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La cultura non isola. L’isola di Procida si è tatuata questo slogan sulle spiagge e nei borghi, per dare l’assalto vincente al titolo di Capitale italiana della Cultura 2022, diventando la prima isola a trionfare da quando nel 2016 fu instaurato il premio. Al contrario, il gioiello del golfo di Napoli ha da sempre esportato un messaggio di accoglienza e avanguardia, con una storia millenaria di sapori e tradizioni.
Qui sostò Enea, la cui nutrice fu da lui seppellita sulla spiaggia e forse diede il nome all’isola. Fu di certo terra di conquista come Napoli e il territorio campano limitrofo: passarono Goti, Saraceni, Normanni prima delle dominazioni angioine e asburgiche. Con i Borbone, nel ‘700, l’inizio del picco di splendore, pur macchiato da deportazioni e condanne a morte per lavare l’onta della ribellione verso l’indipendenza partenopea.
Se possibile ancora più che per altre isole, Procida lega la sua anima e la sua vita al mare. Fu potenza marinara strepitosa in ambito mercantile, ingegneristico e manufatturiero: qui venivano formati e addestrati i marinai che dal ‘600 in avanti furono protagonisti dei mari europei, e realizzati scafi destinati a solcare tratte transoceaniche. Terra essenziale e colorata, che ancora oggi conserva l’aspetto di villaggio di pescatori ricchi di esperienza e sapere: in particolare la Corricella, il borgo che sbuca clamoroso appena superata la prima rientranza oltre il porto, navigando verso sud ovest, da Napoli. Un presepe di pastelli che colorano le casine squadrate, oggi come secoli fa, una fotografia che continua a impressionare chiunque decide di approdare qui: qualcuno l’avrà riconosciuta dagli screensaver dei telefoni di cinque o sei anni fa, quando i colossi della produzione utilizzarono una cartolina di questo scorcio di Procida per dimostrare la resa dei propri smartphone.
Fu ed è tutt’ora pilastro di racconti e storie, panorama per artisti, sfondo per opere. Dalle paure di Matt Damon nel Talento di Mr Ripley, all’inarrivabile e malinconico estro di Massimo Troisi nel leggendario Il Postino, Procida è la tela su cui menti visionarie hanno pennellato per emozionare e consacrarsi. Su tutte, forse, la penna di Elsa Morante, che nel 1957 fu la prima donna a vincere il Premio Strega con L’Isola di Arturo, tormentata vicenda di un ragazzino procidano alle prese con i risvolti di vita familiare e sentimentale. Alla Morante sono dedicati un premio letterario annuale e il belvedere più famoso dell’isola, che affaccia a sud est verso la terraferma, ed è lei il perno su cui si sono innestati i progetti pensati per l’anno da protagonista, con un totale di oltre 200 giorni di programmi e 40 artisti da tutto il mondo.
Capitale, quindi, anche del gusto, strettamente annodato alle materie prime e alla location geografica. Il mare è principe delle ricette tipiche: nei primi con lo spaghetto al riccio di mare, acidulo e inconfondibile, solitamente mantecato con prezzemolo e pomodoro. Oppure nei secondi, con il luvero: anche conosciuto come pesce pappagallo, può arrivare a pesare fino a 100kg, e viene preparato solitamente al sale. Carne che somiglia per consistenza al burro, ma occhio alle spine. Il limone è uno degli attori più richiesti per il teatro culinario dell’isola: la varietà tipica, coltivata a Procida da tempi irrintracciabili, arrivò ad essere così richiesto negli anni ’50 da risultare più vantaggioso della vite, che venne quindi espiantata per far spazio ai limoneti. Profumo fiabesco e colore lampante, la sua dolcezza è tale da essere utilizzato in vere e proprie insalate di limone, generalmente sorprendenti per chi si avvicina per la prima volta. Inutile dirlo, il limoncello Borbone di Procida è una poesia, come l’isola tutta.
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