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Nelle ultime settimane la stampa ha dato enfasi ad alcune notizie che annunciavano, forse incautamente, che le famiglie italiane avevano finalmente ricominciato ad aumentare il valore del carrello della spesa settimanale, spinte da un rinnovato ottimismo sul proprio potere di acquisto. Le indicazioni che arrivavano dalle rilevazioni macroeconomiche sembravano lasciar ben sperare: la fiducia delle imprese e dei consumatori mostrava segni di netta ripresa, che parevano ripercuotersi anche sull’andamento di indici quali il Pmi (Purchasing managers index – indice dei direttori degli acquisti), solitamente molto seguiti dai mercati in quanto redatti ascoltando le aziende, che hanno più di ogni altro il polso della situazione. Purtroppo negli ultimi giorni pare che le statistiche si vogliano rimangiare quei germogli di ripresa evidenziati finora, gettando non poche ombre sui prossimi mesi. Gli ultimi dati divulgati da ISTAT hanno contribuito a mutare questo ottimismo (Il Pil, infatti, nel primo trimestre del 2014 ha segnato un altro meno, inaspettato dai più: -0,5% rispetto allo scorso anno).

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In qualità di azienda che si occupa di misurare i consumi, ci piacerebbe molto parlare di ripresa e contribuiremmo sicuramente a migliorare il clima delle aziende nostre clienti, tuttavia riterremmo di fare un’offesa all’intelligenza dei nostri interlocutori laddove dipingessimo una realtà incautamente troppo ottimista. Sfortunatamente le nostre misurazioni, che raccolgono le battute di cassa della gran parte della spesa effettuata nei supermercati italiani (basate su dati pressoché censuari), evidenziano che le vendite, (nella gran parte costituite da alimenti alla base del consumo quotidiano di noi tutti), continuano a segnare il passo, registrando nuovamente un calo pari al 1,1% (a volume- Totale Italia. Iper+Super+Superette+Drugstore+Discount) a chiusura del primo quadrimestre 2014. Forse la fiducia dei consumatori è in ripresa (cosa comunque poco documentabile, in quanto come forse i più attenti osservatori sanno bene gli indicatori ISTAT segnano una importante “discontinuità tecnica” a partire dal giugno scorso), ma sicuramente ad oggi non si è ancora trasferita sui comportamenti di consumo effettivi. Del resto il problema della perdita di lavoro rimane ancora inalterato (ed è quindi improbabile un recupero di fiducia significativo in merito al proprio stato di benessere da parte delle famiglie italiane). La crisi della domanda, diretta conseguenza delle difficoltà degli italiani a far quadrare il bilancio familiare, continua dunque ad avere un impatto sui consumi anche nei primi mesi del 2014 determinando un consolidamento dei nuovi comportamenti di acquisto, molto orientati alla ricerca di convenienza ed all’offerta promozionale.

 

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Nonostante nei primi 4 mesi del 2014 l’impiego delle promozioni sia ulteriormente cresciuto (un anno fa per ogni 100 spesi dallo shopper 26,7 venivano destinati a prodotti in offerta speciale, oggi sono diventati 28) i volumi complessivamente acquistati si sono ridotti. Le famiglie hanno infatti messo meno prodotti nel proprio carrello che, valorizzati ai prezzi di oggi, ammontano ad un calo di circa 130 milioni di Euro.

Emerge quindi il rischio che la leva promozionale si riveli poco efficace, al contrario di quanto alcuni affermano. A fronte di una pressione di circa il 28%, infatti, il ritorno economico non è altrettanto elevato. E questo perché il consumatore è diverso, più infedele e tecnologicamente equipaggiato per confrontare e quindi selezionare l’offerta a volantino. L’imperativo odierno è quello di puntare alla distinzione, è fondamentale che i consumatori percepiscano le attività promozionali sempre come un evento dotato di una peculiarità. Per questo occorre che ogni iniziativa venga mirata ad un target ben preciso. Sparare nel mucchio, oggi più che mai, è solo un dispendio inutile di risorse, tempo e immagine della marca. Qualora inoltre le aziende non si dotino di strumenti analitici in grado di fornire rapidamente indicazioni su scenari futuribili, si rischia di intaccare i budget senza avere ritorni profittevoli.

 

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Purtroppo molti operatori della filiera, che svolgono l’indispensabile servizio di mettere a disposizione beni di primaria necessità alle famiglie, ad oggi trovano difficoltà a ottimizzare l’utilizzo della leva. Infatti, sulla base delle nostre analisi, la capacità delle promozioni di spingere gli acquirenti a spendere in modo più che proporzionale continua a ridursi. Le promozioni durante l’ultimo anno non hanno portato a casa incrementi di vendite. Sostanzialmente, a fronte di un aumento della pressione, siamo ai livelli di vendita, per unità di sforzo promozionale, dell’anno precedente. Abbiamo dunque di fronte un consumatore che di certo cerca la convenienza, ma è determinato a rispettare il suo budget. Se quindi questa leva doveva incentivare gli acquisti alla lunga non ha funzionato. Forse un ripensamento radicale sul ruolo e sulle modalità di utilizzo degli incentivi promozionali è doveroso. A nostro modo di vedere Industria di Marca e Grande Distribuzione dovrebbero adottare strumenti in grado di misurare scientificamente il ritorno delle operazioni promozionali. Dovrebbero cioè investire in strumenti analitici che non guardino al passato, ma che prefigurino scenari futuribili onde evitare di venir risucchiati in un vortice che metterà ulteriormente a repentaglio livelli di redditività già sotto forte pressione.

 

Per informazioni: Francesca Fumagalli Ceri Marketing Communication Associate Director Tel. 02 -52579.412

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