Monorigine e biologico, specialty e fairtrade: mode passeggere o movimento che sta lentamente cambiando la percezione del caffè presso l’operatore e il consumatore? Per scoprirlo abbiamo chiesto ad alcuni produttori di caffè e macchinari che trattano caffè verde, presenti a Host 2015 e riconfermati nel 2017, la loro opinione.
“Il caffè è come il vino: il clima, il terroir, il cultivar dei chicchi e la filosofia del produttore hanno un grande impatto sulla qualità e sul gusto” dice Joakim Pedersen, direttore marketing di Nordic Approach. Che così spiega il successo di trattamenti come la tostatura del caffè verde: “La tostatura del fresco migliora la qualità del caffè perché i lipidi che contiene tendono a irrancidire con il tempo. Tracciando l’origine e il produttore, tra l’altro, è possibile ottenere lo stesso profilo di aroma e qualità nel tempo. Le coltivazioni biologiche consentono invece di preservare il suolo dall’impoverimento, ma anche l’ambiente e la biodiversità”. Quello dello specialty è un trend ancora di nicchia ma che sta decisamente crescendo: “a Host abbiamo incontrato tanti torrefattori a metà strada tra il caffè convenzionale e lo specialty e che volevano passare a quest’ultimo” conferma Pedersen.
“Noi abbiamo presentato la nostra linea di caffè speciali dialogando con un pubblico globale, che utilizza metodi di estrazione diversi dall’espresso, con filtri, manuali o automatici. Ma al di là del metodo di estrazione, il lavoro sulle monorigini prevede che il caffè venga raccontato e spiegato: un lavoro che il bar italiano non è ancora preparato a fare, mentre all’estero anche la miscela è comunicata nelle sue origini” spiega Alberto Polojac, titolare di Imperator.
Le differenze tra specialty monorigine e miscela “convenzionale” ce le spiega Drewry Pearson, Ceo di Marco Beverage Systems, past president SCAE e tesoriere di World Coffee Events: “Le specialità monorigine danno al caffè una provenienza che assicura qualità e un profilo di gusto. È trattato a dose, non a volume. È torrefatto per esaltare il gusto, non la forza. Dà al consumatore la possibilità di esplorare una miriade di esperienze invece della solita miscela di tutti i giorni. E allo stesso tempo assicura che l’intera filiera sia sostenibile. Consente di esplorare senza fine le potenzialità delle tostature monorigine. Il che spinge all’innovazione in tutta la catena del valore. L’industria del caffè è in salute e sta crescendo. Purtroppo i benefici sono distribuiti in modo non equo lungo la filiera, e questo problema rischia di minacciare nel lungo termine la sostenibilità dei caffè specialty, e alla lunga l’intera industria”.
“I consumi aumentano con nuovi mercati che si aprono ma la produzione diminuisce – conferma Polojac – a causa dei cambiamenti climatici e degli eventi geopolitici nelle aree di produzione. E l’anello debole sono proprio i contadini, che non riescono a sostenere i costi di produzione. Per questo le certificazioni del commercio equo, anche se possono apparire confuse e a volte autoreferenziali, sono comunque utili per portare l’attenzione sulla questione. Noi stiamo lavorando con Paesi africani più deboli come Malawi, Rwanda e Burundi che sono un po’ fuori dai mercati ma hanno ottime produzioni, e abbiamo attivato progetti di sostenibilità. Per avere un quadro della situazione, basti pensare che tra i 50 Paesi più poveri al mondo, 30 sono produttori di caffè”.
Un mondo tutto da scoprire insomma, complesso e variegato, che sempre più gli operatori desiderano conoscere ed approfondire, con corsi di formazione specifici e una rinnovata attenzione a un prodotto che si pensava di conoscere, ma che riserva ogni giorno mille sorprese.
Fonte: host.fieramilano.it/monorigine-specialty-biologico-sostenibile-il-caff%C3%A8-del-futuro