Non si smette di bere caffè perché la tazzina costa più cara. Oppure no? Quello che gli analisti consideravano un assioma comincia ad essere messo in discussione dopo il crollo di vendite subìto da JM Smucker, il maggior torrefattore negli Usa attraverso. I gruppo americano che opera sul mercato attraverso il popolare marchio Folgers, in giugno aveva reagito ai rincari dell’arabica alzando i prezzi al dettaglio del 9 per cento e in conseguenza le vendite hanno subito un calo di quasi il 20%
«È stato un passo falso», dice ora il CEO Mark Smucker. E i clienti non sono migrati in massa verso la concorrenza: la maggior parte – è questo l’elemento interessante – secondo Smucker «ha rinviato gli acquisti».I dubbi sulla solidità della domanda non toccano l’International Coffee Organization (Ico): il direttore Robeiro Oliveira Silva ha dichiarato alla Reuters di attendersi una crescita dei consumi globali del 2,5% l’anno fino al 2020, quando si arriverà a 175 milioni di sacchi da 60 kg. A crescere di più, a tassi del 4-4,5% annuo, sarà la domanda dei paesi emergenti, guidata da Cina, Corea del Sud e Russia, ma anche per i mercati tradizionali è atteso un incremento annuo dell’1-1,5%, che in questa staglione favorirà lo sviluppo di un deficit di almeno 800mila sacchi.