L’Alchimia Ristorante e Lounge compie un anno. Dodici mesi filati via veloci senza accorgersene, raccogliendo un successo dopo l’altro, imponendosi come un locale di tendenza a Milano. Nella città delle nuove aperture dove la concorrenza non manca, l’Alchimia ha fatto il botto. Una vera e propria Alchimia mania, intesa come attenzione a ogni dettaglio e voglia di migliorarsi e fare bene.
Chi sono gli alchimisti di oggi? La definizione classica di alchimia starebbe a definire quel complesso di magia e scienza in grado di trasformare tutto in oro, oggi forse la vera alchimia applicata alla ristorazione è quella di trasformare una cena, un pranzo o semplicemente un drink in un’esperienza per stare bene. Abbiamo incontrato il patron Alberto Tasinato, piemontese classe ‘85, a pochi giorni dal compleanno dell’Alchimia che cadrà il 19 aprile. Un’intervista in campo neutrale durante la 53^ esima edizione di Vinitaly. Troppo facile per Alberto Tasinato raccontare l’Alchimia a casa sua, ancora una volta succede un piccolo miracolo, riuscendo a portarci dentro la sua creatura a distanza di chilometri in mezzo a stand di vini, liquori e distillati, parlando di sala, di cucina, di lavoro e di futuro per tracciare il bilancio di un anno.
Un anno di Alchimia, ti aspettavi questo successo?
«Ci speravo, dentro di me sapevo che avremmo fatto bene, ma devo dire che il risultato finale è superiore alle aspettative. Avevo uno zoccolo duro di clientela che sapevo che mi avrebbe seguito, il resto è arrivato da sé, grazie al passaparola, alle tante uscite sui media senza un ufficio stampa perché non potevamo permettercelo all’inizio, alla passione di chi ci lavora ogni giorno».
Come nasce il progetto Alchimia?
«La nostra storia ormai è abbastanza nota, siamo tre soci. Patrizia Riccardi, la proprietaria delle mura e Samuele Serra, imprenditore del settore della ristorazione con altri sei locali a Milano che voleva fare un progetto diverso. Poi ci sono io, sin da quando ho terminato l’Istituto Alberghiero anche durante le esperienze importanti al Mandarin o prima al Trussardi con Berton, avevo in mente il sogno di un posto tutto mio che finalmente è arrivato».
Quando è scattata la molla?
«Io ero Restaurant Manager al Seta del Mandarin, contento del percorso professionale che stavo facendo al fianco di un grande professionista come lo chef Antonio Guida. Un paio di incontri a cena con quelli che oggi sono miei soci, mi avevano chiesto qualche consiglio, poi direttamente in cantiere dove sarebbe nata l’Alchimia. Li mi è scattata la molla di creare qualcosa di mio insieme a dei veri professionisti del settore da cui ho imparato molto nella gestione di tutto quello che ruota attorno a un ristorante».
Il nome Alchimia?
«Quella è stata paradossalmente una delle cose più difficili, avevo in mente tutto, ogni minimo dettaglio, ma mancava il nome. Una sera ci siamo trovati insieme ai soci, ho messo in alcuni fogliettini di carta dei nomi, a votazione unanime è stato scelto Alchimia».
Il segreto del vostro successo di questo primo anno?
«Credo che sia stato un mix di fattori, che parte da un concetto di accoglienza di livello alto ma accessibile, sia come prezzi che come tempi. Noi siamo aperti tutti i giorni, partiamo al mattino con un pranzo di lavoro che dura molto a lungo sfruttando una zona di Milano dove ci sono molti studi di professionisti, poi c’è la sera con il cocktail bar per aperitivo, il ristorante per la cena, non ci facciamo mancare nulla».
Quanto ha pesato il momento magico di Milano e la scelta della zona?
«La nostra è una zona abbastanza centrale Viale Premuda, ma non in pieno centro. Milano è una città che sta crescendo moltissimo dal punto di vista della ristorazione, ma noi all’Alchimia abbiamo chiamato uno chef proveniente da Roma, per non essere mai scontati».
Perché la scelta di uno chef romano come Davide Puleio?
«Negli ultimi a Milano abbiamo visto aumentare il livello qualitativo generale di ristorazione, io però volevo un’idea di cucina più legata alla tradizione ma al tempo stesso innovativa. Davide alle spalle aveva esperienze importanti, era sous chef di Luciano Monosilio da Pipero nella sua Roma, prima ancora è stato al Noma di Copenaghen e da Taglienti al Trussardi, quindi per lui si è trattato di un ritorno a Milano. La mia prima scelta è stata lui a una condizione, quella di non mettere in difficoltà nessuno e così ha iniziato subito la sua avventura all’Alchimia».
Il suo Risotto Milano – Roma è ormai diventato un cult?
«Si tratta di un omaggio di Davide che è romano al risotto allo zafferano, che incontra la coda alla vaccinara con un’aggiunta di cacao amaro. E’ forse uno dei piatti simbolo dell’Alchimia, di una cucina interregionale con spazio alla tradizione e all’innovazione».
Valerio Trentani al bancone e in sala ha dato la sua impronta altrettanto forte?
«Con Valerio c’è un rapporto speciale, abbiamo lavorato insieme al Mandarin, la sua ricerca e sperimentazione con i cocktail sono la perfetta espressione del concetto di Alchimia in miscelazione ed è un grande professionista della sala».
Il resto della squadra?
«Siamo un team molto affiatato che lavora nella stessa direzione, abbiamo avuto un tourn-over bassissimo in cucina, fisiologico in sala, segno che abbiamo lavorato bene, la forza di un ristorate è l’insieme di tutti non gli acuti dei singoli».
Tu sei un grande uomo di sala, credi che si sia davvero un’emergenza sala?
«Il problema di trovare persone all’altezza che vogliano lavorare in sala c’è ed è inutile nascondersi, forse bisognerebbe parlarne in maniera diversa ma andando alla fonte. Qualche settimana fa sono andato all’Alma a fare il docente, aula piena per corsi sulla sala, dall’altra parte aule per diventare chef ancor più numerose cinque volte tanto. Per ripartire dobbiamo andare nelle scuole alberghiere e far capire che la sala è la vera anima di un ristorante e c’è tanto spazio».
L’importanza del vino all’Alchimia, considerando che prima in quegli spazi c’era un’enoteca?
«Il ristorante è nato negli spazi che ospitavano la storica enoteca Gabordi e Pogliani, di cui è rimasto il vecchio pavimento molto caratteristico. Il vino è uno dei nostri punti di forza insieme ai distillati di qualità, nel progetto di ristrutturazione abbiamo creato anche una cantina che prima non c’era».
La carta dei vini com’è strutturata?
«Sono circa 600 etichette, spaziamo da grandi classici del vino italiano, etichette che tutti conoscono, arrivando a bottiglie più particolari, magari capendo se il cliente ha voglia di fidarsi della competenza del nostro sommelier Federico Alessio, ex Mandarin anche lui, per farsi portare in un viaggio tra i vitigni autoctoni italiani oppure guardando al vino artigianale dove ci sono molti produttori emergenti. Grande spazio anche ai distillati italiani, a partire della grappa che secondo me ha grandissime potenzialità nella ristorazione con prodotti da lungo invecchiamento che non hanno nulla da invidiare agli spirits internazionali».
Come vedi l’Alchimia nel futuro, è un format replicabile?
«Credo di si, potrebbe funzionare in un’altra zona di Milano magari simile alla nostra, se dovessi pensare invece ad altre città dove potrebbe essere replicabile mi vengono in mente Monza e Treviso, due cittadine di provincia con un centro storico molto bello, vivo e pieno di gente che amano rifugiarsi in un posto come l’Alchimia».
L’Alchimia Lounge bar Ristorante
Viale Premuda 34, Milano
Tel. 02.82870704
www.ristorantelalchimia.com