la Repubblica ha pubblicato l’11 Aprile scorso un articolo di Francesca Zoccheddu, in cui si afferma categoricamente che “Non esiste il caffè italiano”. Non è la prima volta che la Repubblica pubblica articoli denigratori contro il caffè e i torrefattori italiani (CFR: Il Consorzio Promozione Caffè contro l’articolo di La Repubblica sul caffè italiano). Di seguito riportiamo l’articolo di Carlo Odello, che in qualità di presidente IIAC (International Institntute of Coffee Tasters) ha facile gioco a smontare i giudizi denigratori de la Repubblica, mettendo in chiaro in modo professionale e documentato alcuni punti fermi sul caffè italiano.
«L’intervista pubblicata da Repubblica a Simone Zaccheddu mi ha lasciato davvero perplesso, presentando diverse imprecisioni che non mi pare rispecchino la realtà dei fatti.
Leggo: “Non esiste il caffè italiano, l’Italia acquista quasi esclusivamente dal Vietnam, secondo produttore al mondo dopo il Brasile: importiamo coffea Robusta, non la tipologia di chicchi migliore, molto tostata, quindi molto scura e dal sapore forte, ma di scarsa qualità“. A parte il fatto che il termine corretto è Coffea Canephora, secondo i dati importiamo prima di tutto dal Brasile (principalmente Coffea Arabica) e non certo esclusivamente dal Vietnam. Sulla qualità ognuno faccia le sue considerazioni, personalmente non sono mai a favore di pensieri massimalisti e riduzionisti.
Inoltre, affermare che non esista il caffè italiano significa negare praticamente secoli di storia e in particolare almeno gli ultimi decenni prima con la nascita delle macchine da bar e poi con l’arrivo del moderno espresso. Tra l’altro, l’esistenza di uno stile italiano, addirittura di stili regionali italiani, è confermata scientificamente tramite migliaia di test sensoriali che sono costati tempo e investimenti rilevanti in un’attività di ricerca scientifica documentata. Il caffè italiano esiste, eccome.
Sorprendente anche leggere che per misurare la capacità di un assaggiatore “un parametro è quello delle papille gustative e del loro numero rispetto alla superficie della lingua”. Tutto ciò con buona pace della psicofisiologia sensoriale che ci insegna una realtà un po’ più complessa di questa (e che in parte non è neppure questa). Insomma, siamo quasi in una pericolosa area di pseudo-scienza.
Da ultimo apprendo che oggi in Italia esistono solo una settantina di assaggiatori certificati. Eppure, solo lo IIAC ha certificato più di 13.000 professionisti dalla sua nascita. Insomma, non siamo un’élite, al contrario siamo un folto gruppo di professionisti al servizio del settore. Inoltre, ci tengo a sottolinearlo, tutti i nostri assaggiatori sono tarati e controllati statisticamente in ogni singola sessione d’assaggio a cui partecipano, anche più volte nella stessa sessione. Non basta dire di essere bravi, bisogna provarlo ogni volta.
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Ci tengo a sottolineare che ho commentato quanto ho letto. Voglio in sostanza concedere il beneficio del dubbio: si sa che nelle interviste qualche equivoco può capitare e se ci saranno chiarimenti in tal senso, ben vengano. Nel frattempo, auguro a Simone Zaccheddu ogni bene per la sua gara a Chicago».
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