A marzo, con la pandemia di COVID-19 in piena evoluzione e gran parte del pianeta in lockdown, l’America Centrale stava scaricando i propri raccolti di caffè, e in Brasile, il maggior produttore mondiale, alla stagione della maturazione dei chicchi mancava ancora qualche mese. Ma in alcune nazioni dell’Africa Orientale il raccolto era appena iniziato, e i produttori si affannavano per trovare soluzioni che permettessero di lavorare e macinare il caffè in sicurezza.
“La pandemia è praticamente coincisa con l’inizio del raccolto”, racconta Kristy Carlson, co-fondatrice del Long Miles Coffee Project in Burundi. “Di norma, raccogliere il caffè è un evento sociale importantissimo, fatto di risate, strette di mano e duro lavoro fianco a fianco”. Se il governo del Burundi ha poi deciso di mettere in atto pochi controlli ufficiali, il vicino Rwanda ha chiuso improvvisamente i propri confini, implementando restrizioni severe e instaurando ulteriori misure per arrestare il propagarsi del virus: inclusa la distanza di un metro da mantenere tra i lavoratori, durante il raccolto. Raccogliere e lavorare il raccolto sono stati i primi ostacoli per i produttori di questi due rigogliosi stati senza sbocchi sul mare: c’era poi da trasportare i sacchi di chicchi disidratati attraverso frontiere chiuse, per raggiungere i porti sull’Oceano Indiano e spedire in tutto il mondo.
In Sud America, numerose fattorie stanno faticando a trovare forza lavoro con le vigenti e serrate misure di lockdown. In Colombia, forse, la preoccupazione potrà scemare a breve, dato l’attenuarsi delle restrizioni. Il mondo in ogni caso guarda con ansia al Brasile, che si appresta ad avviare uno dei più corposi raccolti della storia, nel bel mezzo di una pandemia che sta falcidiando la nazione. “La produzione brasiliana di caffè andrebbe considerata come entità a parte rispetto al resto del continente”, segnala Josué Morales, produttore e esportatore in Guatemala e Brazil, “perché in Brasile tutto e meccanico e quasi completamente automatizzato, e perché le leggi sul lavoro sono estremamente rigide”.
Ma la dimensione del raccolto in arrivo, combinata con un decremento dei consumi, sta già causando un abbassamento dei prezzi di mercato e il panico nei produttori. “È vero che i produttori di caffè sono generalmente piuttosto abituati a crisi e pressioni”, spiega Geoff Watts, vicepresidente di Intelligentsia Coffee. “Che sia per il mercato bizzoso, la politica locale o conflitti civili, il cambiamento climatico, sono praticamente sempre in lotta con qualcosa o qualcuno”. Ma questa volta è diverso: le problematiche si stanno verificando anche nei paesi consumatori. Se anche il caffè dovesse arrivare, verrebbe consumato? Se anche venisse raccolto, disidratato, macinato, assaggiato e trasportato, la domanda globale è in discesa. “Abbiamo già sentito torrefattori con cui collaboriamo da anni, dirci che quest’anno non acquisteranno caffè”, racconta Ben Carlson, a sua volta co-fondatore del Long Miles Coffee Project.
Dalla pianta alla tazzina, il Coronavirus ha toccato ogni aspetto dell’industria del caffè, ed era già chiaro da quanto si dicesse a maggio e giugno, nel settore. C’è ancora da definire quale potrà essere la perdita complessiva, ma qualche insegnamento di cui fare tesoro comincia a venire fuori. Prima di tutto, l’importanza dell’industria: circa 125 milioni di persone sono coinvolte, e quindi dipendono economicamente, dalla filiera del caffè, che si dimostra quindi estensiva e interconnessa. Da un lato, l’80% del caffè nel mondo è prodotto da piccole aziende e provvede a fette importanti di PIL e export per svariati paesi (addirittura più del 70% in Burundi). Dall’altro, il valore del mercato della vendita al dettaglio negli USA è vicino agli 88 miliardi di dollari: un terzo di questi, circa, deriva dalla vendita di caffè.
Per quanto il COVID-19 possa rallentare il viaggio del caffè dalla piantagione alla tazza, non lo fermerà del tutto. Ci sono problemi temporanei (le frontiere riapriranno, il traffico nei porti sarà meno contingentato, i lavoratori torneranno in ufficio), e secondo Heleanna Georgalis, esportatrice e produttrice leader in Etiopia, i produttori al momento sono più preoccupati per altre questioni: elezioni politiche, cavallette, clima e strascichi economici derivanti dalla chiusura prolungata di alberghi, ristoranti e bar.
Il mercato globale del caffè ha ricevuto ulteriore e nuova pressione in seguito alla pandemia, con un abbassamento generale dei prezzi a fronte di una crescita produttiva complessiva. Secondo il report della International Coffee Organization, molti dei 25 milioni di piccoli produttori hanno difficoltà a coprire i costi operativi, considerando anche uno stabile aumento delle spese necessarie. Meno guadagni fanno aumentare i rischi di povertà ovviamente, e se i prezzi continuano a precipitare, sempre più lavoratori abbandoneranno le proprie attività: “I coltivatori che scelgono di continuare non avranno denaro da reinvestire nelle proprie attività, riducendo il volume e la qualità del raccolto e innescando una spirale di povertà sia per il prodotto che per loro stessi”, sostiene, Pascale Schuit, a capo delle relazioni esterne per la britannica Union Hand-Roasted Coffee.
Se i guadagni provenienti dai raccolti, dai quali i coltivatori dipendono pressoché integralmente, rallentano o si riducono a causa delle abitudini dei consumatori che comprano sempre meno, le conseguenze potrebbero riverberarsi per anni, prosegue Watts: “La maggior parte dei coltivatori non può accedere a finanziamenti o prestiti, e senza liquidità non potranno fertilizzare, piantare, pagare la manodopera o pianificare il raccolto seguente. È un circolo dal quale ci si riprende dopo anni”.
Pil Hoon Seu, coreano fondatore di Coffee Libre, conferma. “I produttori generano meno profitti perché le vendite diminuiscono e i prezzi sono più bassi, per cui non conviene reinvestire nel caffè. Di conseguenza qualità e quantità ne risentiranno, in futuro”. C’è anche chi si pone domande diverse, come Katie Carguilo di Counter Culture: “Non ho mai sperimentato un calo di qualità nella proposta degli specialty coffee, ad esempio. Piuttosto bisognerebbe capire che è la sostenibilità del business a venire meno, se qualità e quantità ci sono, ma la domanda cala a causa delle chiusure”.
Nel frattempo i produttori proseguono la loro marcia, preoccupati per il presente e con un occhio al futuro, anche ottimisticamente: “Chi è nell’agricoltura come noi sa che non si può pensare a un solo raccolto a un paio di raccolti consecutivi. Il ciclo vitale e di investimenti per una piantagione ci spinge a ragionare in termini pluriennali” racconta Josuè Morales, che con la sua Los Volcanes Coffee lavora con 1000 tra piantagioni, cooperative e piccoli produttori in Guatemala. “Crediamo sempre che il prossimo anno sarà ancora migliore”.
E se l’impatto della situazione attuale sui coltivatori somiglia più a un problema futuro, si tratta di un dramma immediato per quei luoghi che sopravvivono servendo caffè. Nel 2017, il 46% del caffè negli Stati Uniti è stato consumato fuori casa. Nel mezzo della pandemia, i piccoli bar e cafè si sono dovuti trasformare o arrendere: si è passati alla distribuzione in strada, all’eliminazione del contante e alla ricerca di stratagemmi per sopperire a un inevitabile calo degli introiti. Erica Escalante, proprietaria del The Arrow Coffeehouse di Portland, Oregon: “A fronte di una perdita importante, il Covid-19 ci ha permesso di rinnovarci e gestirci secondo le nostre idee. Soprattutto all’inizio, quando molte attività erano ancora chiuse, era invece aperta la porta della creatività per sopravvivere. Le sfide poste dalla pandemia hanno richiesto un ripensamento di tutta la strategia di business: non avrei mai pensato di vendere cheesecake per paura di essere accomunata a negozi che fanno solo quello. Ma i consumatori ne avevano voglia e non se ne trovavano, quindi eccomi qui a venderla”.
Alcuni punti vendita hanno iniziato a servire cibo, altri a vendere beni di prima necessità e sanificatori per mani. Se prima i negozi si concentravano sulla accurata selezione della torrefazione, adesso è diventato ancora più importante l’essere al centro di una comunità e fare da punto di riferimento. E l’ultimo tassello alla fine di questa catena è rappresentato dai baristi, la cui personalità va storicamente ben oltre il semplice servire un caffè. Lo sa bene Sam Penix, co-proprietario di Everyman Espresso a New York e uno dei più rinomati baristi della città: “Siamo elementi essenziali della comunità, parti fondamentali del quotidiano di tutti. Oggi ancora di più: non si tratta più soltanto di conoscere il prodotto e servirlo al meglio, ma di far sentire un cliente al sicuro e a casa, di questi tempi. I consumatori percepiscono che stiamo dando tutto quello che abbiamo, svegliandoci ogni mattina e andando a lavorare per loro”.
La pandemia ha inoltre evidenziato una certa inclinazione per la produzione casalinga. Chiusi in casa, i consumatori hanno iniziato a porre più attenzione alle loro abitudini, e scoprire nuovi gusti e preferenze: chi prima ordinava caffè in ufficio, al bar o comunque fuori, adesso lo fa in casa, e si impegna per ottenerlo della massima qualità possibile. Addirittura si è notato un importante aumento delle richieste di corsi e lezioni online sul caffè, dalla storia alle tecniche di estrazione: mantenere questo tipo di connessione con i consumatori sarà una delle chiavi più importanti per il futuro dell’industria, secondo Peter Giuliano, capo ricercatore della Specialty Coffee Association.
“Non si tratterà solo più di assunzione di caffeina; si dovrà parlare di un’intera e nuova esperienza cui il consumatore vorrà andare incontro. Quanto più un consumatore è a contatto con il caffè, senza intermediari, tanto più potrà comprendere quanti contenuti ha da offrire: avere il tempo di estrarlo, sorseggiarlo con calma, anche alla luce dello smart working, può davvero aiutare il prodotto a valorizzarsi al massimo”. E così sarà per l’acquisto online di un determinato brand, o di una determinata macchina: fare più attenzione al consumo di caffè vuol dire apprezzare l’intero mondo che lo circonda, non solo delegare a un’altra persona la scelta di ogni dettaglio, per ridursi a bere e basta. Riconsiderare il valore di una tazza di caffè permette di assaporarlo in modo più ampio: “La nostra nuova normalità passa dalla comprensione di come il mondo è connesso, anche nelle piccole cose. Come una tazzina di caffè”.
fonte: imbibe.com