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Se la tostatura rappresenta una delle trasformazioni più catartiche che possa verificarsi in un seme (non si tosta solo il caffè: si pensi per esempio all’orzo, maltato o meno), lo sconvolgimento degli acidi, a qualunque gruppo appartengano, è strabiliante.

 

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Acidi alifatici

Quantità e qualità sono direttamente correlate con ecosistema di coltivazione, specie e varietà, ma soprattutto con l’indice di maturazione dei frutti e con il trattamento che subiscono per la preparazione del caffè verde: i lavati sono generalmente più acidi dei naturali. La tostatura muta radicalmente il panorama acidico del caffè:

  • citrico (0,7-1,4%): a seconda del grado di tostatura ha una perdita dal 30 al 60% e si attesta su valori finali del 3,7-5 per mille. Dalla sua degradazione si originano acidi citra-conico, itaconico e mesaconico;
  • malico (0,3-0,7%): perde dal 15 al 40% e si pensa che dalla sua degradazione si origini l’acido fumarico e il 2-furoico;
  • formico: raggiunge un massimo con tostature leggere e poi decresce. Nel caffè tostato è presente a livelli dello 0,5-1 per mille;
  • acetico: ha un percorso strano, è massimo a tostature medie e raggiunge il minimo con tostature forti. Si ha infatti una formazione di questo acido per decomposizione dei carboidrati, ma quando la tostatura è forte, essendo volatile, è in grado di abbandonare il chicco di caffè. Sul tostato è nell’ordine dell’1,2-4 per mille;
  • lattico: sul tostato è nell’ordine dell’1 per mille indipendentemente dalla forza del processo;
  • piruvico: sul tostato è intorno allo 0,6 per mille indipendentemente dalla forza della tostatura;
  • ossalico: con la tostatura perde il 40%;
  • tartarico: con la tostatura perde il 25%.

 

CoffeExperts di Andrea e Marco Bazzara

 

Acidi clorogenici

Il contenuto in acidi clorogenici è correlato con la specie (nell’Arabica oscilla intorno al 7%, nella Robusta può superare il 10), con l’ambiente di produzione e, soprattutto, con il grado di maturazione dei frutti, in forma inversa. Non solo la quantità decresce con la maturazione, ma cambia anche il rapporto tra monoesteri e diesteri a favore dei primi, quindi si riduce l’astringenza nel caffè. Con la tostatura sono tanto più degradati quanto questa è lenta e piena e, al termine del processo, raggiungono valori compresi tra 2 e 2,5%. Naturalmente la loro degradazione dipende anche dal tipo di acido clorogenico considerato, così come i composti derivanti dalla degradazione.

Effetti sensoriali

Se complesso è il panorama chimico degli acidi, quello sensoriale non può essere da meno. Il primo pensiero che passa per la mente al menzionare la categoria è che un acido abbia sapore acido: è così, ma non solo. Gli acidi clorogenici, originando una parte dei costituenti di base, vanno sicuramente ad aumentare l’acidità del caffè, ma alcuni si legano alle proteine aumentando il corpo, altri fanno a rovescio e turbano l’armonia del caffè dando l’astringenza. Non finisce qui, perché una parte reagisce con i carboidrati formando complessi coloranti, mentre altri si decompongono al punto di formare composti odorosi o capaci di sposarsi ad altre molecole per dare nuove percezioni olfattive, positive o negative. Se da un punto di vista chimico il pH del caffè oscilla, nei casi normali, tra 4,9 e 5,2, questa misura non è sufficiente a descrivere compiutamente l’acidità percepita, dipendendo l’aspetto sensoriale dai singoli acidi che intervengono nel determinarla. Quando, per esempio, si tiene il caffè in caldo (classico il caso del filtro tenuto sulla piastra) l’acidità aumenta per idrolisi di lattoni ed esteri.

 

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Occorre inoltre considerare che, se agli acidi alifatici dobbiamo la freschezza acidica dei pregiati caffè lavati, quelli organici, al crescere della lunghezza della loro catena, hanno basse soglie di percezione (anche 1 ppb) all’olfatto e danno sentori di sudore (butirrico) o marcio (propionico).
Anche gli acidi clorogenici hanno precise soglie di percezione: il più rappresentato, il 5’-CGA, a 50 mg/L, in acqua, evidenzia un sapore amaro; a 500 mg/L insorgono note metalliche e a 1000 mg/L è acido/astringente. Molto interessanti sono i composti odorosi che originano, in particolare i fenoli.

Il caffè verde contiene un bel 4% di sostanze minerali dei quali il più rappresentato è il potassio che può raggiungere l’1,5%. Seguono magnesio, calcio, sodio e ferro, con presenze via via ridotte da 150 a 10 milligrammi, e poi cromo, vanadio, bario, nichel, cobalto, piombo, molibdeno, titanio e cadmio, tutti presenti a livelli di microgrammi.
Il contenuto in minerali è maggiore nei Robusta, poi negli Arabica ottenuti a secco e quindi nei lavati. Sicuramente hanno un ruolo a livello tecnologico e sensoriale, ma non è ancora stato ben chiarito, come una riflessione meriterebbero gli anioni inorganici, tra cui il fosforico. Pare però che ci sia una relazione diretta tra il contenuto in zinco, manganese e rubidio nel caffè verde e il valore edonico della tazza.

 

A cura di Luigi Odello Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè

Fonte: www.coffeetasters.org/newsletter/

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