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La birra è sempre più una bevanda di tendenza tra gli italiani. Il suo consumo è salito a 30,3 litri pro capite, e soprattutto, assoluta novità, è diventata – secondo l’ultima ricerca Makno – la bevanda alcolica più bevuta nei pasti fuori casa durante la settimana (la consuma il 19,8% degli italiani, contro il 18,8% degli interpellati che dichiara di preferire il vino). Se la birra oggi è così di moda, va detto che non sempre è stato così: il percorso della birra in Italia è un’avventura complessa e travagliata, fatta di momenti esaltanti e di altri più negativi.


Secondo Birrainforma.it, i primi consumatori di birra “italici” furono gli etruschi, che erano soliti pasteggiare con una bevanda chiamata pevakh, fatta inizialmente con segale e farro, poi con frumento e miele. Anche i Romani, influenzati dalle popolazioni del Nord Europa, apprezzavano il sapore della “Cerevisia” . Tra i suoi estimatori più famosi si ricorda Nerone e Agricola, il governatore della Britannia. Ma nei secoli, di aficionados importanti la birra ne ha avuti molti: la regina longobarda Teodolinda, Papa Clemente V, il condottiero Federico Barbarossa ed il principe Ludovico il Moro.

I primi produttori italiani di birra furono niente meno che i monaci di Montecassino, che nel Medioevo lanciarono una tradizione che ancora oggi sopravvive nelle celebri Trappiste dei conventi belgi ed olandesi. La data simbolica in cui si fa iniziare l’era industriale della birra è il 1789, anno in cui fu concesso dai sabaudi a Giovanni Baldassare Ketter di Nizza Monferrato il privilegio di fabbricare birra “per la città e per il suo contado”. In realtà, fino alla fine del XIX secolo, la produzione di birra in Italia sarà a dimensione artigianale. Mancando la tecnologia necessaria per creare e controllare il freddo, i primi siti produttivi (Spluga, Pedavena, Poretti) vennero creati al nord, nelle vicinanze delle catene montuose alpine, così da reperire la bassa temperatura necessaria per avviare il processo di fabbricazione direttamente dalla natura.

Al sorgere del nuovo secolo la birra comincia a diventare di moda, in pochi anni in Italia si contano quasi 100 fabbriche di birra e 600.000 ettolitri prodotti. Le aziende cominciano anche a dedicarsi alla comunicazione pubblicitaria per vendere meglio il loro prodotto: storico il “ciociaretto” Peroni, un ragazzo con le “ciocie” ai piedi che regge in mano una birra ghiacciata o i “mori”, anzi, “moretti”, dei manifesti Moretti. Nel 1907, per riunire in un’unica associazione le diverse realtà appena nate, prende vita l’Unione degli Industriali della Birra, voluta fortemente dal ragioniere milanese Emilio Villa.

Dopo le difficoltà dovute allo scoppio della prima guerra mondiale, che comunque porterà in dote all’Italia le città di Trento e Trieste con le loro 8 fabbriche avviate dagli austriaci tra le quali la Dreher di Trieste e la Forst di Merano, gli anni 20 rappresentano l’età dell’oro per la birra in Italia. In questo periodo si affermano infatti aziende che presto diventeranno le grandi realtà industriali del settore (Poretti, Pedavena, Moretti, Wührer, Menabrea, Peroni, Raffo, Ichnusa), la produzione nel 1925 è di 1,56 milioni di ettolitri di birra e anche il consumo pro-capite raggiunge quote interessanti (3,5 l.).Proprio a causa della popolarità raggiunta in quel periodo tra gli italiani, le tassazioni sulla birra si fanno sempre più pesanti, tanto da costringere le aziende ad alzare il prezzo del loro prodotto. Negli anni ’30 si assiste così ad un netto calo dei consumi e della produzione, che porta i birrai italiani a realizzare la prima campagna collettiva sulla birra “Chi beve birra campa cent’anni”.

Nel 1942 nasce il baffo Moretti, tutt’oggi icona della pubblicità nostrana, mentre, terminato il secondo conflitto bellico, i consumi tornano a crescere e, dopo la conversione corporativa del ventennio, viene rifondata un’associazione di categoria. Ma sono soprattutto gli anni in cui un nuovo apparecchio entra nelle case degli italiani: la televisione. I produttori ne colgono subito la grande potenzialità e così carosello viene “inondato” di fiumi di birra grazie a testimonial d’eccezione come Fred Buscaglione, Mina e Ugo Tognazzi.

Nei primi anni settanta, grazie anche all’invenzione del frigorifero che consentì alla birra di accedere più facilmente alla famiglie italiane, crebbero notevolmente i consumi pro-capite (16,5 l.) e la produzione (9 milioni di ettolitri), ma una nuova crisi era alle porte: la congiuntura economica colpì anche il settore birrario, già pesantemente penalizzato dalla pressione fiscale. Nonostante ciò si continuò a puntare sulla comunicazione, prima tentando di destagionalizzare il consumo di birra, fino ad allora reputata una bevanda esclusivamente estiva, e poi di esaltarne le virtù, compito affidato alla figura di Renzo Arbore e alla sua celebre frase “birra…e sai cosa bevi”.

Gli ultimi trent’anni sono stati caratterizzati da una crescita lenta ma costante della produzione e del consumo di birra in Italia, favorita anche dall’ammodernamento delle fabbriche e dall’ingresso di capitali stranieri nel mercato nazionale. E’ il caso, ad esempio, della compagnia olandese Heineken, della multinazionale SabMiller e del gruppo Carlsberg. Accanto a queste importanti multinazionali bisogna però ricordare le storiche realtà nazionali come Forst (Alto Adige) o Menabrea (Piemonte) ed altre più recenti come Hausbrandt (Veneto), che ha rilanciato l’antico marchio triestino Theresianer, o la Birra Castello di Udine, che ha recentemente acquisito lo storico marchio Pedavena.

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