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Vedi Napoli e poi, generalmente, sei confuso. Perché ovunque ci si giri c’è poesia e forza, ma anche vulnerabilità e affanno. Specialmente sotto gli occhi di chi a Napoli non vive. Senza considerare le diatribe amministrative o gestionali della città, è palese la voglia di vincere la battaglia contro gli stereotipi del sole, pizza e mandolino, e non soltanto per quello che riguarda gli usi e i costumi. Anche la cultura enogastronomica partenopea, storicamente tra le più ricche e variegate del mondo e con radici che affondano in tempi antichi, ha voglia di cambiare e sperimentare nuove vie. Specialmente nel bere.

 

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E per farlo deve necessariamente affidarsi a chi Napoli la disegna e la richiama, così da esportare la nuova filosofia. Maurizio De Giovanni è da anni sulla creta dell’onda con i suoi libri, che si snodano con tratti misti tra ieri e oggi: un cantore moderno che alla pizza sostituisce una ricetta antica, e invece del vino della casa è capace di proporre una soluzione miscelata.

Sessant’anni tondi e figlio di una città di cui è innamorato genuinamente, e di cui scrive e racconta, colorando di Vesuvio e ragù le tinte prevalentemente noir delle sue opere e i suoi personaggi: dopo il trionfo sugli scaffali della saga del Commissario Ricciardi, è adesso in tv con la fiction I Bastardi di Pizzofalcone, tratta dai suoi libri. Napoli si ritrova tra le sue pagine e nelle sue idee, che si tratti di fede calcistica o declinazione di statistiche del turismo, fino ad arrivare a tavola e nel bicchiere: De Giovanni è stato recentemente invitato dai Cavalieri della Tavola Campana, un’associazione culturale-enogastronomica nata nel 2003, che si impegna per promuovere i prodotti e le attività del territorio campano in Lombardia. In occasione di un evento organizzato allo Studio Limatola Avvocati di Milano, lo scrittore è stato insignito del titolo di Cavaliere Onorario, ricevendo una targa commemorativa e una pergamena dal Presidente Alessandro Mazzone.

 

da sx: Alessandro Mazzone, Maurizio De Giovanni, Antonio Baldo

 

Una città che è una storia da raccontare, e che ha storie da raccontare, anche quando si tratta di bere: “Napoli è un calderone, un’evoluzione continua, sempre. Se Venezia e Firenze sono città monumento, per le quali basta visitare il luoghi tradizionali per esaurire la gita, qui ci sono dettagli e aneddoti in ogni angolo. Napoli, tutta, è un viaggio, soprattutto a tavola. Bere riconduce per forza di cose al vino, alla nostra tradizione, ma siamo capaci di guardare oltre. Il movimento dei cocktail e della miscelazione è nel nostro futuro, senza tralasciare le nostre abitudini storiche“. Il felice momento della mixology, con il fermento che si sposta dalla tavola al bar e dal calice al miscelato, investe le principali città d’Italia, necessariamente con tempi e ritmi diversi. Napoli, come al solito, rimane su una lunghezza d’onda che non esiste da nessun’altra parte.

 

 

Spesso per i napoletani bere qualcosa è sinonimo di rimanere all’aperto, stare in strada, grazie anche a un clima che lo permette per dieci mesi all’anno. La nuova cultura del bere comporta invece un certo ammontare di tempo speso al bancone, che sia da consumatore o da addetto ai lavori, con tutto lo studio e l’informazione che serve, ed è per questo che il movimento va un po’ meno rapidamente. Ma si sta aprendo, eccome“. Tutto grazie a un boom di attività e incontri dedicati al beverage, dall’avvicinamento al vino fino ai corsi di bartending. “I miei figli, Giovanni e Roberto, studiano da sommelier pur facendo altro nella vita“. Chissà se il Commissario Ricciardi, che tornerà a breve in libreria, avrà anche un cocktail o un’etichetta preferita.

 

Figli sommelier. Bere con qualità.

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