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L’Italia ha la fortuna di poter contare su alcuni vitigni autoctoni che l’enologia internazionale ci invidia e il Nebbiolo è senza dubbio uno di questi. Eppure la sua notorietà è emersa solo poco più di una ventina di anni fa, quando il mondo si è innamorato del Barolo.

 

 

Ancora oggi buona parte del prestigio di questa cultivar poggia sulla Langa, sull’Albese e i loro vini. Per scoprire qualcosa in più su questo straordinario vitigno, ecco una lista di cinque cose che forse ancora non sapete sul Nebbiolo:

1. Perché si chiama così?

Esistono due diverse teorie sull’origine del nome ed entrambe coinvolgono la nebbia. Seconda la prima, il motivo è da ricercare nella pruina, una sostanza cerosa che ricopre gli acini e che ha una funzione protettrice molto importante, difendendo l’acino dal freddo, dall’eccessiva disidratazione e dall’attacco di agenti patogeni. Nel caso del Nebbiolo, questa sostanza è talmente abbondante da far sembrare gli acini quasi annebbiati.

La seconda teoria, molto meno tecnica, tocca soprattutto la sfera poetica e chiama in causa la nebbia che avvolge frequentemente i territori del Nebbiolo in autunno nel periodo della vendemmia.

 

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2. In passato i vini a base Nebbiolo erano dolci

Quello che pochi sanno è che fino alla metà del ’800, i vini prodotti nella zona del Barolo e del Barbaresco, erano piuttosto rosa nel colore e, soprattutto, dolci al gusto. In realtà finché non sono stati svelati tutti i segreti della vinificazione e, in particolare, della fermentazione alcolica, i rossi dalla forte intensità cromatica che si conoscono oggi, erano frutto del caso più che della volontà dell’uomo. Inoltre il vino nero e aspro era il vino della plebe, mentre i nobili bevevano prodotti meno colorati e più delicati alla vista.

La storia e il successo del Pinot Noir e del Nebbiolo ha molti punti comuni. Questi vitigni, infatti, regalano vini piuttosto chiari a causa di una buccia naturalmente poco ricca di antociani (le sostanze coloranti dell’uva) e questo, quindi, ha garantito una grande successo presso la borghesia e la nobiltà del tempo. Tuttavia le conoscenze scientifiche non erano tali da assicurare che il mosto diventasse sempre secco e così a causa della fine o della ripresa della fermentazione, i vini abboccati o addirittura dolci e, qualche volta, anche frizzanti erano la regola.

Quindi prima dell’interesse della Casa Savoia nei confronti del Nebbiolo e, in particolare, del Nebbiolo di Barolo, quest’ultimo era un rosato abboccato e leggermente mosso. Solo con l’avvento di tecnici formati alla scuola francese, come Staglieno e Oudart, il Barolo è diventato il vino secco e austero che conosciamo oggi.

 

3. Stesso vitigno tanti nomi diversi

Una storia così antica, abbinata ad una così lunga presenza sul territorio, oltre ad aumentare il numero delle cultivar legate al Nebbiolo da successivi incroci spontanei, ne ha moltiplicato i sinonimi veri ed errati, che variano secondo il luogo. Così è diventato Chiavennasca in Valtellina (dalla cittadina di Chiavenna e dalla Val Chiavenna dove era molto diffuso) e Spanna nelle province di Vercelli e Novara, Picotendro o Picotener (dal picciolo o peduncolo tenero) in Val d’Aosta e nella zona di Ivrea mentre, in Val d’Ossola, lo conoscono come Prunent (anche qui probabilmente da pruina).

Al contrario lo Chatus, chiamato anche Nebbiolo di Dronero, non ha alcuna parentela con il Nebbiolo e il Nibiò o Nibièu dei Tortonese è in realtà un clone di Dolcetto.

 

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4. L’enorme potenziale…ancora non del tutto espresso

Ciò che è sicuro è che si tratta di un vitigno unico e di grande successo, che però è ancora da considerare raro, soprattutto se paragoniamo la sua estensione a quella di Merlot o Cabernet Sauvignon. Malgrado l’indubbio gradimento di pubblico, ricopre oggi una superficie vitata totale di circa 6 mila ettari di cui più di 5500 in Italia. Viene allora spontaneo chiedersi perché non si sia creata intorno a lui una moda che potesse farlo diventare uno dei vitigni più popolari a livello internazionale.

Credo che la risposta sia duplice.

Da una parte è circondato da una nomea, almeno in parte ingiusta, che lo vuole austero e tannico e quindi destinato ad un élite di conoscitori e poco adatto, invece, al largo pubblico. In realtà usando tecniche di vinificazione più moderne questo “brutto anatroccolo” può diventare un bel cigno. Con l’aumento di sensibilità e di cultura dei consumatori scommetterei su una sua crescita repentina, in quanto, al momento il suo successo è legato a determinati paesi (Stati Uniti in primis).

Dall’altra parte, presentarlo, come abbiamo fatto in passato, da un punto di vista viticolo come una cultivar difficile e gelosa, legata strettamente a determinate condizioni pedoclimatiche, ha contribuito ad aumentare lo spavento creatosi intorno. Così oltre ai consumatori che lo avvicinano con grande timore, anche gli agronomi e gli enologi lo guardano con sospetto misto a diffidenza e scetticismo.

 

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5. Un vitigno due categorie di vini eccezionali

Quando si pensa al Nebbiolo vengono subito in mente due grandi vini da invecchiamento: il Barolo e il Barbaresco. In realtà uno dei più grandi pregi di questo vitigno è la sua poliedricità, che gli permette di esprimersi, con la stessa grandezza, sia nella categoria dei vini in grado di conservarsi e migliorare, dopo un lungo affinamento in bottiglia, sia in quella dei vini da bere in gioventù.
Nel primo caso avremo vini che si caratterizzano per complessità e finezza olfattiva abbinate ad un’austera pienezza gustativa, che li rendono vini con pochi rivali da temere al mondo.

Rientrano in questa categoria oltre al Barolo e al Barbaresco anche Sforzato di Valtellina, Gattinara, Ghemme, Boca, Bramaterra e Carema. Trattandosi però di Nebbiolo e di territori molto variegati, una classificazione schematica non è facile infatti, tante denominazioni possono rientrare in una categoria o nell’altra solo in base al cru o al produttore.
Nel secondo caso, invece, avremo vini dove l’immediatezza e la golosità del frutto fanno dimenticare l’aspetto più severo del tannino e vengono sprigionati nell’immediato sentori fruttati di lampone e fragola e quelli floreali della viola, regalando al vino un’invidiabile freschezza gustativa.

Ovviamente la presenza e l’intensità delle caratteristiche appena descritte sono piuttosto graduali e si va quindi dalla forza tranquilla ed elegante dei Lessona, Sizzano, Fara, Roero, al diletto puro fornito dai Langhe Nebbiolo d’annata. Nelle denominazioni come Coste della Sesia Nebbiolo, Colline Novaresi Nebbiolo, Nebbiolo d’Alba e Canavese Nebbiolo lo stile più o meno immediato del vino dipende dalla volontà del produttore.

A cura di Gianni Fabrizio

Fonte: drinking.partesa.it/blog/vino/5-cose-che-forse-non-sai-sul-nebbiolo

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