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Essenziale, semplice e quindi ricchissimo. Il paradosso del nuovo Friuli da bere vive in tutta la sua immediata complessità, nella nuova linea di Cantina Puiatti, presentata a Milano in uno dei primi incontri post-ripartenza.
Un grande bianco non può voler dire esclusivamente gran qualità sensoriale. Il Friuli è bandiera di valori, convivialità e rigore, una combinazione all’apparenza contrastante, che si incastra però con vivacità e regala sensazioni di leggerezza e respiro, quelle forse necessarie in un momento storico come quello recente. Puiatti, fondata nel 1967 e da sei anni parte del portfolio di Bertani Domains, ricalca un’idea di pulizia e limpidezza, nei vini come nelle etichette, e la ripropone in una chiave moderna per avvicinarsi anche ai nuovi consumatori.
“È il Friuli come non lo avete mai visto”, per dirla con le parole di Andrea Lonardi, Chief Operating Officer di Bertani Domains. “Fare vini del genere è tutt’altro che facile, sono l’esatto specchio dei connotati di un brand esportabile. Non troppo impattanti, puliti, chiari, facili da leggere al naso, una bocca salina e intrigante che possa soddisfare sempre, anche lontano dalle tematiche di abbinamento al pasto”. Un tentativo (riuscito) di distaccarsi da “un Friuli che troppo spesso viene visto come pesante”, per valorizzare l’unicità di un ambiente identitario, come i quarantadue ettari vitati a ridosso dell’Isonzo, dove Puiatti sorge.
Mineralità (“ma salato forse è adesso il termine che fa più tendenza”) e ruvidità che incuriosiscono per un sorso in più, i tratti comuni di una gamma completamente no oak. Puiatti non usa legno per rendere quanto più fedelmente l’idea del territorio, rifiuta le grandissime lavorazioni e persegue una filosofia di pulizia e freschezza: nella semplicità, in fondo, si può trovare la maggiore complessità. Si parla quindi di lunga permanenza sulle fecce e dell’esclusivo utilizzo dell’acciaio, per proporre un vino brillante e approcciabile, forte adesso anche di una grafica diretta, senza fronzoli o segreti, e dell’assenza di complicazioni trasmessa con il tappo a vite.
Sullo stessa binario viaggia la cantina, con architettura asciutta, massimizzazione della funzionalità degli spazi e un concetto di armonia concentrica, che si distribuisce e si nota ovunque. Va da sé, tutte caratteristiche che si ritrovano nei vini: il Pinot grigio, espressione di interessante esoticità, con toni di albicocca e pesca bianca, persistente e carezzevole. La Ribolla, simbolo di semplicità e carattere forte sapientemente mescolati, con sentori di mela che vengono fuori tonici. Il Traminer, inconfondibile ma in qualche modo schietto, senza ghirigori aromatici, che parla di frutta e fiori senza promesse impossibili da mantenere. Il Sauvignon Blanc, l’emblema della progettualità con un occhio alla Nuova Zelanda, il biglietto che il Friuli può staccare per diventare regione di riferimento internazionale per la varietà: fresco, sapido, magnetico.
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