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Estratto da Tesi di Laurea

a cura di
DAVIDE VALENTINO GULLOTTA

d.gullotta@libero.it

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA
Relatore: Prof Marco Romano

SOMMARIO: Il tentativo di valorizzare e mantenere una posizione competitiva su scala globale, è possibile se si adottano strategie originali ed efficaci che possono creare una differenziazione nei confronti dei diretti concorrenti, anche se questi sono grandi gruppi con quote dominanti. Nella presente analisi si cerca di evidenziare l’approccio strategico del “tribal marketing” con riferimento specifico al caso Mecca-Cola che ha consentito di creare un buon spazio di mercato per un piccolo produttore indipendente nell’ambito di un settore dominato dalle grandi multinazionali americane del beverage. 1-Le forze che orientano le scelte di acquisto 2 – La costruzione di un brand di culto 3 – L’approccio di Marketing Tribale 4- Il marketing tribale del brand Mecca-Cola – 5 Conclusioni

RIF. TEMPORALE: anno accademico 2004-2005

cap1: omissis
cap2: omissis
cap3: omissis

CAP.4 IL MARKETING TRIBALE DEL BRAND MECCA-COLA, UN TARGET ANTIGLOBAL

4.1 Le azioni di marketing tribale

Si presenta un caso pratico dove, le tecniche di marketing tribale, vengono messe in atto per proporre sul mercato internazionale la vendita di un prodotto di largo consumo.
Si cerca adesso di ripercorrere gli strumenti e i metodi proposti da un punto di vista teorico applicandoli al caso Mecca-Cola, proponendo una sorta di decalogo adattato da quello proposto da Bernard Cova. Il modello, nato dall’esigenza di schematizzare l’approccio di marketing tribale, risulta utile a ripercorrere le fasi necessarie all’implementazione della strategia, ragion per cui, si prova a trovarne riscontro nel caso pratico qui proposto.
Si tratta, comunque, di una serie di suggerimenti che possono proporsi in una strategia di marketing; chiaramente ogni modello teorico non può perfettamente riscontrarsi nella realtà, così come proposto dal suo ideatore. Esso necessita pertanto, degli adattamenti del caso, sia che si tratti della semplice descrizione successiva di una strategia già posta in essere, sia che si tratti di una linea da seguire in fase strategica.
A conferma di ciò, nel caso che si analizza nel seguito, si cerca di individuare e sovrapporre ciò che nella realtà di un’azienda di successo è avvenuto e quello che una teoria può schematizzare, per trasporlo in ogni settore commerciale.

4.1.1 Le fasi del processo di marketing tribale[1]

E’ possibile sintetizzare il processo di marketing tribale in cinque fasi, all’interno delle quali è possibile inserire una vasta gamma di soluzioni, fortemente dipendenti dalle multiformi realtà che le aziende incontrano nei loro processi di pianificazione.Le fasi, sintetizzabili nello: studio etnografico, co-design, mix tribale intensivo, mix tribale estensivo e organizzazione dell’azienda per il marketing tribale, si presentano quindi, come macro-categorie aperte alla revisione continua.Si propone di seguito, una generica esposizione delle fasi nel dettaglio.

  1. 1) Studio Etnografico

Analizzare il valore di legame dell’offerta studiando i vantaggi offerti del prodotto o del servizio nella creazione o nel consolidamento dei rapporti interpersonali.
Individuare i gruppi tribali esistenti, nati intorno ad una passione o un’attività, che possono diventare potenzialmente interessanti.
Concentrare l’attenzione sui rituali e altri codici impliciti del movimento tribale considerato.

  1. 2) Co-design

Trovare il tempo di rendere “normale” per la tribù la presenza del marchio aziendale, senza affrettarsi a sviluppare un’attività commerciale.
Lavorare in collaborazione con i membri della tribù per elaborare un’offerta capace di sostenere i riti tribali (offerta di prodotti, servizi, luoghi, parole).

  1. 3) Mix tribale intensivo

Offrire legami più che beni.
Rimanere umili, mantenendo una presenza e un tono “non commerciale”.

  1. 4) Mix tribale estensivo

Mobilitare la tribù per legittimare il valore di legame tribale dell’offerta.
Fidelizzare mediante il riferimento affettivo alla tribù e all’immaginario tribale.

  1. 5) Organizzazione dell’azienda per il marketing tribale

Gestire la dimensione tribale del personale tramite il reclutamento di membri della tribù e riconoscendo la loro implicazione tribale.

4.2 Mecca-Cola: “Don’t drink stupid, drink with commitment!”[2]

L’idea venne concepita da un imprenditore di origini tunisine, Tawfik Mathlouthy, residente in Francia che lancia il marchio e la produzione, fra l’ottobre e il novembre del 2002.
Lo spirito che lo condusse alla creazione della Mecca-Cola , fu quello di creare un business profittevole che potesse alleviare la sofferenza umana li dove tale azione fosse possibile. Si prese quindi in considerazione uno dei più eclatanti casi dei nostri giorni: “La sofferenza del popolo palestinese[3]”. Altro movente nasce dalla proibizione di continuare a bere Coca-Cola che Tawfik impose al figlio, in conseguenza alla strage di palestinesi a Jenin.
Il progetto veniva alla luce mentre egli era direttore di Radio Mediterranée, e sfruttando la visibilità della sua posizione , in un primo momento fece il tentativo di contattare i dirigenti di Zam Zam Cola[4], per chiedere di diventarne il rappresentante per la Francia e per l’ Europa. Ma le cose andarono per le lunghe perché Zam Zam, oberata di ordini e richieste, non riusciva a far fronte all’esubero di lavoro.

L’accodo non arrivò e con un capitale di 22 mila euro, raccolto tramite la ricerca di prestiti, Mathlouthy, iniziò la sua avventura con una prima commessa di 160.000 bottiglie affidata ad un produttore indipendente[5].
L’iniziativa ebbe subito i riscontri sperati, anche perché l’esternalità positiva di alcuni eventi di portata internazionale, fecero da catalizzatore all’affermazione del prodotto e del marchio Mecca-Cola nei paesi a lingua araba. Si pensi, per esempio, alla guerra in Iraq che con il conseguente crollo delle vendite di Coca-Cola[6], fecero si che il miracolo avesse inizio; in soltanto 10 giorni la produzione fu interamente venduta.
La distribuzione partita dal mondo islamico ebbe molto presto la possibilità di fare ingresso anche in paesi occidentali, come Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Germania, Spagna, Svezia, Canada e Danimarca, ma arrivò fino in Bangladesh, in Indonesia, in Arabia Saudita e nell’Africa sub sahariana. A riprova della rapidità in cui si espandeva il “fenomeno”, si stimava che in Francia in poco meno di un anno avesse venduto ben 8 milioni di bottiglie da 1,5 litri e in Marocco in un mese, 3 milioni di bottiglie[7].

Partita con il lancio della bottiglia di cola in plastica da 1,5 litri, il packaging richiamante la veste grafica in rosso e bianco del leader globale Coca-Cola ed il suo gusto leggermente meno dolce e frizzante, oggi Mecca-Cola ha diversificato la sua offerta commerciale offrendo al mercato una gamma di soft drink non eccessivamente ampia, ma capace di riscontare il gusto di un corposo numero di consumatori. La sua gamma di produzione conta dei seguenti articoli[8]:

Cola da 1,5 litri PET[9]
Cola da 2 litri PET
Cola light (senza caffeina), da 1,5 litri PET
Cola 0,33 litri in lattina
Cola da 0.33 litri PET
Limonata da 1,5 litri PET
Aranciata da 1,5 litri PET
Succo di mela da 1,5 litri PET

Nonostante abbia cominciato solo alla fine del 2002 con un investimento di 22.000 euro, oggi il gruppo Mecca-Cola World Company, con sede a Dubai (U.A.E.), presenta risultati di tutto rispetto, leggibili nel report aziendale pubblicato (2004), raggiunti tramiti la sua distribuzione in ormai 56 paesi.

…Fatturato pari a 3.577.713 euro
…Totale di bilancio pari a 1.003.814 euro
…Utile netto di 282.150 euro
…Imposte pagate per 146.606 euro
…Dividendi pari a 150.000 euro, ovvero il 79% dei dividendi distribuibili (190.000 euro).

Il mix di etica-commercio-buona qualità e la scelta dell’azienda di devolvere il 10% dei profitti ad associazioni palestinesi per l’infanzia ed un altro 10% ad associazioni caritatevoli Europee, sono musica per le orecchie di tutti coloro che applicano il consumo responsabile[10].

4.2.1 Il riscontro tribale in Mecca-Cola

Si tenta adesso di dimostrare come Mecca-Cola sia riuscita a mettere in atto il proprio programma di marketing tribale, ripercorrendo le fasi proposte in precedenza e sottolineando l’esigenza di adattarle al caso specifico.

Studio etnografico.

L’azienda, quando ha concepito il prodotto, si è subito proposta al mercato come un’alternativa valida e di buona qualità per tutti quei consumatori che provavano dei risentimenti nei confronti dello strapotere delle grosse multinazionali, ma che amavano il prodotto, ed in questo caso la cola. Appare chiaro quindi, come il prodotto sia un ottimo punto di partenza nella creazione e nel consolidamento di rapporti interpersonali nella logica di gruppo.
Dalla raccolta di interviste, frammenti, indizi, tracce,ecc.; così come il metodo proposto da Cova B. suggerisce, per individuare una tribù, si prova a dare un’idea di quale comunità il marchio viene scelta, per creare una tribù di consumatori.
Per la distribuzione della bevanda in Italia, si è costituita nel luglio del 2003 a Torino la s.r.l. Melange[11], formata da tre palestinesi e tre italiani, gruppo affiatato che ha fatto della “contaminazione” già una scelta di nome. Da alcune interviste condotte con i membri della società emersero alcune tendenze.
– Il tesoriere della società, e membro del Comitato Palestina torinese Nadeem confessava di aver sempre bevuto Coca-Cola, ma di non riuscire ad accettare il fatto che tutti i prodotti statunitensi dovessero sempre avere il dominio e il monopolio di tutto[12].
– Elio Liberti, consigliere, spiegava che l’iniziativa era interessante e che all’inizio aveva immaginato che si trattasse solo di un’operazione etica , mentre nel seguito riuscì a vederci un’ottima iniziativa commerciale perché il prodotto era buono e di successo. Avrebbero cominciato la distribuzione da Torino, poi in provincia per infine approdare nelle altre regioni, considerando la numerosità dei negozi etnici e dei circoli “trendy” che la richiedevano[13].
– Francesco Caruso, portavoce dei new global napoletani al rientro anticipato dal corteo di Riva del Garda del 4 settembre 2003, dichiarava in un’intervista[14] condotta da un inviato del Corriere della Sera che in occasione del meeting WTO di Cancun non vi sarebbe andato, perché in quel periodo avrebbe avuto altri impegni. Si trattava del Business di Mecca-Cola, egli asseriva che si sarebbe occupato della distribuzione italiana della bevanda creata in Francia come alternativa alla Coca-Cola, demonio consumistico della globalizzazione, e raccontava della Melange e di come si sarebbe impegnato ad aiutarli.
– Elio Limberti in seguito fece sapere come avrebbe gradito la figura di Caruso ritenendolo assolutamente congeniale allo spirito del business. “Il ribelle di Napoli ha molte facilità di accesso con i Centri sociali, dove le bibite si vendono a fiumi”.
Dalla ricostruzione di questi pochi frammenti, carichi però di contenuti, utili ad individuare un “sentiment” diffuso, si riscontra come con la proposta commerciale di Mecca-Cola, forse un po’ all’insaputa dell’imprenditore che l’ha concepita, si siano individuati gruppi tribali esistenti, nati intorno ad una passione, un sentimento, e diventati interessanti facendo leva sui loro valori condivisi.
Lo stesso fondatore dichiara[15] apertamente di fare leva sui sentimenti delle persone ai fini del business, ritenendo non socialmente riprovevole proporre un prodotto che risponda ai sentimenti e ai bisogni reali delle proprie comunità. Egli sostiene che in effetti ciò, è quello che accade per i prodotti equi e solidali, che facendo leva sui sentimenti delle persone, rendono l’esperienza dell’acquisto momento di gratificazione e soddisfazione, perché permettono di togliere potere alle multinazionali, aiutare il sud del mondo ed esprimere la propria idea, senza però rinunciare alla bontà del prodotto.
Non è quindi di per se riprovevole che si venda un prodotto e magari diventi di successo, la cosa veramente importante, è che il consumatore sappia quando lo acquista, a cosa saranno destinati i soldi che spende.
Si sta qui chiaramente parlando di un segmento transnazionale composto da tribù di no-global, altromondialisti o globalcritici che dir si voglia[16]; per raggiungerli la marca si stà così inserendo nei centri sociali , nelle feste e negli appuntamenti di protesta, concentrando l’attenzione sui rituali e sugli altri codici impliciti del movimento tribale considerato.
“Mecca-Cola si offre di ricomporre la schizofrenia fra impegno e consumi degli attivisti occidentali, trattabile solo con dosi massicce di consumo critico[17]”.

Mix tribale intensivo.

L’azienda per rimanere umile e mantenere una presenza in tono, si commerciale, ma dal sapore socialmente sostenibile[18], nella sua strategia ben posta in risalto dalla comunicazione, ha previsto di destinare (come si era precedentemente accennato), il 10% dei proventi netti a organizzazioni europee non governative, che operino a favore del popolo palestinese, con esclusione delle parti coinvolte nella lotta militare. Ha previsto altresì di destinare un ulteriore 10% per attività di solidarietà locali[19] e di rendere pubblico alla fine del 2004, l’ammontare dei versamenti alle associazioni benefiche. Ciò fa si che l’immagine dell’azienda accusata da più parti[20] di utilizzare la religione come strumento di incentivazione al consumo, potesse liberarsi della veste di “Cola per popolazioni islamiche” e trovasse così, anche la possibilità di approdare nei mercati occidentali.
Mecca Cola Beverages Group, si inserisce nel settore del charity business, ovvero delle aziende che vogliono accreditarsi un’immagine impegnata destinando quote degli utili ad attività assistenziali, sociali e umanitarie. Solo che l’azienda destina dieci volte di più del 2 o 3 per cento (solito di questo settore), nella convinzione che ponendosi l’obiettivo di destinare quote consistenti degli utili aziendali a scopi umanitari costituisca un salto qualitativo, capace di portare l’impresa fuori dall’ambito della ricerca assoluta di profitto, collocandola così ai margini del sistema capitalistico.
L’1% destinato ai fini umanitari, se pur rispettabile, è compatibile con il sistema capitalistico; il 20% invece è giudicato destabilizzante, critico verso la logica del profitto, quindi eversivo.

Mix tribale estensivo.

Mecca Cola mobilita le tribù per legittimare il valore di legame tribale. Il passaggio però, avviene quasi spontaneamente, grazie all’aiuto che l’azienda riceve dalle comunità tribali presenti nei vari territori nazionali, senza che l’azienda faccia pressioni eccessive sulla sua distribuzione.
Per essere più chiari, si sta qui facendo riferimento alle costellazioni di gruppi che gravitano intorno al segmento degli Antiglobal[21]: essi nelle loro manifestazioni, feste, riunioni, contestazioni, fanno uso del prodotto conferendogli così tutta la carica di un simbolo che può amplificare gli effetti dei propri rituali.
Si riportano di seguito alcuni esempi che confermano quanto appena asserito
.
L’Arci nazionale, ha stipulato una nuova convenzione con Mecca-Cola per il suo valore “etico”[22] , nella convinzione di contribuire alla pace e al confronto pacifico dei popoli, gestendo la distribuzione della bevanda nei suoi circoli e a ogni evento a lei collegato.

In occasione del My Day del 1° Maggio, festa-manifestazione nazionale dei disobbedienti e precari svoltasi a Milano nel 2004, venne distribuita Mecca-Cola gratuitamente.

Mecca–Cola viene presentata a Padova nei giorni del 30 aprile, 1° e 2° maggio presso le strutture di Padova fiere in occasione della nona edizione di CIVITAS “Mostra e Convegno delle Solidarietà e dell’Economia Sociale e Civile”[23].

Organizzazione dell’azienda per il marketing tribale.

Al riguardo, è bene ritornare sulla figura di Francesco Caruso e su quella dei soci fondatori di Melange. Si tratta di persone che in qualche modo appartengono, o sono molto vicine alle tribù cui l’azienda propone il proprio prodotto.
Questo diventa un fattore competitivo molto importante per l’azienda, sia perché la motivazione di chi lavora per qualcosa in cui crede ne aumenta in maniera esponenziale il rendimento, ma soprattutto perché l’avere in “squadra” elementi della tribù, permette all’azienda di superare le barriere di diffidenza che spesso possono venire a crearsi fra se e le tribù stesse. L’uomo, anello di raccordo tra l’azienda e la comunità, conquista così un posto privilegiato nell’indirizzare il gusto dei restanti membri.[24]

4.2.2 Una possibile segmentazione del mercato internazionale per Mecca-Cola

Per rendere un’idea di quale sia il segmento bersaglio del brand, è possibile prendere a riferimento lo studio[25] dei brand globali svolto da Douglas, Quelch e Taylor. Si registra che attraverso i vari paesi nella ricerca delle differenze, non si registrino grossi scostamenti nella visione dei brand globali, quindi accorpando i consumatori che li valutano nella stessa maniera, si è potuto procedere ad una segmentazione internazionale di tipo transnazionale.
Si sono così individuati quattro segmenti principali:

…Global citizens
…Global Dreamers
…Antiglobal
…Global agnostics

Si illustra di seguito il profilo che delinea il comportamento dei consumatori in base a questo metodo di segmentazione.

I Cittadini globali.

Il 55% circa degli intervistati, confida nel successo globale dell’azienda quale segnale di qualità ed innovazione. Allo stesso tempo, essi sono interessati a vedere se l’azienda agisce in maniera responsabile rispetto a questioni come: la salute dei consumatori, la salvaguardia dell’ambiente e le leggi sul lavoro. Per citare un esempio in Paesi come gli Stati uniti e la Gran Bretagna ci sono pochi cittadini globali, viceversa in Paesi come il Brasile, la Cina e l’Indonesia ce ne sono un numero relativamente alto.

I Sognatori globali.

Costituiscono il secondo segmento per grandezza, con il 23% circa degli intervistati. Tale segmento è composto da tutti quei consumatori che hanno meno percezione in merito agli argomenti di sviluppo sostenibile e problemi sociali del consumo, ma hanno una forte ammirazione per le compagnie transnazionali. Essi vedono i brand globali come garanzia di qualità dei prodotti e sono pronti a comprarli per la carica emotiva che il loro “mito” può trasferirgli. Essi non si interessano come fanno i cittadini globali della responsabilità sociale dell’impresa.

Gli Antiglobal.

Il 13% dei consumatori sono scettici sulla capacità ed impegno delle aziende transnazionali di produrre prodotti di alta qualità. Essi sono avversi ai brand che predicano i valori americani e non credono che le aziende globali possano agire responsabilmente.
La loro scelta dei brand indica come essi provino ad evitare che le imprese transnazionali facciano business con i loro acquisti.

Gli Agnostici globali.

In veste di consumatori gli appartenenti a questo segmento non basano i loro acquisti in base agli attributi presenti nei brand globali. Essi diversamente valutano un prodotto globale con gli stessi criteri che usano per valutarne uno locale, convinti che la natura globale dei prodotti non sia fattore per il quale attribuire maggiore considerazione ad un prodotto, piuttosto che ad un altro. Il segmento è composto generalmente dall’8% dei consumatori, ma nella distribuzione nei singoli Paesi se ne registra una percentuale maggiore negli Stati Uniti e in Sud Africa. Allo stesso modo se ne registra una percentuale inferiore all’8% in Paesi come Giappone, Indonesia, Cina e Turchia.

La segmentazione qui proposta, perfettamente in linea con quanto detto sulla ricerca di un segmento transnazionale esposta nel capitolo precedente, permette a Mecca-Cola di scegliere il proprio segmento target.
La scelta ovviamente ricade sul segmento degli Antiglobal che perfettamente incarna i valori la mission aziendale.
In prima battuta, però, tale scelta potrebbe sembrare non strategica vista la consistenza del segmento. In realtà le cose non stanno proprio così; se si osserva il mercato in una logica globale, si può facilmente desumere come mediante l’aggregazione dei soggetti appartenenti allo stesso segmento nei diversi paesi, è possibile costruire un segmento “trasversale” che attraversa tutti i paesi presi in considerazione, e prospetta così una domanda complessiva consistente.
Sotto un altro punto di vista è possibile affermare coerentemente con i principi del marketing tribale, che probabilmente la scelta di tale segmento provenga dall’osservazione della capacità autoselettiva degli individui, che tendono a raggrupparsi intorno ad un problema( in questo caso), una passione ecc.

Mecca-Cola così, non ha cercato di stabilire il legame diretto con il cliente, ma ha fatto si che questi si riunissero autonomamente intorno ad un “totem”, in modo tale da alimentare il loro spirito di gruppo connotato da un forte legame ideologico, e formare quindi solo in un momento successivo, un segmento ben delineato, fruibile anche dal punto di vista commerciale.
Questa però non è per Mecca-Cola l’unica scelta possibile dal punto di vista della strategia di segmentazione, l’azienda si prostra chiaramente ad altre forme di segmentazione, come per esempio quelle basate sulle variabili religiose e culturali, ma una tale scelta avrebbe potuto precludere la possibilità all’azienda di entrare nei mercati occidentali (come precedentemente accennato). La sua presenza ormai in ben 56[26] paesi raggiunta in così breve tempo dalla sua recente nascita, denota la eclatante riprova di una strategia vincente.

4.2.3 Il posizionamento di Mecca-Cola sul mercato internazionale

Si espone adesso, come si posiziona Mecca-Cola rispetto alla concorrenza nella percezione dei consumatori.
Nel segmento bersaglio prescelto, Mecca-Cola ovviamente non trova uno spazio completamente sgombro dalla concorrenza, perché se si tiene conto della forma di segmentazione proposta, con la costruzione di una mappa percettiva si può facilmente osservare come altre aziende provino a posizionarsi in maniera del tutto simile.
Si propone di seguito un elenco dei brand che, tramite la loro immagine aspirano a raggiungere nello stesso segmento bersaglio una posizione coincidente.

Zam Zam Cola, la più anziana fra tutte nata nel 1954 in Iran come marchio locale partner di Pepsi.

Qibla Cola, nata nel 2003 in Inghilterra, porta il nome del gruppo terroristico dei jhadi sud africani.

Muslim-Up, nata in Francia nel 2003 dalla riproduzione manipolata del nome 7-UP

Cola Turka, lanciata nel 2003 il giorno dopo che gli Stati Uniti arrestarono undici soldati turchi creando una protesta di dimensioni nazionali.

Amrat Cola, lanciata nell’aprile del 2003 in Pakistan, che in lingua pachistana vuol dire Vita Cola.

Arab Cola, nata in Francia nel marzo 2003 con lo slogan: “La Cola del Mondo Arabo” dall’idea dell’imprenditore franco-marocchino Gérard Le Blanc.

El Che Cola[27], nata nel sud della Francia nel giugno del 2005, con l’impegno di versare il 50% degli utili netti a favore di organizzazioni non governative e associazioni umanitarie che lottano contro la fame nel mondo.

Arab Cola risulta essere la più accreditata ad insediare il mercato di Mecca data l’immagine con cui si propone al pubblico.
Le Blanc sostiene infatti, di trattarsi di una bibita lecita che non adotta simboli sacri, ragion per cui il suo posizionamento a differenza di tutte le altre citate, può avvicinarsi molto a quello di Mecca-Cola per l’ingresso nei mercati occidentali.
Per rafforzare tale ipotesi si può citare il caso italiano, infatti Arab Cola per fare ingresso nel nostro mercato, affida la sua distribuzione all’azienda Centroplastica di Bernaggio (Milano), gestita da professionisti navigati del commercio, per di più cattolici, che precisano di voler tenere il marchio fuori dalla politica, dai boicottaggi antiamericani e dalla religione.
Ma la battaglia di Mecca-Cola non si svolge solo in un territorio, forte ormai della sua presenza in numerosi paesi conquista il titolo di brand globale, quindi osservando una semplice mappa percettiva che prende a riferimento un singolo paese, nulla si può dire sulla sua reale forza.
Se invece utilizziamo come mezzo esplicativo immediato, la “Key country matrix” di Ford[28], rapportando la forza competitiva all’attrattività del paese, sarà possibile osservare il suo posizionamento sul mercato globale indice della sua forza reale.
Se fin adesso si è presa in considerazione la competizione nel segmento bersaglio e la relativa concorrenza diretta, nella prospettiva di un piano di sviluppo dall’orizzonte allargato, entrano in gioco anche i concorrenti indiretti[29]; quindi passando in un primo momento ad una concorrenza comprensiva dei leader di mercato per poi con un’ulteriore allargamento considerare anche in generale il settore delle soft drink.
Il mercato delle Cola è caratterizzato da una forte concentrazione di alcuni brand globali (Coca-Cola e Pepsi ) che detengono grosse fette di mercato. Mecca-Cola nonostante abbia scelto di posizionarsi in un segmento teoricamente lontano dalle aziende leader, sta comunque erodendo in maniera continua quote di mercato precedentemente ben consolidate aspirando, in maniera silente, all’allargamento della propria offerta nei segmenti contigui.
Quindi in un futuro non lontano, il dispiego di forze, finalizzate al mantenimento della posizione consolidata, non dovranno precludere all’azienda, la possibilità di delineare scenari differenti, utili alla sopravvivenza in un mercato globale, investito dall’evolversi dei trend ed insediato dai repentini cambiamenti di rotta.

CONCLUSIONI

Il lavoro di tesi ha messo in evidenza, secondo l’approccio di “Tribal Marketing”, il comportamento del consumatore postmoderno. Appare ormai assodato come, nelle società opulente, la spinta aggregante di una rinata socialità e la ricerca di condivisione, inducano gli individui a riunirsi intorno a passioni, interessi e problemi per consumare in comunione.
La peculiarità del lavoro, consiste nell’aver cercato di chiarire come le aziende facendo leva sul proprio know-how, possano essere in grado di svolgere il ruolo di facilitatori, nella creazione di microgruppi, tribù o comunità di consumatori alla ricerca di forme di consumo appaganti.
La chiave di volta è la “marca”, le aziende possono far leva sul più importante asset intangibile a loro disposizione per far si che i gruppi di consumatori si riuniscano intorno ad essa. La loro capacità di rendere la propria produzione un culto condiviso, trasforma il marchio in un totem intorno a cui celebrare una serie di riti tipici delle comunità tribali.
I concetti esposti nel lavoro sono stati dimostrati tramite l’esempio di un prodotto di largo consumo, specificamente un prodotto alimentare, ammettendo però che la validità dell’approccio proposto apre la prospettiva di applicazione in diversi settori.
Alla domanda, cosa fa si che individui di età, lingua, religione, reddito, lavoro e interessi diversi presentino comportamenti simili davanti al consumo dello stesso prodotto, sembra quindi possibile rispondere che essi facciano parte di una “tribù”. Una tribù a geometria variabile che accoglie nuovi membri quando essi decidono di farne parte, adottando un determinato stile di consumo, e li respinge nel momento in cui essi decidono di cambiare passione, spostandosi verso un’altra tribù, mossi da un nuovo interesse.
L’appartenenza alle tribù diviene così multiforme, ogni individuo può far parte di diverse tribù contemporaneamente e comprare la marca preferita, finché l’azienda è capace di rappresentare i suoi valori di fondo.
La marca sotto questa prospettiva deve essere capace di rappresentare nella sua identità, non solo i valori aziendali costruiti nel tempo, ma anche di inglobare fra i suoi contenuti i desideri e i sentimenti delle comunità di cui si alimenta.
Ogni mercato appare terreno fertile per la costruzione di una strategia di marketing tribale; la battaglia fra i brand di successo per la conquista di un posizione di leader nell’arena competitiva globale, si disputa fra le aziende capaci di interpretare i comportamenti dei soggetti post-moderni e le loro esigenze di vita sociale: il brand è l’arma eletta a tale scopo.
La portata innovativa dell’approccio si estrinseca nella possibilità di applicazione ad una serie di contesti differenti. Ragion per cui non deve trattarsi esclusivamente di un approccio ex post, utile alle aziende che devono mantenere attivo l’interesse verso la propria offerta rivolta alle comunità già esistenti; ma in maniera propositiva, deve essere messo in pratica anche da quelle aziende che non hanno un gruppo fedele di consumatori.
In un contesto simile, l’approccio può considerarsi il punto di partenza e la strategia divenire vincente nel momento in cui le aziende saranno capaci di creare intorno al proprio brand, una tribù di appassionati. La tribù nonostante tutti i prodotti non abbiano una storia, un valore autentico ed un valore di legame può essere creata; ma ci si domanda come fare.
Come in un laboratorio di R&S, ciò può divenire possibile se, i vertici aziendali, saranno capaci di interpretare i trend evolutivi latenti ed espressi delle società contemporanee, rendendo la propria offerta appetibile attraverso l’innovazione continua di prodotto. La scoperta di un nuovo prodotto, o più semplicemente l’individuazione di un modo alternativo per soddisfare un bisogno esistente, non dovrà pertanto essere fatto isolato su cui adagiarsi, perché il consumatore scopre, si appassiona, crea le tribù, e l’indomani si aspetta qualcosa di nuovo o di parzialmente nuovo per continuare a desiderare.
In conclusione è possibile ipotizzare che il processo di innovazione continua sarà l’alimento di cui si nutre il brand, e il suo continuo adeguarsi ai tempi, farà si, che le tribù continuino a riunirsi e consumare piuttosto che per bisogno, per il semplice piacere di vivere un’esperienza affettiva.

Estratto da Tesi di Laurea
a cura di
DAVIDE VALENTINO GULLOTTA
d.gullotta@libero.itUNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA
Relatore: Prof Marco Romano
Riproduzione autorizzata dall’autore

 

[1] Cfr. Cova B. 2003, p. 71, op. cit.

[2] “Non bere stupido, bevi impegnato” e ancora “Non agitare me, ma agita la tua coscienza”, si tratta degli slogan che l’azienda mette in campo nella propria comunicazione, perfettamente coerente con la strategia di marketing tribale, individuabile nell’approccio al mercato di Mecca-Cola.

[3] Mathouthy, sostenitore della causa palestinese fin dall’infanzia, accoglie l’appello al boicottaggio dei prodotti occidentali che avallano il potere israeliano, cercando di trovare il modo di veicolare tale sensibilità anche in Francia.

[4] Zam Zam era la sorgente sacra vicino la Mecca dove Maometto andava a bere. Nel 1954 questo diviene il nome di un marchio di cola divenuto partner iraniano ufficiale della Pepsi. Gli iraniani che adorano la bibita frizzante, ma un po’ meno gli americani, si sono messi a produrla in proprio. Il lancio fu un successo tale da far vacillare, tramite un calo sensibile delle vendite, le satrapie a stelle e strisce delle soft drink. Vedasi Michel Paganin, “Bollicine Islamiche” 11, novembre, 2002, www.libero .it (dalla rete).

[5] In Francia esistono 22 produttori di bevande frizzanti, di cui 18 fanno capo a Coca-Cola o Pepsi, uno dei quattro produttori rimasti indipendenti, accetta di fidarsi dell’ambizioso progetto dell’imprenditore tunisino e accetta la commessa.

[6] Si stimano cifre intorno ai 20–40 punti percentuali.

[7] Da un articolo della redazione di Managerzern risulta che l’azienda prevedeva di chiudere il 2003 con 300 milioni di pezzi venduti in 28 paesi, www.managerzen.it

[8] Quanto attualmente produce Mecca-Cola, www.mecca-cola.com

[9] PET è l’acronimo di Polietilentereftalato, un poliestere leggero, resistente e trasparente usato per la produzione di contenitori per bibite gassate, succhi di frutta, bevande alcoliche, acqua, oli, detergenti per la casa ecc. www.petcore.com

[10] I sostenitori della bontà del progetto, ritengono così, che si tratti, oltre che di un prodotto gradevole al gusto, anche di uno strumento per fare della solidarietà. Un atto piccolo ma quotidiano e continuo, fornisce l’opportunità di praticare acquisti eticamente corretti rendendo i consumatori materialmente consapevoli ed orgogliosi di agire.

[11] Mélange, parola francese, significa mescolanza, viene usata dai fondatori proprio per indicare la miscela nata dall’unione di persone di cultura diversa, che si sono unite per raggiungere lo stesso obiettivo.

[12] articolo di Tiziana Montaldo, “Tutti pazzi per la Cola”, www.volontariperlosviluppo.it.

[13] Ibidem.

[14] Fu. M., “E il leader dei contestatori farà affari con la Mecca-Cola”, (dal corriere della sera) www.corriere.it

[15] redazione di ManagerZen, “La Mecca Cola: la bibita preferita dalla comunità islamica” , www.managerzen.it

[16] La scelta di un segmento simile, ha tutto il sapore di una provocazione sferrata nei confronti delle multinazionali (fra i primi sostenitori di tale tesi ovviamente troviamo i vertici Coca-Cola), ma in realtà non lo è, o così non lo si può intendere. Il segmento individuato ha una consistenza media del 13% su scala mondiale, quindi è espressione di una domanda latente piuttosto corposa. Volendo cercare di esprimere un giudizio sulla bontà dell’idea imprenditoriale, esiste un’etica commerciale che vieti la capacità di mettere a punto un’offerta che faccia leva sui reali bisogni degli individui? A mio giudizio no, quindi, in guerra fin che si rispettano le regole ogni arma è lecita.

[17] Cfr. Morandi S., “Mecca Cola se vuoi bere impegnato”, in Il brutto delle bollicine, liberazione 22 luglio 2004.

[18] In uno spezzone di un’intervista pubblicata sul sito ufficiale di Mecca-Cola, Tawfik Mathlouthy afferma: “..la filosofia è molto semplice, creare attenzione nei consumatori, ciò significa che se sei un consumatore e compri un prodotto, devi sapere dove sta finendo il tuo denaro”.

[19] Anche negli scopi sociali di Melange importatore italiano di Mecca-Cola, si riscontra la medesima iniziativa, il 20% dei profitti sono destinati ad ONG Europee ed a ONG che operano in favore dell’infanzia palestinese; cfr. Forum Notizie, No. 6, settembre 2004

[20] Si tratta sia degli islamici che non hanno gradito l’uso di simboli a loro sacri per l’ideazione di una proposta commerciale, sia di coloro che dall’altra parte accusano l’azienda di volere creare i proprio vantaggio competitivo boicottando i prodotti similari leader nei mercati mondiali (vedasi Coca-Cola).

[21] Si dirà successivamente delle caratteristiche peculiari di tale segmento.

[22] Inserto di ARCI Liguria, “Mecca-Cola nei circoli ARCI Una nuova convenzione commerciale.” 1 Aprile 2004, www.arciliguria.it; e ARCI Regionale Toscana, 30 Agosto 2004, cfr. www.segnalidifumo.net

[23] Asterisco informazioni “Parte anche in Italia la distribuzione ufficiale della Mecca-Cola”, 30 aprile 2004, www.asterisconet.it ; e padova.metropolisnfo.it

[24] Si rimanda a quanto si dice sui gruppi di riferimento e sugli opinion leader.

[25] Cfr. Douglas B.H. – Quelch J. A. – Taylor E.L, How Global Brands Compete, cfr. Haward Business Review, seeptember 2004, pp. 68- 75.

[26] Questo è quanto si apprende da un report pubblicato sul sito ufficiale dell’azienda.

[27] La sua esistenza si apprende da un recente articolo di Repubblica, 7/09/2005, che avvisa dell’arrivo nel panorama delle bibite gassate, della nuova Cola che prende il nome del famoso rivoluzionario argentino: Che Guevara. La bibita riporta la scritta in Spagnolo ‘Revolucion’ e nell’etichetta compare la famosa effige di Guevara, strappata dall’obiettivo di Alberto Diaz Korda nel marzo del 1960 all’Avana e da allora consegnata alla storia ed impressa in t-shirt e bandiere.

La recente nascita del marchio non permette al momento alcuna considerazione sui possibili scenari di sviluppo del brand e del ruolo che può giocare in un contesto internazionale.

[28] La matrice è tratta da un’applicazione pratica della matrice General Electric/Mc Kinsey, la quale pone in relazione l’attrattività dei vari paesi selezionati con la posizione competitiva in essi acquisibile dall’impresa. Si tratta di uno strumento utilizzato nello studio della posizione competitiva acquisibile nel mercato-obiettivo, identificando paesi in cui conviene sviluppare o difendere la posizione competitiva, paesi in cui massimizzare il ritorno sull’investimento o disinvestire, ed, infine, paesi su cui investire selettivamente.

[29] In realtà molti testi sulla letteratura della concorrenza definirebbero la concorrenza fra Mecca-Cola e Coca-Cola come concorrenza diretta, essendo queste concorrenti nello stesso mercato. Si propone qui di definirla concorrenza indiretta, magari di primo livello, per evidenziare come allo stato attuale delle cose l’arena competitiva di Mecca-Cola graviti intorno al segmento bersaglio, rimandando ad un momento successivo lo scontro con i leader di mercato.

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