Galeotto fu il risotto. Crema di peperoni, polvere di alici e burrata. Maggio 2014, la mia prima volta a La Bul. Tre anni dopo torno in Via Villari, nel cuore di Bari per un’intervista con lo chef patron Antonio Scalera. Tre anni in cui sono cambiate molte cose. Prima di tutto a La Bul. È un sabato, non certo il giorno migliore per un’intervista allo chef.
“Per cenare al sabato sera a La Bul ci vogliono almeno due settimane per trovare un posto libero”. Un segnale di un’insegna che ormai è diventata un punto di riferimento del capoluogo pugliese, grazie al lavoro di Antonio Scalera in cucina e della compagna Francesca Mosele in sala. Ma non è sempre stato così, allora vogliamo ripercorrere la storia di Antonio Scalera, della Bul e dei suoi progetti.
– Partiamo dagli inizi, dal tuo percorso. Laureato in giurisprudenza, come sei arrivato in cucina?
– Esattamente il giorno dopo la laurea sono partito, avevo capito che la mia strada fosse la cucina, sin da quando gli amici mi chiedevano di mettermi ai fornelli. Un po’ per gioco, ma appena ho finito il percorso di studi in altri ambiti ho voluto fare sul serio il cuoco e sono andato all’estero per imparare.
– Quali sono state le tappe fondamentali?
– Ho lavorato duro, girando tante cucine, come tappe fondamentali direi che ci sono stati quattro anni a Madrid e poi l’incontro con Ducasse per formare il mio dna gastronomico. Una cucina fatta prima di tutto di conoscenza della materia prima, per arrivare a fare un piatto devi conoscere la materia prima. Oggi vedo molto giovani che si avvicinano alla cucina più attratti dall’estetica, questo non è un bene.
– Come nasce La Bul?
– Dopo molti anni in giro per il mondo pensavo che fosse arrivato il tempo di fare qualche cosa di mio, anche perché non ho l’indole da dipendente e così decido di aprire a Bari, la mia città, portando tutto il bagaglio di esperienze e conoscenze. Il nome è nato per gioco, Francesca è freddolosa e io le preparavo “la bul” dell’acqua calda. Ci abbiamo messo tutto qui dentro, non solo come sforzo economico ma soprattutto in termini di energia. Questo era un locale sfitto da molti anni, qui a metà anni ‘50 c’era la sede del partito socialista italiano, abbiamo preso e messo a soqquadro tutto per aprire nel 2011.
– L’inizio come è stato?
– Un boom, tutti volevano venire a provare la novità, ma fu una sorta di fruscio di scopa nuova. Il barese è un cliente esigente ma che di fatto è molto legato alla tradizione. Possono anche nascere discussioni sul fatto che mia nonna fa le orecchiette meglio della tua, le orecchiette non le puoi proprio toccare. Bari è ancora legata a un concetto di ristorazione del passato, grandi buffet in cui non si concede troppo alla sperimentazione. Dopo il botto iniziale, dove avevamo anche una serie di cose da sistemare visto che l’apertura di un ristorante è come una macchina, bisogna mettere insieme bene tutti i pezzi, iniziamo a entrare in una crisi profonda.
– Come avete fatto a risollevarvi?
– Non è stato facile, oggi racconto questa storia ma è stato un periodo in cui avevamo pensato anche di mollare tutto e ritornare a fare la vita che facevamo prima, in cui sia io e Francesca guadagnavamo bene senza troppi pensieri. Ricordo ancora che una sera chiamai i ragazzi, gli dissi che eravamo in difficoltà che dovevamo tirare la cinghia per qualche mese. Il giorno dopo arrivarono nove lettere di dimissioni, tranne una, un ragazzo del Bangladesh oggi sous chef che all’epoca era lavapiatti, lui mi disse che rimaneva. Quella cosa mi fece pensare, decidemmo di rimanere ancora un po’, di resistere, ma ci fu un altro episodio curioso. Arriva qui un ragazzo, Aspreno Lapo Pesce, vuole lavorare a tutti i costi con me. Io avevo mille altre cose in testa, gli dico di si, ma mi rendo conto che non era nemmeno in grado di allacciarsi la giacca da cuoco. Oggi quel ragazzo dopo essere stato insieme con me quattro anni fianco a fianco è diventato lo chef di Stammibene, altro progetto in cui ho creduto molto, un mercato con cucina aperto da settembre a Bari.
– Torniamo un attimo a La Bul, come avete fatto a riconquistare Bari?
– Il barese è molto esigente e viene da una ristorazione tradizionale ma comunque di livello. Non ci eravamo resi conto che nonostante le difficoltà iniziali incontrate, avevamo comunque seminato bene, visto che la gente piano piano ha continuato a tornare. Abbiamo imposto il nostro concetto di cucina di qualità democratica, accessibile. Regalare un’esperienza anche di convivialità, così la gente ha iniziato a tornare a La Bul e siamo ripartiti alla grande più forti di prima.
– L’importanza della sala a La Bul?
– Conta il 50%, Francesca sa raccontare i piatti come se lo facessi io, è una grandissima padrona di casa, ma soprattutto riesce ad abbinare il vino giusto a ogni portata esaltandola. La sua è una gestione dinamica della cantina, fa girare il vino, una carta in cui abbiamo un 400 etichette che sceglie con il cuore, dal giusto rapporto qualità prezzo.
– Quanto conta fare promozione?
– Dire che è fondamentale, una volta che ci siamo instradati nella giusta direzione a La Bul, ho iniziato a essere un po’ meno orso e a uscire dalla cucina. Fare eventi, congressi, girare, credo che questo sia fondamentale per una crescita professionale ma anche per promuovere la propria immagine e riesci a farlo solo se hai una squadra che ti supporta, perché il cliente deve mangiare lo stesso piatto anche se non c’è lo chef in cucina.
– Raccontami di Stammibene?
– Sono sempre stato un tipo più propenso a dire no quando mi venivano fatte delle proposte, ma quando ho conosciuto Francesco Pomarico, nel frattempo diventato prima un nostro assiduo frequentatore e poi un amico, ho cambiato idea. Ho deciso di fare qualcosa insieme sposando il progetto e la filosofia di Stammibene, iniziando a capire come lavora un gruppo come Megamark che non a caso è tra le prima realtà nella Gdo non solo nel sud Italia. L’esordio di Stammibene è stato positivo, mi piace quest’aria di novità che abbiamo portato in una zona vivace come quella dell’Università in centro a Bari, concept di mercato con cucina, dove facciamo una proposta di ristorazione basata sulla freschezza delle materie prime. Anche in questo caso c’è stato il botto iniziale con numeri importanti, ma è un lavoro continuo per cercare di capire le esigenze della nostra clientela, con un grande lavoro di gruppo coordinato da Alessandro Milella.
– L’esperienza della cucina kosher al matrimonio vip dell’anno 2017?
– Molto interessante, quando mi ha chiamato Domenico Schingaro chef del Due Camini, anche lui barese come me, ci siamo subito messi a studiare. All’inizio stavamo dando di testa, la cucina kosher ha una tecnica molto particolare e regole che prevedono la separazione tra alimenti puri e cibo di uso comune. Avevamo un menù con venti fogli appesi in cucina e dovevamo rispettare della tabelle mostruose. Abbiamo fatto qualche cosa di unico e forse irripetibile che rimarrà nella storia, anche se credo che la strada da seguire non sia necessariamente quella.
– Credi che i matrimoni vip siano una leva turistica per la Puglia?
– Ritengo che una struttura come Borgo Egnazia e in generale la famiglia Melpignano siano dei grandissimi professionisti che stanno facendo un lavoro straordinario per la valorizzazione turistica della Puglia in Italia e nel mondo, un vero traino. Non penso invece che siano i Sutton o altre persone che arrivano da fuori a doverci indicare la strada che deve seguire la nostra cucina, quella la dobbiamo decidere noi. Credo a un’idea di Puglia Rural Chic, la gente deve venire da noi per stare bene, per vivere un’esperienza rurale ma al tempo stesso di charme, indimenticabile e di livello.
– Il futuro della cucina pugliese?
– Stiamo costruendo un bel movimento, con alcuni chef e ristoratori ci sono rapporti solidi di collaborazione e amicizia. Penso a Felice Sgarra con l’Umami ad Andria, Angelo Sabatelli con il suo ristorante a Putignano, Antonello Magistà con il Pasha a Conversano per esempio, tutta gente seria che lavora bene e ha le idee chiare. In Puglia non abbiamo nulla da invidiare a nessuna regione magari più celebrata. La mia idea è che la ristorazione pugliese deve tornare a far venire voglia alla gente di uscire, per stare insieme, mangiando in maniera semplice e ricercata al tempo stesso, abbiamo dei prodotti da urlo da valorizzare, dal pescato alle verdure, portando anche contaminazioni da fuori. Ristoranti non per forza di lusso, la differenza la deve fare quello che sta nel piatto, non il tovagliato. Funzioneranno sempre più format tipo bistrot e osterie di qualità per vivere esperienze gastronomiche da raccontare.
La Bul
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