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Con un giro d’affari annuo stimabile attorno ai 13,5 miliardi di euro, a cui si aggiungono 2 miliardi di indotto, il comparto del vino è in assoluto il segmento più redditizio del settore dell’agroalimentare ‘made in Italy. Naturalmente ‘vocato’ all’export, il ‘wine business’ ha assunto oggi dimensioni globali, conquistando nuovi mercati e garantendo una penetrazione capillare anche fuori dai confini comunitari. Nonostante i successi collezionati all’estero, il comparto vinicolo mantiene delle contraddizioni su cui bisogna intervenire, a partire dall’iniqua distribuzione dei guadagni nella filiera, al costante calo dei consumi interni, fino alla tipologia delle esportazioni, consistenti in volume, ma costituite nella maggior parte da vino sfuso”. Lo ha affermato il presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, Giuseppe Politi, in occasione del V Forum nazionale del settore, che si è svolto oggi a Rimini.

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Se, da un lato, il vino italiano fa registrare un continuo incremento delle quantità esportate, per cui l’Italia detiene il primato assoluto, non si può dire lo stesso per l’export in valore, per cui siamo secondi alla Francia. A varcare i confini nazionali, infatti, sono in maggioranza i vini sfusi, che anche nei primi sei mesi del 2011 hanno registrato un incremento del 34 per cento, a fronte di una crescita complessiva delle quantità di vino dirette all’estero del 16 per cento. “Ciò vuol dire che bisogna lavorare, di concerto, con tutti gli attori della filiera -sottolinea Politi- a una promozione mirata alla qualità e diretta ai nostri maggiori acquirenti stranieri, che sia in grado di incentivare la domanda estera delle nostre bottiglie certificate, incrementando così la quota dell’export in valore”.D’altra parte, “in casa nostra” abbiamo esattamente la situazione opposta. Scendono i consumi e sale la qualità. Si evidenzia quindi la necessità di un’azione di promozione differenziata nei confini nazionali rispetto all’estero. “Una sfida fondamentale per il settore -continua Politi- è proprio quella di recuperare nuovi consumatori in patria, scrollando di dosso al vino il peso della facile criminalizzazione che ha subito ingiustamente negli anni. Anche nei primi sei mesi del 2011 si registra un calo dell’1 per cento dei consumi interni, che si va a sommare alla diminuzione della quantità procapite che negli ultimi 15 anni è passata da 55 a 43 litri. Non si può equiparare il normale consumo di vino, che bevuto con moderazione e regolarmente fa bene alla salute, con l’abuso di alcool. Questo messaggio errato va assolutamente smentito”.

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Ma il filo rosso degli interventi che si sono succeduti nella giornata di lavori di Rimini è stato lo squilibrio interno alla filiera, il vero nodo da sciogliere nelle politiche del settore. “Non tutti gli attori del mondo del vino raccolgono gli stessi risultati dalle performance positive del comparto. A soffrire di più è proprio il primo ‘anello’ della catena, costituito dai produttori di uva, -ha sostenuto il presidente confederale- che del prezzo al consumo della bottiglia ‘mettono in tasca’ meno del 15 per cento. Ecco perché ora è necessaria una nuova e più efficace politica che corregga il malfunzionamento del mercato. Due le leve principali su cui agire: una maggiore aggregazione di filiera e una relazione più stretta con la Grande distribuzione organizzata, che ormai detiene oltre il 50 per cento della commercializzazione di vino in Italia. Solo con una filiera più organizzata e coesa si aiuta realmente il settore a crescere all’estero e in patria”.Questi i punti fondamentali che i rappresentanti del mondo del vino hanno discusso proprio insieme ai rappresentanti della Grande distribuzione nel Forum della Cia a Rimini.

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