© Riproduzione riservata
Lorenzo Dabove (in arte Kuaska), il più grande esperto di birre artigianali in Italia, ha condotto per conto di Beverfood.com un’ampia panoramica sui microbirrifici emergenti in Italia dal 2008 al 2018, intervistando i titolari/fondatori di ciascun Birrificio. Questo articolo è dedicato al Birrificio Sagrin con una intervista a Matteo Billa ( www.sagrin.it )
La conoscenza e l’amicizia con Matteo Billia, per tutti Billy, sono ancor più di lunga data e io lo vedo sempre come un mio bambino anche oggi che ha superato la quarantina. Promettente homebrewer, protagonista del bellissimo forum pionieristico it.hobby.birra e co-autore con me e Lelio Bottero del Manuale della Birra edito da Gribaudo. Billy è stato uno dei primi a sperimentare con l’uva e il mosto e oggi nel suo Birrificio Sagrin a Calamandrana nell’astigiano sta continuando e perfezionando questa ricerca che ha nella pelle. Sentiamolo senza altri indugi.
Come e perché avete iniziato la vostra avventura.
Come sicuramente ben ricordi, l’avvicinamento alla birra artigianale si compì ormai parecchi anni fa a fine anni ’90, agli albori del movimento. Come molti, ci avvicinammo all’ambiente come homebrewer. Ai tempi, i birrifici artigianali si contavano sulla punta delle dita delle mani, gli appuntamenti ai raduni ed ai festival erano sporadici ed irregolari durante l’anno. Negli anni, ci siamo dilettati in esperienze casalinghe e professionali, la più importante nel 2007, incentrata su alcune birre per l’epoca rivoluzionarie: birre con il moscato, le antesignane delle attuali IGA. Il movimento intanto cambiò molto, i birrifici crescevano in maniera esponenziale e noi, nel 2014, grazie a una serie di coincidenze ed opportunità, abbiamo avuto la possibilità di pensare seriamente a creare qualcosa di nostro. L’anno successivo il birrificio diventò realtà e la nostra prima Italian Grape Ale finalmente prese vita.
Quali birre/birrai/birrifici, sia italiani che stranieri, sono stati la vostra fonte d’ispirazione?
Sebbene ci siano molte birre internazionali nel nostro background, sicuramente un’influenza importante l’hanno avuta le produzioni artigianali italiane. Il primo amore fu la Super del Baladin, bevuta ad ettolitri al pub a Piozzo, la mia seconda casa per molti anni. Subito dopo, l’attenzione virò verso il magnifico mondo del luppolo arrogante: la Pioneer Pale Ale del grande Mike Murphy, che lavorava a Roma allo Starbess, e la Reale di Leonardo di Birra del Borgo furono fonte di ispirazione e sicuramente ingigantirono la nostra passione per questo mondo tutto nuovo.
Differenze, nel bene e nel male, tra l’epoca della vostra partenza e quella attuale con particolare riferimento all’aria che tirava e che tira oggi.
È passato solamente un lustro dalla nostra apertura ma il movimento ha subito alcuni cambiamenti epocali. Il più altisonante è sicuramente l’entrata a gamba tesa dell’industria nel comparto artigianale, con le acquisizioni di Birra del Borgo e altri: una vera rivoluzione che, nel bene o nel male, ha rimescolato le carte dei birrifici sulla cresta dell’onda. Infatti i birrifici acquisiti, spesso considerati delle bandiere della birra artigianale, vengono considerati ormai ’nemici’, mentre nuove realtà ne approfittano per emergere e riempire proprio quel vuoto di leadership lasciato.
Probabilmente non sono state tutte rose e fiori, sia per gli acquisiti che per i compratori, ma verosimilmente il fenomeno non si è concluso: credo che ci siano numerose realtà artigianali importanti e strutturate che possano interessare il “lato oscuro”, staremo a vedere.
L’altro dato significativo è che in questo periodo il trend di apertura di nuovi birrifici si è azzerato, addirittura si riscontrano numerose chiusure. Questo è senz’altro un campanello d’allarme che indica la necessità di attori maturi, con progetti seri, e non più storie ’naïf’ e un po’ raffazzonate, come accadeva spesso 10 – 15 anni fa. Questo, probabilmente, porterà a una ancor più forte suddivisione tra birrifici “hype”, alla ricerca della novità e dello “strano”, e birrifici indirizzati alla pulizia e alla semplicità del prodotto, che strizzano l’occhio agli stili tradizionali. Noi siamo nel mezzo, ma se dovessimo scegliere punteremmo senz’altro al secondo gruppo: non consideriamo vincente, per il nostro progetto, la ricerca e la produzione di birre a seconda della moda del momento.
Avete qualche sassolino nelle scarpe?
Sassolini no, noi abbiamo un’idea, un progetto, e lo portiamo avanti con umiltà e tanto lavoro. C’è solo un po’ di amarezza, perché se guardiamo all’esempio americano, in confronto noi siamo dei provincialotti, rinchiusi nel nostro orticello che cerchiamo di nascondere in tutti i modi il trucchetto magico che ha fatto diventare più verde la nostra erba rispetto a quella del vicino. Negli USA ci sono associazioni e forum dove i birrai, da Calagione all’ultimo neo-homebrewer, si scambiano esperienze e consigli, col risultato che tutto il movimento statunitense cresce. In Italia, al di fuori di rari gruppetti o di amicizie personali, tutto questo non accade ed è un peccato, perché probabilmente va a discapito di tutto il movimento nostrano.
Cosa vi fa andare avanti e quali sono le prospettive future?
Il carburante del progetto è lo stesso che l’ha innescato: la passione per la birra e la volontà di creare qualcosa di nuovo, che valorizzi anche il territorio in cui viviamo e in cui siamo cresciuti. Siamo uno dei pochi birrifici che hanno più di una referenza di IGA a catalogo e ciò la dice lunga su quanto crediamo nello stile e quanto vogliamo lavorare col nostro territorio.
Il nostro futuro probabilmente andrà in questa direzione, cercando di lavorare sempre più “per” e “con” il territorio, sviluppando birre e proponendole il più possibile a livello locale, con pochi e selezionati collaboratori coi quali sappiamo poter lavorare bene e in simbiosi.
Una battuta per concludere: “Quale birra avreste voluto creare voi e che invidiate ai vostri colleghi, sia italiani che stranieri?”.
Sono veramente tante le birre dei colleghi che sono state fonte di ispirazione: qua si rischia sempre di far torto a qualcuno. Abbiamo deciso di indicare una birra italiana dello stile a noi più caro, l’Italian Grape Ale, cioè la BB10 del Birrificio Barley, per noi uno dei migliori esempi dello stile. Come birra straniera, la Pliny the Elder ha rappresentato l’esempio più estremo ma al contempo equilibrato di birra luppolata dal quale abbiamo preso spunto, già da homebrewer, per sviluppare le nostre birre “hophead”.
+Info: www.sagrin.it
© Riproduzione riservata