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“Una follia, un’assurdità. Tutti gli amministratori e i politici dovrebbero alzare la voce e tutelare gli interessi del vino italiano”. Sono le parole di Giovanni Busi, presidente del Consorzio toscano del Vino Chianti, per commentare lo spettrale scenario che si profila per il mercato del vino italiano nei prossimi cinque anni: nel periodo 2018-2023, i produttori europei non potranno godere dei finanziamenti per farsi pubblicità nei Paesi dove già hanno fatto promozione negli ultimi cinque anni.

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Il panorama è dei più cupi: l’Italia rimarrebbe a secco, privata dei fondi dell’Organizzazione Comune Mercato (OCM), stando alla denuncia dei Consorzi dopo  il bando per la promozione all’estero finanziato con soldi dell’Unione Europea. Un autentico macigno per un sistema di mercato che raccoglie sotto il proprio ombrello 310mila imprese agricole e 46mila aziende vinificatrici. Nel 2017 l’Italia si è classificata prima per produzione (42.5 milioni di ettolitri) e seconda per esportazione dietro la Francia (6 miliardi di euro).

Come la stessa Unione Europea spiega, le OCM sono “state create nel contesto iniziale della politica agricola comune (PAC) per gestire la produzione e il commercio della maggior parte del settore agricolo dell’UE”. Le regole delle OCM sono state modificate negli ultimi dieci anni, fino ad arrivare alla situazione attuale che vede “una rete di sicurezza per i mercati agricoli attraverso l’utilizzo di strumenti di sostegno al mercato, misure eccezionali e regimi di aiuto per alcuni settori, in particolare frutta, verdura e vino”.

Le OCM vino elargiscono quindi finanziamenti e contributi, che vengono gestiti dal ministero per le Politiche Agricole e dagli assessorati per l’agricoltura delle Regioni, con svariate sfaccettature: il bando OCM vino “Paesi Terzi” permette di finanziare con un contributo a fondo perduto, che va dal 50% all’80%, tutti i costi da sostenere per promuovere i prodotti fuori dall’UE (le spese per la partecipazione alle fiere, le degustazioni nei ristoranti, le campagne pubblicitarie, l’incoming di potenziali clienti). Il bando è quindi uno strumento per sostenere e incentivare l’export del vino, alleggerendo le aziende dai costi necessari, con un limite di spesa per ogni azienda pari al 20% del fatturato dell’anno precedente.

Chiaramente è il ministero che disciplina le modalità attuative della promozione sui mercati dei Paesi terzi. All’articolo 10 del decreto del 10 luglio 2017 individua i criteri di priorità per i progetti ammissibili al finanziamento, tra cui: “Il progetto è rivolto ad un nuovo Paese terzo e a un nuovo mercato del Paese terzo, ovvero dove il soggetto proponente nel corso della programmazione 2014-2018 non ha realizzato azioni di promozione con il contributo comunitario”.

La Spagna ha richiesto all’UE di interpretare questa norma, non allo scopo di classificare le procedure, bensì per escluderle. La pubblicazione da parte del Ministero del prossimo bando OCM vino sancirebbe la nuova situazione, che si tradurrebbe per l’appunto in un veto di proporzioni gigantesche ai danni dei produttori vinicoli del Belpaese. Stati Uniti e Cina, ad esempio,  sono poli di visibilità e vendita di importanza estrema per il vino italiano, e non poter pubblicizzarsi in terre di tale fertilità sarebbe un danno incalcolabile.  Ancora Busi: “Non essere presenti nei mercati importanti ed emergenti nei prossimi anni significa perdere la possibilità di consolidare la presenza del made in Italy in aree dove ci stiamo affermando. Ci sarebbero conseguenza drammatiche per l’intero sistema finanziario italiano”.

Al momento c’è comunque una fase di stallo: il decreto era atteso per metà aprile (prima del Vinitaly), ma è ancora in attesa di azioni del ministro ad interim Gentiloni. Tutto questo peraltro cade durante uno dei periodi di massimo fulgore dell’export del mercato vinicolo italiano: nel 2017 le vendite all’estero hanno toccato il record storico di 6 miliardi (+6% sul 2016) con una ripresa anche delle esportazioni a volume, attestate a 21,5 milioni di ettolitri. Il comparto ha un fatturato di 13 miliardi e vale il 15% delle esportazioni agroalimentari italiane, che nel 2017 hanno superato i 41 miliardi. Lo scorso anno l’Italia è stato il primo esportatore in volume in USA, Germania, Regno Unito, Svizzera e Canada e in valore verso Germania, Russia e Svizzera.

Un posto di assoluto rilievo nel gotha del mercato europeo e mondiale, che però rischia di vedersi compromesso a meno di azioni decise ad opera di un governo ancora avvolto nella nebbia. Busi e il suo consorzio hanno lanciato l’allarme. Adesso è il momento di raccoglierlo.

Fonte: Business Insider

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