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Secondo l’Istat si attesta a +1,2% la crescita del Pil nel 2010, mentre le esportazioni dell’intero Made in Italy hanno raggiunto 337,5 miliardi di euro contro i 364,8 delle importazioni. In questo contesto la crescita del settore vino mostra una sensibile accelerazione, legata alla ripresa del ciclo economico. Il differenziale in valore rispetto a fine 2009 risulta essere +11,9% contro +9,8% di novembre, passando da 3511 a 3920 milioni di euro, record per il settore. I volumi confermano un incremento parallelo (+11%) lievitando da 20 a 22,4 milioni di ettolitri, arrivando così a sfiorare la soglia del 50% dell’intera produzione nazionale. Numeri che comunque fanno crescere il peso del vino all’interno della bilancia commerciale italiana fino ad arrivare a 1,16% per l’intero 2010.

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La commercializzazione nei mercati esteri, quindi, ha assunto un ruolo sempre più determinante per il sistema produttivo, mettendo in luce le debolezze strutturali delle imprese orientate esclusivamente al mercato interno. Nell’Unione europea la quota export attribuita al vino risulta essere, nel periodo gennaio/dicembre 2010, dell’1,09%, mentre nei Paesi terzi, sempre nello stesso periodo, è pari a 1,26%. In termini di flussi, l’Unione europea, pur crescendo del 7%, registra una perdita della quota posseduta nel 2009, passando dal 56 al 54%. Grande exploit invece di Russia, Cina, Brasile, Danimarca e Canada, ma soprattutto è da registrare l’ampio recupero del mercato statunitense. Insomma, per passare dai numeri alle parole, il 2010 è stata una grande annata per l’export del vino italiano. La ripresa nel nostro settore c’è e si vede.

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Una delle caratteristiche delle esportazioni nell’anno passato è il coinvolgimento di quasi tutte le aree produttive: poche sono le regioni italiane non coinvolte in questa fase di ripresa, che esprime indirettamente un generale consenso e apprezzamento del consumatore internazionale alla produzione italiana nel suo complesso. Tra le possibili motivazioni dei crescenti flussi export, anche nel recente periodo di crisi, alcune risposte sono da ricercare nelle motivazioni di carattere sociologico che travalicano le caratteristiche qualitative del prodotto, rientrando a pieno titolo nella sfera del valore immateriale che da sempre contraddistingue il vino italiano. Da alimento o semplice bevanda esso si è trasformato in genere voluttuario, il cui consumo evoca atmosfere, luoghi, persone. La forte identità del vino italiano, l’unicità dei vitigni autoctoni e le molteplici valenze del “vino di territorio” entrano in sintonia con i linguaggi e i desideri del consumatore globale, le cui scelte risentono dei cambiamenti sociali in atto e che ormai, anche grazie alle nuove tecnologie e alla facilità di creare e sviluppare nuovi reti di comunicazione, si pone sempre più non come anello passivo di una filiera commerciale, ma quale attore autorevole in grado di far sentire le proprie istanze e crearne di nuove.

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