Sono molti i modi con cui la birra e il suo processo produttivo possono essere utili alla salvaguardia della natura che ci circonda, innescando un “sistema virtuoso”: un ambiente sano e pulito significa maggiore qualità e sicurezza dei prodotti del territorio con i quali la stessa birra viene prodotta.
In primo luogo i prodotti di “scarto” della produzione possono essere riutilizzati in altri ambiti. Il classico esempio è quello delle cosiddette “trebbie”, i residui dei chicchi di malto d’orzo utilizzati nella fase di ammostamento. I chicchi vengono macinati grossolanamente, inseriti in acqua e riscaldati al fine di estrarne le sostanze zuccherine, quelle che forniranno poi nutrimento al lievito; a questo punto il mosto di birra viene filtrato per eliminare l’involucro esterno dei chicchi di orzo. Anche questo residuo, però, presenta sostanze nutritive come proteine, grassi e fibre, utili nell’alimentazione… umana e animale. Le trebbie possono infatti essere ingrediente di prodotti da forno dolci o salati. Ma vengono utilizzate soprattutto nella preparazione del pasto dei bovini, risultando un componente proteico molto importante nella loro dieta e, cosa da non sottovalutare, davvero apprezzato per il suo sapore!
Se le mucche si dimostrano ghiotte di trebbie d’orzo, i suini gradiscono il lievito esausto, che alla fine del proprio ciclo vitale in birrificazione diventa ingrediente del pasto dei maiali.
Anche il luppolo, altra materia prima fondamentale della birra, ha delle proprietà benefiche per alcuni animaletti molto importanti per l’ecosistema: le api. Questi insetti sono minacciati dall’inquinamento ambientale e dalla terribile varroa, un acaro parassita dagli effetti mortali. Alcuni ricercatori americani hanno scoperto che i beta-acidi del luppolo hanno un’eccezionale potere acaricida: non solo proteggono la pianta e i suoi fiori dalle infestazioni, ma ricoprono le api che vi entrano in contatto con una sottile polvere capace di uccidere quasi istantaneamente ogni loro parassita.
Il luppolo coltivato dal birrificio californiano Sierra Nevada
Tutti questi aneddoti dimostrano che il legame tra birra e ambiente è davvero profondo e non è una semplice moda né una trovata di marketing.
I birrifici che hanno capito l’importanza della sostenibilità ambientale per un business a lungo termine si stanno moltiplicando; tra i pionieri possiamo citare Sierra Nevada. L’azienda californiana ha cominciato a produrre birra nei primi anni Ottanta in un impianto riciclato e ha fatto del motto “ridurre, riutilizzare, riciclare” un vero e proprio modello di business. Oggi è riconosciuta in tutto il modo come case study per il ridottissimo impatto ambientale, grazie a investimenti mirati a livello di produzione energetica, riciclo, logistica e agricoltura.
Un discorso analogo vale anche per alcuni birrifici europei. I bavaresi di Wieninger, ad esempio, oltre ad aver investito in tecnologie che limitano al minimo gli effetti sulla splendida natura circostante, hanno aderito al Patto Ambientale Bavarese e supportano finanziariamente progetti per la tutela dell’acqua.
Al di qua delle Alpi, un birrificio agricolo padovano si sta mettendo in luce per progetti legati al territorio e alla difesa e promozione di colture locali e antiche: è il Birrificio Antoniano, con le proprie specialità prodotte con Presìdi Slow Food, e con La Veneta, prima birra a km zero regionale certificata da Coldiretti Veneto.
Il grano Solina, Presidio Slow Food, ingrediente principe di Birra Antoniana La Torlonga
Ma prima di arrivare sul bancone del proprio pub di fiducia, la birra deve essere stoccata e distribuita: anche nella logistica si può perseguire la sostenibilità ambientale. Come fa Interbrau, che ha ottenuto anche quest’anno il certificato “Green Trasport”, rilasciato dall’ente internazionale SHEQ – Safety, Health, Environment and Quality, attestante la riduzione di quasi 70 tonnellate di CO2 grazie a una logistica ottimizzata, comprendente il ricorso a mezzi alternativi al classico trasporto su gomma.
+INFO: www.interbrau.it/birra-e-ambiente