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Che proprio due ragazzi ordinari non siano, i fratelli Pietro e Aldo Giambenini, ci si mette poco a capirlo. Tratti somatici quasi simil-scandinavi e accento veneto marcato, avrebbero potuto fare tutt’altro nella vita: il primo creava contenuti digitali, l’altro gestiva fondi d’investimento tra Milano e Londra. Invece hanno deciso di rispondere al richiamo della sirena di casa, abbandonare le rispettive carriere e dedicarsi al terreno dei genitori: il risultato è una cantina così piccola, esuberante e di qualità, che si può solo provare per credere.
Tenuta La Cà, a singola cifra di chilometri di distanza dal Lago di Garda, sponda veneta (ovviamente): nella regione dove domina il Bardolino, i fratelli Giambenini curano quindici ettari (Corvina, Corvinone, Rondinella, Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Lagreine Petit Verdottra i rossi; Pinot Grigio e Bianco, Traminer e Garganega tra i bianchi) che in realtà custodiscono speranze, progetti e una sana dose di follia. Cresciuti ad accompagnare i genitori in vendemmia, le esperienze lavorativa hanno dato loro le armi e la preparazione per poter creare un prodotto accattivante nella costruzione e nella storia, e funzionale in ambito economico, per quanto resti ancora una scommessa da valutare. Lasciare grandi città e percorsi professionali avviati in nome di idee personali lungimiranti: al momento una formula che sta dando soddisfazione, “anche se quando Aldo controlla i conti, verifica fino al sesto numero dopo la virgola, un pignolo…”.
Il metodo lavorativo è il vero motivo per cui Tenuta La Cà si assicura l’etichetta di chicca: vendemmia esclusivamente manuale, data una logistica sicuramente agevole con meno di 600 metri tra vigna e cantina; e soprattutto il pionieristico (per la zona) metodo a caduta, che porta l’uva a subìre le influenze della gravita senza alcun ausilio di pompe meccaniche. La scienza in sostituzione della tecnologia, per esaltare al massimo le qualità della materia prima e lasciarla praticamente intatta. I vini bianchi riposano poi in botti di ceramica Clavyer–una versione moderna delle antiche anfore di terracotta–che non cedono aromi al vino e consentono di ottenere un prodotto dall’essenza purissima.I vini rossi seguono invece il processo di Vinification Intégrale, una tecnica brevettata tramite la quale ogni operazione viene effettuata in barrique, con il risultato di garantire l’espressione più piena e intensa dell’anima del frutto.
La gamma proposta è un misto di tradizione e spunti innovativi: Dritto, un Bardolino Classico che richiama il bosco seppur con note di spezie più graffianti; Chieto, un Chiaretto Classico ben morbido e avvolgente, oppure Cento, Chiaretto Brut pressoché impossibile da tenere in bicchiere, freschissimo e con una facilità di beva impressionante. Spazio al potenziale dei Giambenini poi con il Rovescio, blend di Traminer, Pinot Bianco e Pinot Grigio. Una collana di perle eleganti, nella quale si incastona un nome che al tempo stesso è prodotto di qualità eccellente e progetto di ampie vedute: Intuito 1, la prima uscita di una serie di vini unici, prodotti in poche bottiglie e mai uguali, nel blend, nel colore, nel prezzo, nel concetto. Come il nome suggerisce, Intuito 1 è nato quasi per caso, dopo aver scoperto la presenza in bottaia di due tonneau d’acacia,in cui era finita dell’uva garganega, dagli spiccati sentori minerali. L’intuizione, per l’appunto, di Aldo e Pietro è stata quella di unirla ad altre uve, per creare un blend inedito. Il profumo e di per sé un invito sensuale, con leggeri sentori di fumo e spezie; il sorso è un’emozione, cremoso, pieno, forte di note esotiche come mandorle e frutta matura. 2200 bottiglie appena in questa prima uscita, cui seguiranno regolarmente delle altre come una sorta di laboratorio sperimentale.
Se si chiede loro circa gli obiettivi da raggiungere, Pietro e Aldo potrebbero rispondere che di obiettivi in realtà non ce n’è. “Mantenere l’identità, proporre qualcosa di nuovo, rispettando il territorio e la materia prima”. Un mantra semplice e incisivo, che quasi grida chissenefrega a un mercato che inevitabilmente potrebbe creare complicanza stante la complessità delle caratteristiche dei vini di Tenuta La Cà. Ma il bello probabilmente è anche questo, altrimenti tanto valeva rimanere a Londra e Milano.
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