Sono tre le “B” presentate, ad arte, a Le Cantine del Gavi venerdì 16 novembre 2018 durante una cena-degustazione che ha sfidato la memoria dei molti partecipanti rimasti estasiati da Barolo, Barbaresco e Brunello di oltre trent’anni. Cinque veri e propri modelli di longevità, etichette speciali provenienti dalla cantina privata di Alberto Rocchi, chef e fondatore del ristorante insieme alla famiglia abbinate a nove piatti incredibilmente saporiti, intensi e sofisticati, come i vini selezionati dal Sommelier Luca Ivaldi.
Che se diventa difficile ricordare come si presentavano nel momento della loro introduzione nel mercato, nel 1971, 1974, 1976 e 1978, sicuramente non si scorderanno dopo questo viaggio nel tempo in cui non bisognava cercare nuovi paesaggi ma avere occhi nuovi, come già suggeriva Marcel Proust. Occhi liberi di cercare nuove sfumature e di confermare la grandezza di certi veri e propri maestri di esecuzione in territori d’eccellenza italica.
Si partiva dai più “giovani” e dalla Toscana per una comparata orizzontale tra due Brunello di Montalcino: Biondi Santi Il Greppo e Barbi – Colombini. Il primo ha una storia unica nel mondo del vino, iniziata con Clemente Santi, l’uomo del sangiovese premiato già nel 1867 con il suo Brunello all’Esposizione Universale di Parigi. 1978 rientra in una di quelle annate “premium” per i vigneti del Greppo da cui nasce un vino intramontabile, classico, che sin dalla sua prima etichetta prodotta, matura per 36 mesi in botti di rovere di Slavonia, un modus operandi rimasto intatto da oltre un secolo. Come versato mostra tutta la sua stoffa, la sua precisione, una marcia impeccabile come quella di una guardman inglese. Così fitta, così persistente e decisa. È il tannino ancora a comandare l’assaggio con una ciliegia che affiora e si propone con una spolverata di cenere mai invasiva. Si fa compatto, si stringe nel centro bocca per rilassarsi ancora nel suo succo più dolce nel finale.
Con il Brunello di Montalcino della Fattoria dei Barbi – Colombini invece si riscopre la storia della denominazione. L’azienda si estende oggi in 66 ettari di vigneti tra Montalcino e Scansano ed è presente in queste colline dal 1352. Oggi Stefano Cinelli Colombini gestisce questa importante proprietà pionieristica che inizia nel 1817 ad esportare vini in Francia poi in America (1962), in Inghilterra (1969) ed in Giappone (1975) mentre è il 1969 quando partorisce il primo “Super Tuscan” (Brusco dei Barbi). Questa riserva etichetta rossa del 1978 dopo un passaggio in botti di legno per almeno 3 anni di varia capacità passa ulteriori 6 mesi in bottiglia. Leggermente chiuso appena stappato, si trasforma per ore e ore nel bicchiere diventando un vino profondo e sublime per le sue impeccabili note succose di fragola e ciliegia, pure, abbracciate da tannini iodati e via via agrumati a contrastare l’imponente avvolgenza del frutto. La freschezza è tutta ancora in favore alla beva, gioiosa e da riassaggiare.
A seguire è il Barbaresco Santo Stefano del Castello di Neive 1974 a sfoggiare un’eleganza materica e fresca, unica, molto diversa rispetto al sangiovese precedente perché il nebbiolo qui matura in una vigna vocata, esposta a Sud e Sud – Ovest a 240 metri s.l.m. su suoli marnosi con una buona percentuale di sabbia finissima di proprietà da sempre della famiglia Stupino di Neive il cui castello viene acquistato ed adibito a sito produttivo nel 1964. E dopo 42 anni i tannini di questo barbaresco non accennano a svanire, inquadrano la beva con una struttura finissima e solida tale da riproporsi più e più volte al palato con una percussione di piccoli frutti rossi e fiori secchi. Senz’altro poi è la potenza dell’affondo salino a conquistare definitivamente il palato. Un vino incredibilmente ancora sferzante e di grande energia.
A chiudere ci sono poi il Barolo Riserva Borgogno 1974 e il Barolo Grignore Ceretto 1971. Il primo è prodotto dalla cantina più storica del Barolo, Borgogno che ancora oggi assembla le vigne del comune di Barolo: Liste, Cannubi, Fossati, Cannubi San Lorenzo e San Pietro delle viole. Un sincero esemplare della tradizione che dopo quarantaquattro anni si mostra di un colore molto luminoso e un naso deciso, pungente, con aromi di tartufo ma anche di eucalipto e arancia rossa a rendere la beva freschissima quasi tagliente e più sapida nel finale.
Il secondo invece nasce per mano dalla famiglia Ceretto proprietaria oggi di 60 ettari di vigneti, 4 cantine e 17 etichette tutte rivolte alla valorizzazione della tipicità. Come quella del Barolo Grigioré, un vino elaborato esclusivamente per uno dei ristornati stellati più storici de Piemonte, Guido di Costigliole. Una bottiglia rarissima presente nelle cantine sino al 1999 sviluppata con le uve di una parcella di Serralunga d’Alba, Grignoré, oggi parte della MeGa Gabutti. Di colore scuro son ben presenti i frutti rossi e le più nobili delle terziarizzazioni a inseguire e superare una parte più minerale che intensifica le percezioni. È il tannino che sovrasta diventando un solista, un degno elemento identificativo del Barolo, dopo 47 anni.
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