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Dolce come le colline che circondano e proteggono una angolo sonnacchioso di Liguria. Fragrante come l’aria che si respira passeggiando per le vie capillari di un borghetto che conta meno di trecento abitanti, nella piazza del quale si gioca ancora a palletta la domenica pomeriggio. Di carattere, come lo spirito di una famiglia che dal 1827 porta avanti una tradizione diventata piccolo impero. Il Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia ha festeggiato l’omonima santa lo scorso 5 febbraio, con la sua tipica eccellenza regionale esportata alle stelle in tutta Italia.

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4.0 – La famiglia Mela installò qui il primo frantoio, ancora custodito in un una casetta scavata, che presente orgogliosa una scritta in vernice risalente a chissà quando, con il cognome della dinastia. In principio era una struttura in gumbo (una pietra del territorio), attiva grazie alla spinta di un mulo, che richiedeva manutenzione annuale e comprensione estrema. Le olive venivano frante, trasformate in pasta e infine spremute in un torchio di ferro posto a pochi metri di distanza. Fino agli anni ’50, quando l’elettricità raggiunse anche questo scampolo di Imperia, e rese finalmente non più necessaria la forza animale. Fu il preludio del clamoroso salto tecnologico completato lo scorso maggio: un esercito di macchinari intelligenti, la spremitura quattropuntozero per raggiungere la qualità più alta possibile.

Antonio Mela con le figlie Cristiana e Serena

PRODOTTO D’ORGOGLIO – Se l’azienda è nelle mani sapienti e decise di Antonio Mela e delle figlie Serena e Cristiana, tutto il lato esecutivo è controllato da remoto, un cervellone centrale tiene d’occhio ogni componente del processo. Le olive rigorosamente taggiasche, accuratamente selezionate da più di diecimila alberi, viaggiano tra nastri scorrevoli e scanner termici firmati dall’azienda Clemente di Matera, che le vagliano analizzandone calibro, peso e pulizia, per conservare il senso estetico che rimane punto di forza del Frantoio di Sant’Agata d’Oneglia. L’intera lavorazione avviene entro le prime ventiquattro ore dalla coltura, per preservare l’essenza intima delle olive, che passano sotto lo sguardo amorevole e severo di Antonio Mela: quanto più si ritarda il processo, tanto più i polifenoli e gli ossidanti intervengono sul prodotto, minandone la resa.  Parte della lavorazione, soprattutto per quel che riguarda la selezione, rimane manuale, e con la coltivazione a terrazzamento e la certificazione bio si completa un pacchetto sostenibile e specchio della dedizione di generazioni.

I prodotti del Frantoio Sant’Agata d’Oneglia

TRA LE STELLE – Il risultato è qualità in più forme: da sempre la produzione dell’olio è stata accompagnata dalla lavorazione di olive da tavola, in salamoia, denocciolate e oggi anche candite, che si traducono in una gamma di enorme duttilità per le cucine più importanti, oltre che per gli eventi mondani di rilievo, come il Festival di Sanremo al quale è stata dedicata un’edizione dell’olio Musicale. A dimostrazione, il pranzo a sei mani organizzato per il giorno di Sant’Agata, curato da tre nomi di grido dei fornelli nostrani: Eugenio Boer del ristorante Bu:r, Luigi Taglienti del Lume e Gian Piero Vivalda del Antica Corona Reale, con l’higlight finale delle leggendarie frittelle di mela di Giuseppina Beglia del ristorante Balzi Rossi. Quattro interpretazioni diverse di un prodotto che non ha tempo né fatica, piuttosto una storia senza fine celebrata da una famiglia appassionata.

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