L’aroma del caffè piace: se da un canto è venuto primo tra gli aromi più graditi in Francia e secondo in Italia nell’ambito di una vasta ricerca eseguita qualche anno fa, dall’altro le nostre esperienze nei banchi di assaggio organizzati un po’ in tutto il mondo (siamo vicino a 50.000 test) ci confermano che il prodotto non segmenta geograficamente la popolazione. Gli Americani (e quanti utilizzano il metodo che ormai porta il loro nome) per bearsi dell’aroma del caffè se ne fanno un tazzone bollente da 200 millilitri che poi sorseggiano per un’ora. Noi abbiamo inventato un metodo che ci consente di sorseggiarne 25 millitri, senza scottarci, per avere l’aroma del caffè per un tempo anche superiore. Ma c’è di più: l’Espresso Italiano ha altre due caratteristiche che nelle ultime indagini sono in testa alle classifiche nella fornitura del piacere a livello mondiale: il corpo e la setosità-. Possiamo quindi permetterci di formulare un assioma: buona parte della popolazione mondiale è geneticamente incline all’Espresso Italiano.
Se vogliamo, nel tentativo, forse un po’ prematuro, di trasformare l’assioma in postulato, possiamo anche trovare conferme dal punto di vista commerciale: le più grandi catene del mondo hanno cercato (o cercano) di imitare l’Espresso Italiano, come del resto fanno i maggiori produttori di monodosi. Quindi, se da un canto la nostra tazzina rappresenta solamente una nicchia del mercato mondiale, dall’altro, nella forma autentica o nelle imitazioni, è decisamente in crescita.
A questo punto c’è da chiedersi cosa si può fare per agevolare questa crescita in modo che essa sia soprattutto profittevole per le aziende italiane. Tre cose:
smettere di mandare all’estero porcherie, solo per competere con il prezzo, vendendole come miscele per Espresso Italiano. Se la promessa di tre sorsi di piacere non viene mantenuta si compie un’azione criminale nei confronti del prodotto e quindi dell’intero made in Italy;
non piegare l’autenticità alle mode locali facendolo lungo e quindi senza il suo carattere originale o servendolo i bicchieri di carta o, ancora, allontanandosi dal rito di cui è portatore;
fare formazione, una formazione corretta, autorevole, disgiunta dalle logiche commerciali del mordi e fuggi. Si devono generare ambasciatori puri e motivati nell’ambito degli operatori locali, non dimenticando che nessuno meglio di loro può tradurre i nostri valori nella cultura del paese in cui operano.
Noi non abbiamo bisogno di trasformare in Espresso Italiano sette miliardi di chili di caffè, ci basta seguire con onestà la nicchia che sta crescendo spontaneamente.
Il successo che stanno avendo i nostri Espresso Italiano Trainer per il mondo ci conferma che l’interesse è altissimo. Ed è per questo che a ottobre ci sarà una nuova sessione per la formazione di questi professionisti capaci di trasmettere in modo innovativo la cultura dell’Espresso Italiano. I corsi questa volta saranno in inglese, con allievi che arriveranno in Italia da molte parti del mondo, per poi tornare nei loro paesi e cominciare a organizzare i seminari Espresso Italiano Experience, per fare scoprire a nuove popolazioni che la nostra tazzina è nel loro DNA.
A cura di Luigi Odello (Presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè)(cfr foto in occhiello)