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Stock Spirits Group lascia l’Italia. Con un laconico comunicato di poche righe il gruppo, controllato dal fondo americano Oaktree specializzato in ristrutturazioni, annuncia la chiusura della storica fabbrica di Trieste aperta nel 1884 e il trasferimento da giugno della produzione nello stabilimento in Repubblica Ceca. La Stock in Italia sarà quindi solo una entità commerciale con sede a Milano. La decisione, che lascerà senza lavoro decine di dipendenti, è stata giustificata “da un contesto commerciale che risente della contrazione dei consumi e dalla necessità di restare competitivi, consolidando la produzione per ridurre i costi e aumentare l’efficienza”. Oltre il danno, la beffa perché azienda prima ha ringraziato i dipendenti per il miglioramento della produttività spiegando però che “lo stabilimento di Trieste rimane non sostenibile a livello economico rispetto agli altri siti produttivi”. Tradotto: il costo del lavoro in Italia è troppo alto, andare in Repubblica Ceca è molto più conveniente.


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La società, nel frattempo, ha aperto un tavolo di trattativa con i sindacati per concordare i termini della cessazione dell’attività produttiva, ma i sindacati sono sul piede di guerra: “L’azienda – ha sottolineato il segretario provinciale della Cgil di Trieste, Adriano Sincovich – non ha presentato margini di manovra, c’è un atteggiamento molto rigido dei manager. Diremo chiaramente alla città cosa pensiamo di questa azienda”. Al via, quindi, manifestazioni di protesta, a cominciare dall’immediato blocco della produzione. Insomma non certo un’uscita di scena con stile quella scelta dallo storico marchio che per anni ha accompagnato le serate degli italiani durante il Carosello, prima di legare il suo nome a “Tutto il calcio” di Radio Rai con il suo inconfondibile jingle: “Se la tua squadra del cuore ha vinto brinda con Stock ’84, se la squadra del cuore ha perso consolati con Stock ’84”.

Fonte: www.repubblica.it/economia/2012/04/11/news/stock_84_lascia_l_italia-33109994/

INFOFLASH STORICO SUL GRUPPO STOCK

La storia ha inizio a Trieste,nel 1884: Lionello Stock, diciottenne di origine dalmata, apre una piccola distilleria a vapore, con il compito di distillare i vini delle zone vicine, molto ricercati dai francesi per produrre i loro cognac quando la peronospora distrusse i raccolti della Charente. Nacque il “Cognac Stock Medicinal” cui si affiancherà, nel 1935, il “1884 Cognac Fine Champagne” che, attraverso piccole modifiche in etichetta divenne, nel 1955, il “Brandy Stock 84”, il prodotto leader di Casa Stock. Al termine della Prima Guerra Mondiale la Stock, nata nella Trieste imperiale, diventa a tutti gli effetti italiana e riesce in pochi anni a conquistare anche il mercato della penisola. Nuovi stabilimenti vengono costruiti in Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia e Jugoslavia. La seconda guerra mondiale assesta un duro colpo allo sviluppo dell’azienda: alcuni dei più importanti stabilimenti italiani vengono distrutti, quelli situati nell’Est europeo nazionalizzati. Nel 1948 scompare il fondatore, Lionello Stock, ma l’Azienda ha ormai tutti i mezzi necessari per superare le difficoltà del primo dopoguerra. Sul brandy la Stock costruisce il proprio rilancio: tra gli anni ’50 e ’60 l’Azienda diventa una realtà produttiva internazionale. La gamma di mercato si allarga fino a comprendere a poco a poco vodka, whisky, grappa, amari, gin, liquori dolci. Nel 1995 la Stock viene acquisita dalla Eckes A.G., società leader in Germania nella produzione e distribuzione di alcolici e succhi di frutta, e nel 2007 diventa proprietà del fondo americano “Oaktree Capital Management” che dà vita alla nuova Stock Spirits Group con sede in Lussemburgo. Con la chiusura dello stabilimento di Trieste, La Stock Italia opera nel nostro paese attarverso la sede commerciale a Milano +info: – www.stockspiritsgroup.com – – www.stock-spa.it

IL COMMENTO DI COLDIRETTI

La scelta di delocalizzare l’attività produttiva segue, come spesso accade, la cessione della proprietà all’estero, ma rischiano di fare la stessa fine gli altri marchi dell’agroalimentare italiano che s ono passati in mani straniere nell’ultimo anno, per un fatturato di oltre 5 miliardi di euro. E’ quanto afferma la Coldiretti nel commentare la decisione della Stock Spirits Group di chiudere la storica fabbrica di Trieste e di trasferire da giugno la produzione nello stabilimento in Repubblica Ceca. La delocalizzazione industriale – sottolinea la Coldiretti – è solo l’ultima fase di un processo che inizia con l’importazione delle materie prime dall’estero da utilizzare al posto di quelle nazionali nella preparazione di cibi e bevande, continua con l’acquisizione diretta di marchi storici da parte degli stranieri e finisce con la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero. Una tendenza – continua la Coldiretti – favorita dalla crisi che rende piu’ facile lo shopping straniero in Italia e meno costosa la produzione all’estero. Dinanzi a tale rischio occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi. Ad essere presi di mira sono sopratutto i prodotti simbolo dell’Italia e della dieta mediterranea, dall’olio al vino fino alle conserve di pomodoro. Nell’ultimo anno – sottolinea la Coldiretti – sono stati ceduti all’estero tre pezzi importanti del Made in Italy alimentare che sta diventando un appetibile terra di conquista per gli stranieri con la tutela dei marchi nazionali che è diventata una priorità per il Paese. L’ultimo “pezzo da novanta” del Made in Italy a tavola a passare in mani straniere è stata – ricorda la Coldiretti – la Ar Pelati, acquisita dalla società Princes controllata dalla Giapponese Mitsubishi. Poche settimane prima era toccato alla Gancia, casa storica per la produzione di spumante, essere acquistata dall’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard. La francese Lactalis è stata, invece protagonista – sottolinea la Coldiretti – dell’operazione che ha portato la Parmalat finire sotto controllo transalpino. Ma andando indietro negli anni non mancano altri casi importanti, dalla Bertolli, acquisita nel 2008 dal gruppo spagnolo SOS, alla Galbani, anche questa entrata in orbita Lactalis, nel 2006. Lo stesso anno gli spagnoli hanno messo le mani pure sulla Carapelli, dopo aver incamerato anche la Sasso appena dodici mesi prima. Nel 2005 – continua la Coldiretti – la francese Andros aveva acquisito le Fattorie Scaldasole, che in realtà parlavano straniero già dal 1985, con la vendita alla Heinz. Nel 2003 hanno cambiato bandiera anche la birra Peroni, passata all’azienda sudafricana SABMiller, e Invernizzi, di proprietà da vent’ani della Kraft e ora finita alla Lactalis. Negli anni Novanta erano state Locatelli e San Pellegrino ad entrare nel gruppo Nestlè, anche se poi la prima era stata “girata” alla solita Lactalis (1998). La stessa Nestlè – conclude la Coldiretti – possedeva già dal 1995 il marchio Antica gelateria del corso e addirittura dal 1988 la Buitoni e la Perugina.

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