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Vera come l’aloe, ancora una volta: Vurria apre il secondo locale a Milano, nella passeggiatissima via della Moscova, dopo l’indirizzo d’esordio in via Borsieri, ormai divenuto boulevard del domani nel quartiere Isola. Location nuova, dunque, ma concetto immutato e ancora una volta spinto da autenticità e leggerezza.
L’obiettivo non è reinterpretare, perché una ricetta così storica e rappresentativa può viaggiare solo su binari propri. Piuttosto un’intuizione per rendere la pizza, se possibile, ancora più democratica e accessibile, superando il preconcetto (comunque storicamente spesso vero) di una pietanza sì infinitamente soddisfacente, ma anche di non semplice digeribilità. L’implementazione dell’aloe vera è appunto la strada che il pizzaiolo Vincenzo Lettieri percorre ogni giorno per permettere, insieme a lunga lievitazione (oltre 30 ore) e farine selezionate, di ottenere un impasto leggerissimo e propedeutico a una cottura perfetta. Si evita così di utilizzare la biga, il preparato con lievitazione propria che solitamente si aggiunge all’impasto, così da favorirne la crescita.
Non troppo alveolato, alto il giusto, croccante: il cornicione della pizza di Vurria è l’istantanea della filosofia di Lettieri e del patron Fabrizio Margarita (nomen omen se c’è n’è uno), che dichiarano i propri sentimenti per il piatto emblema della tradizione napoletana, guidandolo con esperienza verso salute e benessere. Cambia quindi un dettaglio fondamentale della struttura genetica, ma il gusto rimane intatto e autentico, per tutta l’esperienza da Vurria: già detto di una pizza estremamente godibile (menu diviso in rosse e bianche), arricchita da ingredienti eccellenti e fedeli al territorio, come i pomodorini pacchetelle usati per la montanara e la provola di Agerola, anche il resto della proposta si assesta nel quadro della sostenibilità più completa. Strepitoso l’antipasto fritto, classico partenopeo imperituro, qui rivisto con una chiave identitaria: la frittatina Nerano, con i mitici bucatini alle zucchine, vale da sola una visita (e in realtà più di una).
Anche la carta del bere segue i tracciati regionali campani, a ulteriore testimonianza dell’orgoglio territoriale giustamente sfoggiato dal team, arricchito inoltre dalla stupenda e sorridente ospitalità di Ida Gagliardi. Dalla lista vini, nella quale si evidenziano le etichette campane come l’Asprinio di Aversa e l’Ottouve, prodotto a Gragnano, alle birre artigianali di KBirr, il birrificio di Fabio Ditto, presente con le ormai note “Natavota”, “Jattura”, “Paliata” (in carta anche il Birrificio Milano). Persino i digestivi, tutti prodotti dall’Azienda Nastro d’Oro di Sorrento: Limoncello, Nurchetto (liquore alla mela annurca, tipica del territorio campano), oppure il Nocino 24, così chiamato perché prodotto nella notte tra il 23 e il 24 giugno utilizzando ventiquattro noci per ogni litro d’alcool.
Ottanta coperti totali, trenta dei quali destinati al dehor, mentre all’interno domina un’atmosfera intima ma informale, uno spazio asciutto dalle linee nette e semplici, progettato dallo studio di architettura Di Domenico & Partners di Napoli. Eccellenza, territorio e salute, quindi: una ricetta che non può che vincere, con l’ingrediente (non) segreto che la rende ancora più gradevole.
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