Uffizi, Arno e miscelazione: Firenze si arricchisce di un nuovo patrimonio, e lo fa con i motori che rombano. Campari Academy inaugura il nuovissimo hub al The Stellar, in San Frediano, per la Florence Cocktail Week, con una masterclass di vertiginosa qualità: in pedana Monica Berg, la personalità più influente del mondo del bar secondo Drinks International. Aspettative altissime, risultato ancora superiore la lezione Business of Bar è una cascata di concetti illuminanti, buoni per una vera e propria rivoluzione nel mondo del bar.
“La creatività può essere un business, ma deve per forza essere supportata da organizzazione e metodo. Ogni cosa decisa o fatta, deve rispondere a una domanda minuscola ma difficilissima: perché?”. Improvvisazione, mancanza di progettualità, quantità al posto della qualità: tutto preso a picconate, pochi concetti di chiarezza estrema e sorprendentemente fresca, quasi a sottolineare come la soluzione per un salto di qualità decisivo possa essere dietro l’angolo, se si studia abbastanza da intuire quale angolo cercare. Tayēr+Elementary, il mondo che Monica ha inaugurato insieme al compagno Alex Kratena (e con l’aiuto dell’italianissimo Simone Caporale), è vivo dal 2019: Pochi mesi d’attività, prima del bombardamento di chiusure causa COVID-19, eppure abbastanza per piazzarsi al quinto posto della 50 Best del 2020 (la new entry meglio piazzata in assoluto). Non certo un caso.
Le tre regole d’oro di Berg sono un concentrato di praticità, che riesce a far trasparire la sua passione e la sua visione: dev’essere bello, dev’essere buono, deve avere uno scopo, e a differenza di decaloghi rumorosi e votati al consumatore, la sua filosofia guarda ben più del solito anche all’interno. Non può esistere un bar di successo, se chi ne fa parte non viaggia sulla stessa frequenza, e prima ancora non si vede riflesso nel suo stesso lavoro: “Tayēr+Elementary è un progetto per certi versi egoista: lo abbiamo creato pensando a quello che noi avremmo voluto trovare, da ospiti, nel nostro bar ideale e lo abbiamo ripensato centinaia di volte. Abbiamo trascorso sei mesi solo a scegliere le sedie, e anche la musica dice molto di noi; non è raro che un ospite ci chieda di cambiare genere o abbassare il volume…”.
L’universo e/ē, la doppia vocale che è doppia identità complementare, viene snocciolato in tre calici che scorrono sul video, ciascuno colmo di una chiave per il bar perfetto. Prima di tutto, operations, l’attività: non esistono gerarchie, ci sono due team separati tra cucina e bar, ma i componenti di ognuno sono tutti sullo stesso livello. “Quando la struttura è piramidale, le responsabilità sono sempre di qualcun altro, ci si insegue e nulla cambia. In questo modo invece siamo tutti coinvolti e spronati a dare di più, perché dipende tutto da noi: serve più tempo per poter trovare una dimensione che accontenti tutto, ma vale la pena”. Lo sforzo principale quindi è volto a comprendersi, e per questo non esistono nemmeno ruoli definiti: “A turno, ciascun bartender si occupa di pulizie, bar back, amministrazione, magazzino. In questo modo ci si rende conto delle fatiche che spettano agli altri”.
Poi logistics, la struttura: un’enciclopedia di aneddoti e trucchi, la visione che ha portato Tayēr+Elementary a ridosso dell’Olimpo del bar. Non una briciola dell’esperienza qui, nel già pittoresco quartiere di Shoreditch, risponde ai canoni del tradizionale. “Volevamo abbattere i preconcetti che ancora circondano il mondo del bar, volevamo realizzare un ambiente che permettesse agli ospiti di aprirsi, fidarsi di noi e lasciarsi andare”. È l’unione di due realtà a sé stanti: Tayēr (dallo spagnolo taller, laboratorio) è dove tutto vola altissimo, il concetto si spinge ai limiti, l’esperienza tocca vette di servizio e gusto inarrivabili; Elementary, come dice il nome, è più fresco e facile, una versione ipermoderna del bar di quartiere. Per dirne una, si avvale di un sistema meccanico unico al mondo, che fa precipitare la temperatura di un prodotto fino a -5°: “La stessa temperatura che raggiunge un cocktail shakerato o mescolato. Questo abbatte i tempi di preparazione, per cui l’unica attività del bartender riguarda spillare alla spina o versare da bottiglie già pronte: magari si elimina la magia dei movimenti del bartender, ma per molti l’importante è semplicemente sentirsi chiedere come è andata la giornata”.
Una relazione simbiotica, paragonabile alle realtà di ristorazione stellata che hanno anche il bistrot. Occhio però: “Potrebbero esistere molti Elementary, ma un solo Tayēr”, per il quale è stata letteralmente scomodata una tecnologia mai utilizzata prima. Il bancone del Tayēr è infatti stato fatto su misura, ispirato nella meccanica a un alveare: “È la costruzione geometrica più solida presente in natura. Il bancone è realizzato con un sistema dinamico che permette a ciascun bartender di impostare il set up come preferisce: abbiamo lo staff diviso equamente tra destri e mancini, per dirne una. Senza contare chi è più o meno alto; così abbiamo la possibilità di lavorare sempre in un ambiente ideale”.
Infine education, la formazione. Poco da dire, ma potentissimo: “È imprescindibile. Chi lavora con noi deve aggiornarsi costantemente su quattro punti: bar business, tecnica, materie prime, servizio e ospitalità. Ed è dai dettagli che si nota poi la differenza, sul lungo periodo: per essere il miglior bar del mondo , devi essere il bar più pulito del mondo, il più sicuro del mondo“. Un bignami di nozioni, suggerimenti, opinioni anche forti, condite da lezioni di tecnica pura sulla struttura dei drink, sulla fermentazione homemade, sulla stagionalità. Materiale che potrebbe valere oro, se ascoltato con attenzione e riproposto sul territorio italiano, che pur nel pieno di una crescita esponenziale, vede la miscelazione troppo spesso attenta all’oggi, assente nel domani e vittima dell’allergia all’imparare. Berg è tornata al The Stellar in serata, per una guest shift che ha chiuso la sua permanenza a Firenze: sperando che da oggi ci sia qualche nozione in più, perché il bar in Italia non sia più lo stesso.