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I numeri la dicono già tutta: secondo le ultime stime, l’industria del benessere vale al momento l’assurda cifra di 4.5 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. Ne fa parte la nascente, per quanto ormai rampante, categoria dei low and no: bevande a basso o nullo contenuto alcolico, che secondo la IWSR Drinks Market Analysis, istituzione per le ricerche nel campo, quintuplicherà il proprio valore entro il 2024.

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Una delle armi principali per il segmento è la costante diversificazione, forte della crescente ondata di brand artigianali che da un paio d’anni si affiancano ai colossi più famosi, nella corsa verso il prodotto più salutare e ambìto. Sarebbe però sbagliato pensare si tratti di un trend recente: “Non è certo un’abitudine nata ieri”, racconta Marine Rozenfeld, responsabile per le innovazioni di Bacardi in Europa, Australia e Nuova Zelanda. “Il movimento che incentiva la consapevolezza del consumo d’alcool ha iniziato a espandersi almeno dieci anni fa”. E proprio Bacardi, basandosi sui numeri della ISWR, prevede un incremento del valore del low and no nei punti vendita di almeno 400% entro il 2024.

Tra i fattori principali di questa esplosione, un ruolo di rilievo è interpretato dal ritrovato interesse per la miscelazione: la nuova cocktail culture ha infatti portato i consumatori a interrogarsi più spesso e con più entusiasmo circa gli ingredienti e le preparazioni contenute nei loro drink preferiti. “Ci siamo prima chiesti se utilizzare determinati ingredienti fosse possibile”, spiega Nikulás Hannigan, del brand analcolico Fluère. “Poi siamo passati a considerare ingredienti analcolici“. L’offerta di prodotti che rispondano alla crescente domanda è però insufficiente, almeno per ora, e questo incide non poco sulla visione generale: “Vedere poche alternative disponibili instilla nel consumatore una sorta di sfiducia. Sta a noi proporre varianti e soluzioni adeguate per il futuro, perché il low and no è solo all’inizio”.

Sabatini GinO – Distillato analcolico

E l’argomento benessere è rimasto saldo tra le priorità dei consumatori, se non addirittura sottolineato ancora di più, durante i periodi di chiusura forzata imposti dalla pandemia, a dispetto del tragico momento che i bar e i ristoranti stanno vivendo. “Il lockdown ci ha permesso di concentrarci su noi stessi e riconsiderare la nostra salute, che sia con una dieta nuova, una routine di esercizi. E l’assunzione di alcool è stata uno dei punti chiave di queste riflessioni: in questo periodo è ancora più importante potersi concedere del relax a fine giornata, e il low and no ti permette di farlo in serenità“. Il consumo casalingo, quanto mai abbondante per ovvi motivi, stando alle cifre di ISWR si è rivelato essere uno scenario adatto per i prodotti a basso contenuto alcolico.

I brand di low and no, storicamente artigianali e su scala ristretta, si sono poi dimostrati estremamente reattivi e duttili, rispondendo egregiamente al mercato contemporaneo grazie a un’offerta e-commerce e di marketing digitale sempre attenta: data la scarsa disponibilità in bar e ristoranti (quando aperti, adesso), l’online è la via maestra per le vendite. Fondamentale avere quindi una comunicazione di livello, come racconta l’italiano Eugenio Muraro, ideatore e CEO di MeMento, negli ultimi tempi impegnato con campagne pubblicitarie in USA e Canada: “A prescindere dalla situazione, l’interesse dei consumatori per il low and no non è diminuito, anzi: c’è più consapevolezza, più curiosità“. L’ingresso sulla scena di player mondiali come Diageo e Pernod Ricard contribuisce inoltre all’allargamento del bacino d’utenza.

Anche la versatilità intrinseca del low and no si pone come elemento determinante per il successo della categoria: praticamente qualsiasi bevanda alcolica può essere ricostruita in versione meno impattante, anche quando già bassa di volume alcolometrico. È il caso di vermouth, amari e liquori, in prima linea per i marchi (e i bevitori) che vogliono sperimentare e scoprire, come già successo per gin e rum aromatizzati, soprattutto nei paesi anglosassoni. Non resta esclusa la miscelazione, si diceva, addirittura già interpellata in versione ready to drink: MeMento aveva infatti già coinvolto NIO Cocktails, brand di drink pronti da bere firmato da Patrick Pistolesi, lo scorso novembre, per una gamma mixology analcolica. “Cocktail ottimi non devono necessariamente contenere alcool, e questa ne è una dimostrazione”, sostiene Muraro. Siamo di fronte a una rivoluzione, sembrerebbe, che coinvolge l’intero mondo del beverage. 

fonte: the spiritsbusiness.com

 

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