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Ci sono delle denominazioni che i sommelier sono abituati a leggere sui manuali. Altre che vengono imparate a memoria, con i vignaioli conosciuti talmente bene che i winelovers sanno anche il nome del cane che scorrazza tra vigna e cantina. L’Alto Piemonte che ha scaldato la sede dell’Associazione Italiana Sommelier di Milano al Westin Palace lunedi 27 febbraio, ha tutte le carte in regola per diventare un must.
Storia e tradizione non mancano, il Terroir con la T maiuscola nemmeno, un unicum geologico, con rocce vulcaniche portate in superficie da movimenti tellurici cui si sono aggiunti composti morenici trasportati dal ghiacciaio del Monte Rosa. Rapporto qualità prezzo da far impallidire qualsiasi listino da scaffale. Plinio il Vecchio parlava già della vitis spinea, da qui il nome Spanna, coltivata nel Novarese dove giunse dalla città etrusca di Spina, alla foce del Po. Nel medioevo la coltura della vite si diffonde grazie all’opera dei cluniacensi, che acquisiscono vasti possedimenti nella zona. Nel Cinquecento il vino di Gattinara trova la sua fortuna in un ambasciatore illustre, Mercurino Arborio, umanista e politico di primo piano presso gli Asburgo, fa conoscere ed apprezzare il proprio vino in tutte le corti d’Europa. Cavour, uno che di vino se ne intendeva, dopo aver assaggiato un Sizzano, si lasciò andare a paragoni tra le colline del Novarese con la Borgogna. Anni di Italia unita, festeggiati con un Lessona, da allora soprannominato “vino d’Italia”, con un brindisi tra il Re e Quintino Sella, celebre statista e più volte ministro, titolare della tenuta di famiglia. Nel 1891, a Oleggio viene fondata la prima cantina sociale d’Italia, siamo al top con il Nord Piemonte che è tutto un grande vigneto. Poi il declino. Colpa della fillossera, in un’area dove oidio e peronospora già stavano decimando le coltivazioni, si aggiunge il flagello delle due guerre e soprattutto il forte sviluppo dell’industria tessile che segna l’abbandono delle campagne, perché la terra è bassa e costa fatica lavorarla. Dai 45.000 ettari di superficie vitata di fine ‘800 arriviamo ai 700 di oggi. In mezzo anni difficili, in cui il territorio deve fare i conti anche con il disastro chimico conseguente al boom industriale e con gli scandali del vino al metanolo. Il risorgimento del Nord Piemonte vitivinicolo è storia recente e in fermento. In uno scenario agroalimentare in crisi d’identità riscopre il valore delle colture tradizionali, con la biodiversità si oppone alla globalizzazione del gusto, in un generale ritorno alla terra. Un mix dove alla lungimiranza ed alla serietà di produttori storici si sono aggiunti il ritrovato entusiasmo e l’appassionato impegno di altre aziende, spesso nuove e molto piccole, con l’obiettivo comune di radicare nell’unicità del territorio il fondamento delle proprie peculiarità produttive. Un banco di assaggio imperdibile, noi di Beverfood.com siamo stati e vi riportiamo le nostre impressioni.
GATTINARA – TRAVAGLINI
Un nome che si identifica con una denominazione e con una bottiglia. Un formato riconoscibile a prima vista, la bottiglia di Travaglini non si dimentica e la si associa subito al Gattinara. Ma dietro questa bottiglia si cela la storia di un uomo, di un visionario, che ha rivoluzionato la viticoltura a Gattinara. Anni ‘50, quando tutti abbandonavano la terra per un posto in fabbrica più sicuro e facile, Giancarlo Travaglini decide di investire il suo primo ettaro di terra. Dopo aver girato per il Piemonte delle Langhe, Toscana e Francia, decide di abbandonare l’allevamento tipico di un tempo, “La Maggiorina”, contro il parere dei vecchi che gli davano del pazzo. Quando muore nel 2004 lascia un’azienda con più di 50 ettari nella denominazione, ma soprattutto un’azienda che è cresciuta pari passo con la sua zona. In degustazione abbiamo provato tre diverse espressioni di Gattinara. Un base, una selezione di tre vigne e un riserva, tutte annate 2011, tutte affinate nella bottiglia creata per necessità nel 1958, quando i sedimenti del vino rendevano torbido. Uno stile inconfondibile non solo per il design ma con una funzione ben precisa, oggi un marchio dell’azienda.
GHEMME – ANTICHI VIGNETI DI CANTALUPO
Anche qui siamo di fronte alla storia, di un’altra denominazione, Ghemme, con la famiglia Arlunno radicata in queste zone da secoli, risale ai primi dei ‘600 la prima documentazione scritta sulla cantina, ma che non perde l’occasione di scherzare. “Per ricordarci di noi basta pensare all’uscita dell’autostrada e aggiungere una n”, ci ha detto Alberto Arlunno, a cui è affidata la conduzione in vigna e in cantina. Siamo nella porta sud del Sesia Val Grande Global Geopark Unesco, sito geologico unico al mondo inserito nell’élite mondiale delle eccellenze culturali. A noi piace ricordare Cantalupo con un assaggio di un Ghemme Collis Breclemae.Nebbiolo in purezza, provenienti dalle colline moreniche a ridosso dell’azienda, un cru. Affinamenti in legno botte grande da 15 ettolitri e lungo affinamento in bottiglia. Naso elegante, raffinato, sentori dal minerale ma anche piccoli frutti di bosco e una nota di viola. In bocca avvolgente, rimane fresco e sapido al tempo stesso, per una grande espressione di Nebbiolo.
LESSONA – TENUTE SELLA
La famiglia Sella è una delle realtà che più di altre hanno tenuto viva la lavorazione nella vite del biellese. Dei 22 ettari vitati, la maggior parte è Bramaterra, doc con prevalenza Nebbiolo al 70%, Croatina al 20% e Vespolina al 10%. A degli appassionati di storia e di storie come noi non poteva mancare un incontro con il “Lessona omaggio a Quintino Sella”. Annata 2008, qui abbiamo Nebbiolo pet 85% e restante Vespolina. 48 mesi di affinamento in botte grande, un vino non solo dal grande valore storico per celebrare la grande figura dello statista patriarca aziendale, ma anche dalle caratteristiche organolettiche interessanti. Olfatto ampio e complesso, con sentori che vanno dal floreale, geranio, viola appassita, piccoli frutti, arrivando sino a speziatura e sentori mentolati. In bocca un classico con una bella persistenza ma rinfrescato da un tannino sempre ben presente e supportato da una acidità spiccata che gli spiana una vita davanti.
FARA – GILBERTO BONIPERTI
Barton è il nome in dialetto novarese con cui veniva chiamato il vigneto del nonno di Gilberto Boniperti da cui viene fatto il Fara. Quello stesso vigneto è stato spiantato perché coltivato con la Maggiorina, reimpiantato dal nipote Gilberto. Uno dei vigneron protagonista della rinascita del Fara, denominazione ottenuta con il 70% di Nebbiolo e 30% di Vespolina. Stile molto pulito ed elegante, affinamento di 18 mesi in botti di rovere, molto equilibrato. Un vino dal rapporto qualità prezzo interessante che sta prendendo sia la via dell’estero e delle principali piazze del vino italiano.
BOCA – PODERE AI VALLONI
Tra gli artefici del Boca ci è piaciuta l’interpretazione di Podere ai Valloni. Notiamo subito in etichetta il simbolo della Fivi, Federazioni Vignaioli Indipendenti, per noi una sorta di bollino di qualità. Assaggiamo il Boca Vigna Cristiana 2009, 70% Nebbiolo, 20% Vespolina e 10% Uva Rara. Rese bassissime, siamo intorno ai 40 quintali per ettaro, affinamento 42 mesi in botte grande, anche qui ben oltre quanto stabilito dal disciplinare. Naso minerale e speziato con profumi di viole e rosa essiccata. In bocca morbido, raffinato, una freschezza di fondo per dare longevità a un’annata, il 2009, manuale.
BOCA – LE PIANE
Qui siamo di fronte al classico produttore di culto, che sta facendo un lavoro enorme per la costruzione di un marchio “Boca”, a cui si aggiunge spontaneo aggiungere come parte integrante “Le Piane”. E’ stata folla intensa intorno ai vini presentati a Milano, tutti intorno a vedere il plastico in miniatura della Maggiorina e assaggiare i vini de “Le Piane”. Ma questa volta vogliamo parlare del Boca 2009, Nebbiolo 85% e Vespolina 15%. Naso intenso, elegante, profumi di sottobosco, agrumato, roccia minerale. All’assaggio avvolgente e rotondo, molto tattile, lungo e persistente, come l’autostrada che collega Boca a Milano. Un’azienda di riferimento del territorio di cui sentiremo parlare ancora a lungo.
GATTINARA – NERVI
Il Molsino annata 2009 tra i vini degustati a Milano è stato uno di quelli che ci hanno favorevolmente impressionato. Parliamo anche qui di una cantina, Nervi, baluardo in anni in cui queste zone non se le filava nessuno. Un lavoro impostato sulla qualità grazie a vini come il Molsino, Nebbiolo in purezza. Naso con frutto maturo a dominare su sentori vegetali, in bocca avvolgente e gustoso, tannino che dona quella giusta freschezza per accompagnare anche piatti importanti.
GHEMME – MAZZONI
Nebbiolo in purezza per un vino dal rapporto qualità prezzo esagerato, il Ghemme dei Mazzoni 2011. Rosso granato tipico del Nebbiolo con unghia aranciata, naso al pepe bianco e alle erbe aromatiche. In bocca palato delicato con punte di mineralità, grandissima beva che pulisce molto bene la bocca lasciandola intatta al sorso successivo. Una grande espressione di Ghemme prodotta dalla maglia Mazzoni nel territorio di Caviglio d’Agogna.
GATTINARA – PARIDE IARETTI
Il Gattinara Pietro 2012 è uno dei vini che ci hanno emozionato di più al banco di degustazione. Sarà stata per l’eleganza del Nebbiolo di Paride Iaretti, oppure per le sue parole. Un manifesto di amore per il Gattinara, che esprime riconoscenza a produttori che gli hanno aperto la strada come Travaglini, riconoscendo che se oggi vende in America è anche grazie a lui. Un vino diretto come Paride, quando dice che per lavorare i 4 ettari vitato suddivisi in vari appezzamenti, per mettere insieme queste vigne ha fatto molti sacrifici magari facendo la fortuna dei notai a suon di trascrizioni per un pezzetto di vigna che si aggiunge. 36 mesi di maturazione in botti da 4 ettolitri, un bel tannino ancora un po’ ruvido da levigare, già pronto per la beve ma tra qualche mese ancora e sarà un’esplosione al naso e in bocca. Paride ci ha detto che la produzione dovrebbe aumentare con l’apertura della nuova cantina.
LESSONA – MASSIMO CLERICO
Arriviamo al Lessona Riserva 2011 di Massimo Clerico grazie a un passaparola. Nebbiolo 100%, affinamento un anno in barrique e 24 mesi in botte grande. Un esempio di eleganza già oggi, ma anche di longevità. Naso variegato, tanta roba, tra piccoli frutti rossi, erbe aromatiche e note minerali. All’assaggio è fine, ben equilibrato con una nota di salinità in grado di donare persistenza. Uno dei protagonisti della rinascita di questo territorio, per una famiglia che ha sempre creduto in questo territorio.
+INFO: AIS Milano
www.aismilano.it
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