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La cultura e la tradizione del bere e della tavola giapponese hanno un grande ambasciatore che si sta affermando in Italia: il sakè. Non solo nella miscelazione da aperitivo ma anche a pasto, è uno spirit che si sta facendo strada nel gradimento della clientela nostrana.
Siamo lontani da quelle immagini oleografiche che fino a qualche anno fa lo volevano servito in piccole tazze di ceramica fumante. Oggi, pur nell’alveo della tradizione, si è fortemente sdoganato ed è protagonista in molti ristoranti nipponici ma non solo. Il suo mood discreto e raffinato, senza essere aggressivo lo rende ideale per ogni momento, ed il grado di levigatura del chicco fa di questo prodotto derivato da una fermentazione una valida alternativa a vino e birra. E l’aumento nei consumi testimonia questo trend di crescita.
Il merito di questa rapida ascesa nelle preferenze va indubbiamente ascritto ad alcune realtà e tra queste un ruolo di primo piano a Roma va a Kohaku il pluripremiato ristorante giapponese, ubicato nel cuore di Via Veneto, che per primo ha portato l’autentica cucina e filosofia kaiseki nella Capitale. A parlarci del sakè, una autentica autorità in materia, l’imprenditrice e titolare Sabrina Bai: “Gli Italiani si stanno avvicinando al questo mondo con una nuova consapevolezza. Oggi sanno che il sakè non è un distillato ma il risultato della fermentazione del riso, dunque non è più considerato un dopo pasto ma una bevanda da poter abbinare alle diverse pietanze. L’assaggio dei diversi sakè fa scoprire la versatilità di questa bevanda adatta non solo a piatti di cucina giapponese ma anche italiana. Il sakè non ha un vero e proprio rituale, si può dire che esiste da quando esiste il Giappone e dunque viene servito come una bevanda di uso consueto. Noi lo proponiamo in alternativa al vino proprio per rendere l’esperienza gastronomica più completa. Nel momento in cui viene suggerito abbiamo anche l’opportunità di parlare di questa bevanda avvicinando il cliente alla nostra cultura. Abbiamo fortemente voluto questo locale perchè portasse un angolo di Giappone, con la sua cultura, i suoi rituali e i suoi veri sapori qui a Roma. Entrare da Kohaku significa dimenticare ciò che si pensa di sapere sulla cucina giapponese e concedersi un viaggio. Di conseguenza abbiamo una clientela curiosa della cultura nipponica. Sul territorio romano siamo senz’altro innovativi quanto a proposta perchè Kohaku è stato il primo ristorante a portare la cucina kaiseki nella sua essenza in questa città. Abbiamo cercato di esporre quanto più possibile la clientela alle radici della cultura giapponese”.
La proposta di sakè, rigorosamente in pairing con i piatti del menu, è in grado di soddisfare i palati più raffinati ed esigenti. Si può optare per un Dassai 45 Nigori il cui riso viene macinato fino al 45% della sua dimensione originale con una leggera dolcezza e aromi molto floreali. Oppure per un Nagai Tanigawadake Chokara Junmai per chi ama note più secche e taglienti.
O sempre per chi ama note floreali, il fresco e raffinato Sake gassan no yuki junmai ginjo. Gli estimatori del barricato potranno invece rivolgersi al choryo yoshino sugi no taru sake caratterizzato da un ricco sapore di abete nelle cui botti viene invecchiato.
Per chi ama l’innovazione non manca il Macho, realizzato con un grado alcolico più basso rispetto alla media, attraverso l’utilizzo di una grande quantità di koji, tre volte superiore a quella utilizzata normalmente per produrre il sake.
L’armonia del profumo fruttato e cremoso ed il sapore dolce lo rendono decisamente rinfrescante. Per i puristi, le proposte della cantina di Kubota Senju, fondata nel 1830 ad Asahi, nella città di Nagaoka, della prefettura di Niigata. Celebre per i suoi ingredienti di primissima qualità, dall’acqua delle limpide falde sotterranee al riso di alto livello prodotto attraverso continue ricerche e perfezionamenti con gli agricoltori locali.
Con Sabrina Bai emerge nel dialogo come il Far East sia sempre più ricco di stimoli sia sul piano degli spirits che del food: “In Oriente sono molte le bevande a base di fermentazione di cereali o patate dolci che possono essere accostate ai cibi così come molto vari gli Whisky giapponesi che hanno avuto riconoscimenti e sono noti alla clientela italiana. Personalmente direi che la curiosità verso la cultura Giapponese e Cinese mi fa ben sperare”.
L’imprenditrice non si sottrae anche ad un’opinione sull’evoluzione della cucina orientale che nel passato, almeno nel nostro Paese sembrava spingere più sulla quantità che qualità. “Ritengo che l’offerta esista là dove una grande fetta di mercato la richieda e per questo non ho una opinione positiva o negativa in merito – spiega Sabrina Bai – Personalmente ho deciso di proporre un qualcosa di totalmente diverso. Sicuramente esiste una clientela curiosa che vuole provare una cucina autentica. Qui poi entra in gioco il fattore economico, perchè la spesa sale, e anche di gusto soggettivo. Non è detto infatti che la vera cucina tradizionale giapponese incontri necessariamente il gusto delle persone che non ne sono abituate. Posso certamente affermare che la cucina tradizionale giapponese non è affatto nota alla clientela italiana e questo è reso evidente dalle richieste che la clientela mi rivolge.”
Da Kohaku va in scena l’immersione in una cultura culinaria che non si esprime con un solo piatto ma in un viaggio costruito secondo chiare regole. Il fine è la comunione tra uomo e natura, la celebrazione della stagionalità attraverso la materia prima e lo stato di equilibrio tra mente e corpo ottenuto attraverso il susseguirsi di piccole portate che variano tra consistenze, cotture e temperature. Sui piatti da evidenziare in modo particolare, come suggerisce Sabrina Bai: “Al momento forse la nostra anatra alla brace marinata al miso ma consiglio di fare l’esperienza della degustazione al bancone perchè la vera cucina kaiseki non si esprime in piatti singoli ma in percorsi”. Indubbiamente il consiglio è abbandonarsi al rituale dei menu degustazione, scegliendo magari quello completo dove vivere un’esperienza al bancone ricca di un rapporto diretto ed esclusivo con lo chef che porge le pietanze preparate al momento.
Il percorso di degustazione è vergato a mano su un foglio di pergamena dal cuoco stesso, che firma questo “memoir” culinario. Ha inizio così un cammino che si snoda a partire dallo Shokuzen-shu, l’aperitivo a base del pregiato Sake, per aprire il palato con una bevanda della tradizione dal gusto delicato. Si prosegue con il Saki-zuke, l’antipasto, che aiuta a stimolare l’appetito e poi con una piccola zuppa l’Osuimono. Imperdibile il vassoio dell’Hassun, con specialità di carne, pesce e verdure, per passare ad una serie di Sashimi e di Sushi. Tra Nigiri e Temaki è un troinfo di spigola, ricciola, mazzancolla, tonno, anguilla e per gli amanti della carne il pregiato Wagyu. Gran finale con il Tomenwan, una zuppa di miso rosso, astice, tofu, alghe ed erba cipollina e come dolci una gelatina allo yuzu e uva fresca, il Mizugashi e i celebri Mochi, dolce di riso accompagnato da una tazza di tè fumante. Un viaggio nel Sol Levante senza spostarsi dalla Capitale.
+info: www.kohakurome.com/
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