Il tema dell’astucciamento delle capsule sta suscitando sempre più interesse da parte dei torrefattori. Per questo abbiamo intervistato Matteo Pattuelli, direttore generale di Senzani, azienda specializzata in macchinari e tecnologie per l’imballaggio automatico, primario e secondario, che ha risposto alle domande più frequenti di chi vuole inaugurare una nuova linea di produzione di capsule.
Che cosa significa intraprendere una nuova produzione di capsule in termini di organizzazione aziendale?
Il primo punto consiste sicuramente nell’essere consapevoli che le dinamiche proprie dell’astucciamento delle capsule sono molto diverse da quelle che fanno parte del flusso normale di una torrefazione. In Italia esistono torrefazioni anche centenarie, che hanno una conoscenza storica di tutte le fasi che portano il caffè dalla selezione in grani fino alla commercializzazione di quello in polvere. Tuttavia la tecnologia che sta alla base di incapsulamento e astucciamento modifica sostanzialmente i flussi di lavoro tradizionali, a cominciare dalla materia prima, che nel caso delle capsule deve essere, ad esempio, macinata in maniera differente. Il torrefattore che si appresta a inaugurare una linea di produzione di capsule deve essere consapevole che si tratta di un processo dedicato, che coinvolge sia l’aspetto impiantistico a monte, sia la strategia di marketing per quanto riguarda la vendita. Prima di iniziare quindi, è necessario avere le idee molto chiare sul prodotto che si vuole ottenere.
Che tipo di know how tecnico deve avere il torrefattore per gestire la linea produttiva?
È necessaria una conoscenza tecnica specifica sul funzionamento dei macchinari e dell’intera filiera produttiva, che permetta di scegliere il sistema di incapsulamento più conveniente. Per questo è importante farsi affiancare da un professionista che supporti nel processo decisionale il torrefattore, istruendolo per esempio sulle diverse caratteristiche delle capsule autoprotette e non autoprotette.
Quale impatto può avere la scelta della tipologia di capsule?
La tipologia scelta avrà un impatto notevole sia sui costi, sia sull’organizzazione della produzione, perché mentre le capsule autoprotette possono essere astucciate senza sovraimballi, quelle non autoprotette, essendo traspiranti, hanno bisogno di essere confezionate singolarmente in un flowpack e successivamente astucciate. La maggiore complessità della capsula autoprotetta viene però ben compensata da una più facile logistica: infatti i sovraimballi occupano molto spazio sia di stoccaggio, sia di trasporto, mentre, a parità di pallet, il sistema di capsule autoprotette consente di trasportare un numero quasi doppio di tazzine di caffè. Questo certamente è uno dei motivi della maggiore diffusione di capsule autoprotette. La consulenza globale, in questa fase di scelta, risulta pertanto strategica al pari di quella del marketing sul mercato di riferimento.
Di che tipo di macchinario deve dotarsi il torrefattore?
La caratteristica fondamentale che deve avere la macchina è la flessibilità, sia di formato, sia di velocità di lavoro. Prevedere la possibilità di un cambio di formato degli astucci e del numero delle capsule può rivelarsi strategico per il futuro, perché le esigenze produttive e di marketing sono sempre mutevoli nel tempo.
Per minimizzare i costi e i flussi di lavoro, servono impianti personalizzati che garantiscano l’azzeramento degli scarti di produzione e quindi l’ottimizzazione fino al 100% della produzione, anche nel caso di arresto della macchina. Questo deve rappresentare sicuramente una delle garanzie migliori per i torrefattori che vogliono inaugurare una linea produttiva di capsule.
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Barbara Todisco