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Incominciamo con il dire che scrivere di Borgogna è pratica piuttosto difficile e che richiede una certa conoscenza circa la sua storia e delle annate, così da poter comprendere meglio le reazioni delle volte palatine delle bacche che la rendono celebre, Pinot Noir e Chardonnay.
E mentre rileggiamo gli appunti della degustazione organizzata da Pellegrini (distributore di vini italiano) per presentare la propria selezione – la propria visione, di Borgogna, rispetto a quanto offre la regione stessa perché “sono pochi i Domaine liberi e non ancora distribuiti in Italia” – dice Pietro Pellegrini – ci chiediamo cosa direbbe, oggi, davanti a un bicchiere di vino della Côte d’Or (bianco o rosso) l’ideatore della matita – per intenderci la mina foderata di legno giallo – Nicolas-Jacques Conté. Colui che ha saputo inventare un oggetto rimasto indissolubilmente classico ed eppur contemporaneo. Un oggetto che noi tutti conosciamo, usiamo e lo identifichiamo, come giallo – tralasciando le matite meccaniche colorate e di plastica. Ma la matita in realtà è molto, molto di più. È uno strumento che permette di realizzare quello che si ha in testa o di replicarne un altro sia esso un oggetto, un volto, un paesaggio, e cosi via. Ma mai uguale. Perché ogni persona ha un tratto diverso. Ecco, i vini di Borgogna sono il risultato dell’uso delle matite: hanno un potere incredibile di raccontarti una storia, un’arte, un disegno di prospettiva sempre e sapientemente diverso in grado di profumare esclusivamente di un luogo specifico. E questo luogo pare mutuare, anche se solo in qualche sua ombra o sfumatura, ogni annata e in ogni centimetro di terreno. E questo lo sanno bene i francesi e gli amanti dei vini di questa regione vitivinicola sempre in cerca di quelle etichette classificate come Grand Cru, Premier Cru o Village da strappare al miglior prezzo possibile.
Pellegrini, con la sua selezione, riesce ad accontentare tutti. Nel suo parterre troviamo ben molti Domaine piazzati in villaggi diversi per un viaggio incredibile da Chablis a Rully, passando per Morey-Saint-Denis, i magici Vougeot e Chorey-lès-Beaune ed atterrare nel finale nelle terre più vocate per i vini bianchi, Chassagne Montrachet.
Vi raccontiamo i Domaine descrivendo i vini che rappresentano al meglio, per noi, l’interpretazione del vitigno e del cru di origine.
CHABLIS
Domaine Bernard Defaix: la quarta generazione, formata da Sylvain e Didier Defaix, e la moglie Helene gestisce 27 ettari in bio di cui 11 classificati 1er Cru (Côte de Lechet, Les Vaillons e Les Lys). Defaix, tra i produttori più emergenti della zona dello Chablis (1500 ettari totali) a sinistra del Serein, pone molta attenzione alla potatura e alla scelta del legno in vinificazione che avviene in fusti, non sempre nuovi, per tutti i vini. Elevage sempre in legno ma non per tutte le etichette.
Nei vini il disegno è sempre su un piano minerale sottile, una filigrana che accompagna il gusto, che se all’inizio è celato, poi diventa quasi sfrontato. Nel caso dello Chablis 1er Les Lys 2017 è sferzante la pioggia di agrumi così come la potenza tannica che rilascia scorze di arancia candita tutte intercalate in un retrogusto molto persistente.
MOREY ST. DENIS
Domaine Lignier Michelot: lo stile di questa Casa è giocato tutto in favore della dolcezza e per farlo si usa il grappolo intero per l’85% o 100%. Per il lavoro dei 13 ettari di proprietà l’approccio è di quelli bio; le vigne si trovano per per la maggior parte a Morey St. Denis (120 ettari totali) ma non mancano parcelle a Gevrey Chambertin e Chambolle Musigny. E se la storia della cantina inizia con Lignier Michelot fu in seguito il figlio Maurice a dedicarsi totalmente alla produzione di vino inizialmente venduto ai négociant di Borgogna. Ma è con l’acquisto di nuove vigne e l’ingresso in azienda di Virgile Michelot che inizia la vera sfida per questa famiglia. Si respira la ricerca di un personale timbro stilistico, un desiderio di manifestare l’unicità nascosta dal legno nei primi anni. Via via la fibra si fa molto più minerale, si apprezza tutto il carisma del suolo – la sua profondità – quel mix di atomi che sconvolgono la beva. Accade sopratutto con il Morey St. Denis 1er Cru Yes Chenevery 2017, vino che nasce da piante di 30 anni in appena 0,25 ha su suolo argilloso e ciottoloso e ricco di marna rossa. Bisogna proiettarsi tra qualche anno per goderselo in tutta la sua figura perché i due anni passati in legno sono in rilievo rispetto alla bella ampiezza e le sensazioni sapide e freschissime che non solo accompagnano il sorso, lo rilanciano.
VOUGEOT
Domaine Bertagna: la cosa che colpisce di più di questa azienda è sicuramente la tenacia di chi oggi la governa, Eva Reh-Siddle. Di origine tedesca, della Mosella, è il padre ad acquistare il Domaine nel 1954 e la prima vigna. Eva, nell’ultima decade, oltre ad aver modernizzato la cantina ed acquistato nuovi ettari è riuscita ad inserirsi tra i Domaine emergenti, quelli più chiacchierati. I 17 ettari di proprietà (1 solo di Chardonnay a Corton Charlemagne) sono un po sparsi in Borgogna, si passa dalle Hautes-Côtes a Vosne Romanée, a Vougeot (dove non distante dal Château Vougeot si trova la cantina), Aloxe Corton e Corton Charlemgne, per una produzione di cinque Grand Cru, sette Premier Cru e due Village. Una ricchezza e un patrimonio gestito con precisione e con leggerezza. In tutti i vini si lavora sul frutto, l’uso dei raspi è al 100%, e si fermenta direttamente in legno per almeno 3 settimane. Affinamento in botti nuove per 12-15 mesi per il 30-50% (Grand Cru) e 20-30% (Premier Cru e Village).
Il sorriso di Eve e la sua presenza scenica, impattante ma molto accogliente, sono tutti evidenti nel Vosne Romanée 1er Les Beaux Monts 2017, in cui si apprezza una cinta tannica perfetta, minerale e speziata che fascia e sopporta il sorso con un succo poderoso che avvolge, ancora, il palato. Nel Clos Vougeot Grand Cru 2017 ci sono invece il peso e la solidità del cru. Eucalipto, frutti blu con una potenza mai arrestata, normata da un’acidità impeccabile che cattura oggi e che certamente continuerà a farlo nel tempo.
CHOREY LÈS BEAUNE
Domaine Arnoux: quarta generazione alla guida della Casa che vanta 22 ettari di vigne di cui 18 destinati al Pinot Noir, 3 e 1/2 allo Chardonnay e un mezzo ettaro all’ Aligotè tra i comuni di Chorey-Lès-Beaune, Savigny-Lès-Beaune, Aloxe-Corton, Beaune, Pernand-Vergelesses e Echevronne. Sono ben 140.000 le bottiglie prodotte da Pascal entrato in azienda nel 1997. Che per la sua prima vendemmia dovrà aspettare dieci anni, il tempo necessario per la comprensione del proprio stile con i cru a disposizione? Chi lo sa. Una cosa è certa, è maniacale l’attenzione in vigna, durante la vendemmia si arriva a formare squadre da 50 persone per raccogliere l’uva migliore. In cantina le fermentazioni durano 10 giorni a 10°-12° e poi a 30°-32° con malolattica svolta, più tardiva, sui rossi. Colpisce per il suo riavvio, sempre in equilibrio, il Savigny 1er Cru Yes Vergelesses 2017, Pinot Noir nato in una parcella composta da un suolo marnoso e sabbioso, in forte pendenza con vigne di circa 50 anni. L’acidità ingolosisce il sorso, lo alleggerisce e lo scioglie, per poi ricomporlo con una grande eleganza e finezza tannica che ancora ricordiamo.
CHASSAGNE MONTRACHET
Domaine Amiot Guy & Fils: originaria di Parigi, la famiglia Amiot sembra una predestinata, l’eleganza e la freschezza dei vini è tutta negli occhi e nelle parole di Thierry Amiot, testimone della quarta generazione. L’acquisto della prima vigna in questa porzione di mondo baciata dalla fortuna per l’ineguagliabile complessità che si ricava dai vini, Chassagne-Montrachet, è del 1920 tra i quali anche “Les Dents de Chien”. Nella collina “Les Caillerets” si è scelto invece di costruire la nuova cantina nella roccia calcarea, ideale per far maturare i vini. Ed è proprio il Chassagne Montrachet 1er Cru Les Caillerets 2017 a conquistarsi la scena superando, seppur anch’essi ottimi, gli altri vini: “Les Verges” e “Les Macherelles”. La piccola parcella esposta a sud-est di 0,66 ettari essendo stata piantata agli inizi degli anni venti ospita vigne che vanno dai 30 agli 80 anni, un patrimonio incredibile per il Domaine in cui esalta tutta la trazione del suolo, con aromi di salvia ed erbe aromatiche fuse nelle note più burrose. Un giovane, giovanissimo esemplare di Chassagne che si organizza nel palato classificando e dividendo le parti nervose da quelle più docili del frutto. Appare come un’arte gotica, sensibilmente aerea e leggera. Assolutamente impattante.
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