Si dice: mai giudicare un libro dalla copertina. Nel nostro mondo, questo detto diventa: mai giudicare una birra dalla sua etichetta. O forse si? Dal 2007 ad oggi, è innegabile, BrewDog è cambiato.
Da un garage nel cuore della Scozia, oggi ha birrifici in diversi continenti e centinaia di Bar che dissetano appassionati e neofiti in ogni angolo del pianeta. Ma ciò che salta all’occhio maggiormente è che senza dubbio la sua immagine è cambiata, immagine rappresentata al 100% dalle sue etichette.
Ripercorriamo il branding di BrewDog attraverso le etichette di Punk IPA e cerchiamo di capire il valore e il significato di un cambiamento del genere.
Nel corso della sua storia, BrewDog ha affrontato due rebranding importanti. Il primo nel 2014, il secondo nel 2020. In entrambi i casi il cambiamento di logo, bottiglie e lattina è stato il passaggio finale di un processo di evoluzione del birrificio stesso.
Nel 2007 BrewDog era una piccola realtà, James e Martin vendevano le prime bottiglie di Punk da un food truck nei mercati. Le loro birre parlavano una lingua diversa dalla media dei prodotti diffusi al tempo, davano vita ad una rivoluzione tramite un uso dei luppoli che traeva ispirazione dagli States (Stone IPA vi dice niente?), e parlavano ad una nicchia di Beer Geek. Il loro branding era lo specchio di un birrificio ribelle, frustrato da una scena brassicola banale invasa da produzioni industriali.
Le prime etichette, un font che ricorda stencil fatti male, i nomi delle birre non al centro delle bottiglie e delle lattine. Tutto nelle prime grafiche di BrewDog racconta ribellione, racconta la voglia di cambiare la scena della birra artigianale senza troppi se ne troppi ma, “senza neanche curarsi troppo dell’aspetto delle cose”. BrewDog con le sue birre vuole cambiare le regole e ignorare lo status quo.
Per il primo rebranding dovremo aspettare il 2013. Il panorama della birra artigianale è cambiato, così come BrewDog non è la stessa azienda degli inizi. Può contare su migliaia di Equity Punks che oltre a sostenere il birrificio bevendo, lo supportano durante le campagne di Crowdfunding. L’immagine avuta fino a quel momento non rispecchia più al 100% il birrificio. Nel contesto della ribellione, è questo il momento per concentrarsi su quello che un birrificio può fare per l’intero movimento della birra artigianale. È il passaggio da essere contro qualcosa ad agire per qualcosa.
Le etichette mantengono un carattere piuttosto bold, in cui il racconto della birra, del suo stile e delle sue caratteristiche, sono al centro. È anche questo il periodo in cui nasce il primo DIY Dog: tutte le ricette del birrificio diventano pubbliche, a disposizione di appassionati e homebrewer.
Sette anni dopo BrewDog ha ritenuto necessario un nuovo cambiamento. Con l’ultimo rebranding si entra in una fase di maturità in cui bisogna guardare oltre e porsi in una nuova posizione non solo rispetto al settore della birra artigianale, ma nei confronti del Pianeta. Le etichette sempre più lineari e pulite, lo scudo che si evolve fino a diventare stilizzato. È questa l’immagine di un birrificio che parla ad appassionati e neofiti, fa da apripista a chi assaggia una birra artigianale per la prima volta. È questa l’immagine di un Brand che attraverso i suoi prodotti, si impegna a fare del bene al pianeta con un progetto concreto come BrewDog Tomorrow con cui si affronta il problema dell’impatto ambientale.
L’impatto di BrewDog per il successo della birra artigianale è stato unico. Attraverso le sue birre ha creato un movimento internazionale ed è stato grado di mantenere sempre al centro il prodotto pur evolvendosi nel tempo fino a diventare il punto di riferimento per il settore che è oggi. La sua comunicazione e la sua immagine si sono evoluti con coerenza e lungimiranza restando sempre attuali e ricchi di spunti. Non resta che aprire una lattina e lasciarsi travolgere dalla nuova rivoluzione.
BrewDog: People, Planet, Beer
+info: www.alesandco.it www.brewdog.com/uk