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Botaniche e ritorno al futuro: la mixology del 2019


L’effetto carrozzone (in inglese bandwagoning, dal nome utilizzato per il carro che trasporta la banda musicale durante le parate) è un fenomeno sociale in base al quale un dato gruppo di soggetti si comporta in un certo modo solo perché la massa fa altrettanto. Vale per qualsiasi sfera di interesse, è quell’effetto gregge tanto sottolineato dalle analisi delle ultime generazioni. E il mondo del beverage non fa eccezione, anzi si presta perfettamente a ondate di trend vecchi, nuovi e revival. L’esperto Simon Difford ha stilato una sua personale lista di dieci novità in arrivo nel 2019 al bar: ai… bevitori l’ardua sentenza.

 

 

DISTILLATI BOTANICI – La prima previsione è la più naturale considerando l’andamento del mercato e delle tendenze attuali. Sicuramente, whiskey (o whisky, a seconda della provenienza geografica. Lo sapevate, sì) e gin sono destinati a rimanere al top delle richieste al bancone, per motivi solo apparentemente impensabili. Il primo si può vantare dell’alleato più prezioso, l’invecchiamento, che garantisce un ciclo continuo di aggiornamento e paradossale freschezza nell’offerta; Cina e India si stanno inoltre introducendo inesorabilmente nel panorama dei paesi amanti del prodotto, permettendo quindi un allargamento importante degli orizzonti. Senza contare il sempreverde fascino di scotch, bourbon e rye quando si tratta di mixology. Boulevardier?

Il gin, che soprattutto in Europa sta dominando i gusti dei consumatori, andrà incontro a un’ondata di nuovi affezionati che in precedenza erano minorenni o semplicemente bevitori di vodka. È in questo contesto che si inseriranno i botanical spirits, distillati come il gin ma senza il ginepro, che sembra essere la discriminante fondamentale: non piace ai più giovani. Si avranno quindi prodotti con la stessa complessità del gin e la stessa struttura di produzione (ri-distillazione di un neutro con botaniche) ma senza l’uso predominante del ginepro. Saranno praticamente vodka aromatizzate, che volenti o nolenti sono spesso apprezzate.

I PHANTOMS, OVVERO I DISTILLATI ANALCOLICI – Credeteci, se ancora non li conoscete. Sono costosi, nel complesso non indimenticabili come gusto e soprattutto non contengono alcool. In qualche modo sono addirittura poco trasparenti: si mascherano come distillati pur sottolineando la loro qualità analcolica. Da qui il nomignolo di Phantom, fantasma, qualcosa che appare ma non esiste in realtà. Nonostante un identikit non lunsinghiero, prodotti come Seedlip sono particolarmente apprezzati e richiesti, e si candidano come protagonisti del  2019. Sperando almeno in una maggiore onestà intellettuale.

I RETRO – Yes baby, back to ’70s and ’80s. D’altronde perché no, i cocktail classici non muoiono mai e sono generalmente un buon approccio per chi si avvicina per la prima volta al mondo del bere. Sia per le note non troppo complesse, che per i nomi storicamente ammiccanti a un pubblico giovane. Dal Sex on the Beach più scafato, al Pornstar Martini di oggi. È tradizione.

I TIKI – Ah, i cocktail bar di una volta. Luci soffuse, il mormorìo degli altri avventori seminascosti in cabine oscurate e tavoli in minuscoli privé. Bravi, dimenticateli, o quanto meno pensateci poco. Le nuove generazioni di consumatori ricercano ormai un’esperienza che vada oltre il buon bere in senso stretto, e cosa meglio di un bicchiere a forma di vulcano da cui sgorga del sano nettare alcolico? I Tiki compongono una sottocultura già esistente, destinata però a confermarsi e addirittura progredire: drink esotici e oggettistica introvabile in contesti usuali sono la base per un paio d’ore che altrimenti si potrebbero trascorrere solo dopo un volo intercontinentale.

LA FERMENTAZIONE – Non certo la scoperta del secolo: ci avevano pensato i Sumeri a capire che il lievito può papparsi lo zucchero e produrre alcool (in soldoni, MOLTO in soldoni), ma c’è molto di più oltre al mero processo chimico. Gusto, sensazioni e una non trascurabile fetta di benefici per la salute: basti pensare al Kombucha, un drink analcolico realizzato attraverso la cosiddetta fermentazione scoby (acronimo inglese per coltura simbiotica di batteri e lievito). Non storcete il naso, nel 2019 ne sentirete parlare e lo assaggerete. E vi piacerà.

LA BIRRA ANALCOLICA – Se con i Phantoms di cui sopra ci si era già sbilanciati, l’incremento dei consumi di birra a basso contenuto alcolico se non addirittura del tutto priva ha segnato la fine del 2018. Ancor di più se si pensa che buona parte delle proposte arrivano da realtà di birra artigianale. È solo questione di tempo prima che qualsiasi birrificio implementi una linea dedicata e qualsiasi bar come si deve faccia lo stesso. Non avranno il corpo e la sostanza di una birra tradizionale, ma grazie soprattutto al dry hopping mantengono una struttura piacevole. Oltre alla consapevolezza di potersene sparare sei con gli amici, e poi guidare freschi come rose fino al portone di casa.

IL COCCO – “Cocco bello, cocco fres…”. Non proprio, ma l’acqua di cocco, quando non il cocco in pezzi, polpa, crema, si è ritagliata uno spazio importante nella mixology degli ultimissimi tempi, inseguendo il trend del succo di mirtillo negli anni ’90. Addirittura è tornata in auge la Piña Colada.

COCKTAIL A CASA – L’inarrestabile effetto Netflix, o semplicemente un modo alternativo (e nemmeno troppo) di trascorrere un dopo-cena con amici. Il consumo di bere miscelato è in costante aumento, e recentemente ha intaccato anche le sacre mure di casa, per combattere la convenienza e l’assenza di sbatti che una birra o un calice di vino possono garantire.

 

Fonte: diffordsguide.com

 

 

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