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Ispirato al terroir? “Une ouverture” del tempo? Nulla di tutto ciò.
È l’ accesso al gusto della siciliana Vincenza Folgheretti.
Trapiantata in Toscana, i suoi vini rappresentano un compimento dopo un lungo periodo – potremmo dire – d’introspezione.
Dopo innumerevoli consulenze in lungo e in largo per lo Stivale, il desiderio di realizzare qualcosa per se stessa l’ha spinta, nel 2016, a vestire i panni non di consulente ma di produttrice. Per farlo, affitta le prime parcelle di vigna in Maremma (Gavorrano e a Donoratico) dalle ottime potenzialità, insieme a Massimo Casagrande, lungo la costa toscana. L’obiettivo comune è quello di creare sorsi emozionanti, poche bottiglie prodotte in tre ettari per lasciare il segno e creare uno spazio speciale in un cassetto della memoria e nelle cantine dei consumatori.
Ezio Bosso, un grande direttore d’orchestra che ci ha lasciato proprio in questi giorni, era solito dire che “una persona inizia a disperarsi nel fare qualcosa da lasciare agli altri quando sta bene, quando è pronto.”
Quando quella sicurezza crea solidità e non lascia altra scelta se non quella di buttarsi in qualcosa di inedito e di proprio.
I progetti seguiti da Vincenza nel tempo sono molti, da piccole cantine, a gestione familiare, a più grandi, vere e proprie magnitudo, in cui il suo approccio alla produzione è sempre stato tailor made e rivolto alle esigenze del “cliente” nel rispetto del gusto del terroir.
Una forma mentis – quella di Vincenza – realistica e concreta animata da una grande passione per il suo lavoro racchiusa nei suoi occhi grandi. Ad ogni sua nuova partenza è d’obbligo uno screening ciliare per cogliere lo spirito e i principi magici nascosti dentro ogni vino passando dalla scelta dell’impianto di un nuovo vigneto, l’affinamento in legno e l’ assemblaggio finale.
Charles R. Swindoll sosteneva che “la differenza tra qualcosa di buono e qualcosa di grande è l’attenzione ai dettagli” e Vincenza non solo li coglie, li sviluppa. Sin dal suo inizio ha capito che per esser una figura completa non bastava la sola laurea in viticoltura ed enologia (ottenuta a Pisa) e per questo ha deciso di seguire anche un Master in Economia, per sapersi industriare tra i bilanci, e uno sulla Gestione dell’Alta Qualità della Filiera Vitivinicola.
Tecnica e dinamismo dunque al servizio per le sue cantine e per sé, tutti visibili in Le Falene, il suo piccolo scrigno, un custode dei sogni che ha giù avuto piacevoli sbocchi commerciali in Italia e in Europa (Belgio, Danimarca, Inghilterra e Svizzera).
E questo simbolo scelto, la falena, come immagine grafica del suo operato non deve stupire. Simili alle farfalle, le falene sono attive anche di notte e son sempre catturate da intense sorgenti di luce. Da qualche energia in cui ricaricarsi e apprendere nuovi motivi sensoriali da riprogettare pescando dal proprio grande bagaglio esperienziale.
Dei tre vini proposti, un bianco, un rosso e un rosato, a convincere moltissimo è proprio il primo, il Toscana I.G.T 2018. Dopo un anno di affinamento tra barrique (per il 10%) e vetro, il vino a base di Vermentino e Ansonica, si presenta con un’intensificazione crescente, il corpo si sviluppa e proietta in un piano colorato puntellato di velature floreali contornate da mandorle salate. Una luce calda che spinge a pensare oltre al momento, diurno o notturno che sia. Le note balsamiche smorzano l’abbraccio al palato che risulta compatto e fresco, sempre in linea con i suoi profumi. Un gusto appena all’inizio della sua trasformazione da ricordare come l’arrivo di una falena sul palmo della mano. Cosa succede? C’è un inatteso sorriso, avvolgente e conciliante.
Bisognoso ancora di tempo, per distendere le sue fibre, è il Toscana Rosso I.G.T. 2017 Bel frutto, carisma e consistenza. La potenza è percepita ma leggera, c’è un’apertura tannica appena accennata in cui apprezzare già la definizione del frutto e l’equilibrio tra le sensazioni aromatiche del Syrah e del Cabernet Franc, le uve che compongono l’assemblaggio.
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