservo quel suo messaggio in cui mi ringraziava per un articolo sulla degustazione Slow Wine, raccomandandomi con educazione e precisione, che i vini valtellinesi in guida erano di più, segnale di una passione per la Valtellina che trascende i confini e le generazioni.

1984

Prima di iniziare, ci si chiedeva fra i partecipanti come sarebbe stato l’ordine di servizio. Si parte dal vino più vecchio, per arrivare all’ultima annata messa in commercio. L’annata 1984 rappresenta l’inizio di questa avventura, le bottiglie non sarebbero state disponibili per questo tasting storico se alcuni anni fa la signora Giovanna Massera non ne avrebbe ricomprate una sessantina, fingendosi una cliente. Se all’inizio si faceva fatica a venderli questi vini come raccontato dalla mamma dei ragazzi di Arpepe, la prima a credere nel marito, il 1984 dopo quarant’anni è arrivato ai giorni nostri in forma strepitosa, con una freschezza e una bevibilità di un ragazzino. Davvero impressionante, alla fine personalmente sarà tra quelli che ho apprezzato di più.

1990

Si passa alla ’90, la prima vinificata nella cantina ipogea scavata nella roccia sotto al Castel Grumello, riacquistata con sacrifici e sudore, etichetta che in una degustazione con altri vini mise in difficoltà anche il mitico Barolo Monfortino e permise l’incontro con Christoph Künzli, all’epoca importatore svizzero che apprezzò questo stile, il patron di Le Piane nella zona di Boca, che sul palco ha ricordato l’incontro con Arturo.

1995

Anche qui scorrono i ricordi di Isabella, di quando prendeva ferie dalla Cinzano per andare ad aiutare il papà a Vinitaly, fu proprio alla fine di uno dei giorni in fiera a Verona che fece assaggiare questa annata ai giornalisti Marco Gatti e Paolo Massobrio, che con una recensione regalò l’ultima gioia ad Arturino con un articolo su La Stampa.

1996

L’ultimo imbottigliamento di Arturo Pelizzatti Perego, che con un’impostazione definita da “ancien régime”, non si piegava alle mode e all’utilizzo di botti come la barrique, ma con il suo cru che usciva solo quando le condizioni erano ideali.

1997

Questa annata rappresenta un giro di boa, con la produzione vinicola in mano ai figli che trovano la propria cifra stilistica. Nel bicchiere del tasting di Pollenzo è il calice che personalmente ho apprezzato meno, che forse riflette le ansie e le paure di un futuro che allora poteva sembrare incerto, un po’ scomposto al naso e senza quella bevibilità che contraddistingue un marchio di fabbrica, con sensazioni più chinate ed eteree.

1999

Annata classica in Valtellina, il ’99 per Arpepe segna un’altra tappa da ricordare, con la nascita dell’etichetta “Ultimi Raggi”, un Valtellina Superiore realizzato con l’appassimento in pianta e una vendemmia tardiva. Il Rocce Rosse invece conferma la sua consueta armonia nel bicchiere con un naso balsamico con sfumature pepate e una bella profondità di beva, con una nota piccante in bocca.

2001

Vini che parlano del nuovo corso del millennio, nel millesimo del 2001 si sente in bocca più tannino e freschezza, per una stagione in cui la raccolta è stata effettuata nell’ultima decade di ottobre, un vino dove in bocca si sente di più il tannino, insieme a grassezza e polpa, segnale di un liquido ancora vivissimo nel calice.

2002

E’ il turno dell’annata 2002, che se nel resto d’Italia non ha dato grandi risultati, in Valtellina è stata senza dubbio un’ottima vendemmia come dimostrano in casa Arpepe, un’annata mitica e storica in cui l’autunno, il periodo di massima capitalizzazione per il nebbiolo, in valle è stato davvero magico, consentendo una raccolta in condizioni ottimali. Iniziano a sentirsi le prime avvisaglie di quel riscaldamento climatico che saranno un costante negli anni 2000, naso con sentori di frutta più intensa, in bocca il sorso è lungo e persistente, grande equilibrio e armonia per un vino che conquista anche i palati americani a cui piace lo stile e l’eleganza di questi vini che non sono muscolari, ma agili e vibranti.

2005

La prima vendemmia da grandi senza il supporto del papà in vendemmia, in cui i ragazzi di Arpepe sono cresciuti dieci anni in un colpo solo. “Ma state tranquilli, se l’uva è buona sarà un grande vino”. Un’annata in cui Emanuele e il suo team inizia a razionalizzare alcuni passaggi per una raccolta in cassetta in cui vengono eliminati una serie di passaggi per portare direttamente l’uva così in cantina. Si preserva il frutto e il risultato si vede nel calice, naso più carnoso e intenso, in bocca il tannino è setoso e ben levigato, un vino di classe grazie anche alle vinificazioni effettuato in grandi tini tronco-conici da 50 hl.

2007

Annata che rappresenta uno spartiacque, dalle vinificazioni in tini tronco-conici in cantina, all’acclamazione della critica con il premio di miglior vino rosso dell’anno assegnato assegnato dal Gambero Rosso, che come raccontato da Giacomo Mojoli, che l’Arturino lo conosceva bene, era uno a cui piaceva parlare di tutto men che meno del suo vino ma di tutt’altro. Un 2007 con cui personalmente ho un legame speciale, perché la scorsa estate per dare l’ultimo saluto al mio di papà che mi raccontava di quando Arturo vinificava in Scarpatetti, ho scelto di aprire un Rocce Rosse per accompagnare un pizzocchero cucinato a casa con la mia famiglia.

2009

Ci si approccia ad affinamenti ancora più lunghi, traguardando i cinque anni di permanenza in botte grande. Un uso sapiente del legno con l’utilizzo delle botti di castagno, un materiale che è stato riscoperto da Arpepe, ben bilanciate da un uso sapiente dell’ossigeno che regala al vino più concentrazione, in questo millesimo dal profilo classico con un profilo equilibrato ed armonioso.

2013

Nella cantina di via del Buon Consiglio si continuano a sperimentare le lunghe macerazioni, una tecnica possibile grazie alla sanità delle uve e una cantina ammodernata con un impianto di geotermia all’avanguardia e l’inizio della tappatura senza sughero abbracciando la filosofia di Nomacorc. Quella che all’inizio poteva sembrare una scommessa diventa una mossa vincente, sistemando il dosaggio di anidride solforosa queste bottiglie non temono più errori in fase di apertura.

2016

Oltre cento giorni di macerazioni, ci si diverte e si va oltre i limiti. Annata prontissima, naso etereo ampio e complesso, grandissima profondità il sorso in bocca con una lunga persistenza e croccantezza, per un sorso vibrante e teso. Un vino dal futuro luminoso, con sensazioni iodiate che regalano grande pulizia in bocca.

2018

L’ultima annata in commercio, stagione calda, gradazione che unica nella batteria di degustazione sorpassa i 14 gradi di alcol. Naso che profuma di petali di rosa e di violetta, frutto ancora giovane ma già pronto, una 2018 aspettata con ansia e trepidazione visto che è l’anno di nascita del mio piccolo Edoardo. In cantina un paio di bottiglie a stoccare le ho messe e fra qualche anno a mio figlio racconterò di quel giorno a Pollenzo quando avevo assaggiato il Rocce Rosse 2018, di come era un vino dalle belle speranze che in futuro sarebbe diventato un grande rosso maturo.

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