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La Regina delle Ebridi, come la chiamano loro, si riconosce dal profumo. Di quelli che basta inspirare appena per sentire le narici bruciare, una scossa salmastra di mare e carattere che arriva dritta ai pensieri. Odori figli del tempo e della terra, della flora delle isole scozzesi di cui Islay è tra le perle più decantate: località specchio del popolo di Sant’Andrea, impervia e fertile, riservata e calorosa, se la si comprende e la si apprezza senza fretta. Per una vita, in Islay, è esistito un solo combustibile naturale cui era facile ed economico accedere: la torba, divenuta poi la griffe d’eccellenza sul prodotto locale più iconico.
All’estremo sud dell’isola di Islay c’è la bella buca sulla bella baia, Laphroaig: e mai sbiadita dai venti o dalle mode, la fotografia sul passaporto di questa landa è una distilleria dai muri bianchi, sul cui lato più esposto viene ridipinta a tinte scure l’insegna ormai diventata leggenda. È su quella stessa parete che battono, fisicamente, le onde rabbiose del Canale del Nord, spicchio d’oceano tra Scozia e Irlanda: milioni di volte l’anno, un abbraccio violento che avvolge e si ritrae, senza riposo. L’acqua che filtra attraverso la calce crea una patina di muffa e impurità all’interno della distilleria, esattamente nella stanza dove riposano le botti di Laphroaig: natura, scienza, e per chi ci crede, magia. La ricetta dello scotch più riconosciuto al mondo è tutta qui, in quello scambio di emozioni e sentori tradotto nei tratti sapidi, imperfetti e graffianti che restano nel cuore e nella mente.
E sull’effetto organolettico scatenato da quest’alchimia, se ne sono dette di ogni. Per gli esperti, per i neofiti, per chiunque, annusare Laphroaig, nella classica versione 10yo (esistono più invecchiamenti, e su tutti valgono la pena il Quarter Cask e il Lore) è come ricevere un calcio in faccia da un cavallo, oppure sentire urina di gabbiano. Tutti commenti che la distilleria ha raccolto e trascritto all’ingresso del proprio stabilimento, come monito, ricordo, messaggio: sarà quello che sarà, ma provare Laphroaig è un momento che di certo rimarrà impresso nella memoria. Su queste basi si sviluppa dunque la nuova campagna digital di Laphroaig 10yo, distribuito da Stock Spirits, che punta a consacrare ancora di più l’esperienza del torbato per eccellenza.
#OpinionsWelcome, ogni opinione è benvenuta, a maggior ragione quella delle nuove generazioni di consumatori, probabilmente abituati a trovare la distintiva bottiglia oblunga sugli scaffali dei propri bar preferiti, senza però avere idea della storia mitica che vi è contenuta, raccontata egregiamente dal brand ambassador Marco Gheza, durante l’incontro con la stampa la scorsa settimana, all’Officina Milano: una distilleria celebre e controversa fin dal 1815, anno della fondazione dei fratelli Donald e Alexander Johnston, che lasciarono saggiamente la sala comandi al nipote Ian Hunter nel 1908. Fu lui a lanciare Laphroaig nel mondo, raffinandone la ricetta che da ormai oltre ottant’anni non cambia di una goccia (dell’acqua del fiume Kilbride, al centro di un’altrettanto leggendaria disputa e oggi di proprietà della distilleria), scolpendo a ogni sorso la tradizione e la continuità del prodotto riconoscibile per eccellenza.
È il passo fondamentale che Stock Spirits, rappresentata dal managing director Marco Alberizzi, ha coraggiosamente deciso di muovere per aprire le porte di Laphroaig ai consumatori più giovani, troppo spesso ostacolati (quando non spaventati) dall’impatto olfattivo del 10 years old. Stupende, infatti, sono le fotografie divenute emblema della nuova campagna mediatica, che ritraggono le reazioni genuine e spontanee di chi si è appena approcciato al whisky torbato per antonomasia: perché potrà piacere o no, ma è vero quello che si legge in bianco e in verde: ricorderete per sempre il vostro primo Laphroaig.
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