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Canato: la legge del khān oltre il Grignolino tra le colline del Monferrato


Nell’espressione “andare oltre” ci possono essere molti significati, e la cosa più sincera, e d’interpretazione, è la presenza, l’accettazione di “un bisogno di andare oltre”. Una necessità che pone al centro una volontà precisa e ordinaria: rappresentare una propria verità, un gusto costruito nella storia e con essa la sua più pura evoluzione.



 

È quello che accade quando ci approcciamo prima a Marco Canato e poi ai suoi vini rossi, nati tra le colline ariose e verdeggianti di Vignale Monferrato. La sua semplicità nel raccontarti l’arte produttiva è ricolma di quel vissuto che non esita a mostrarsi con un trasporto telepatico ultraterreno, tra uve indigene e infernot. E dinnanzi alla meraviglia non resta che dire: “Canato è unico”. Nel suo nome, poi, si sottende un significato: un “territorio soggetto alla giurisdizione di un khān”, di un signore e della sua idea di vino. Ma partiamo dal principio, originaria del Veneto, la famiglia Canato s’instaura nel Monferrato intorno agli anni ’50, e passa dalla mezzadria alla vinificazione in breve tempo grazie alla positiva fiducia ottenuta dal mercato. Si opera non distali da un’antica “Fons Salera” (sorgente di Salera) da sempre famosa per le preziose acque termali.

La storica tenuta, acquistata dai Canato, è appartenuta alle monache del chiostro di San Bartolomeo e, nel 1740, al vescovo di Casale Monferrato, Monsignore P.G. Caravadossi, che ne acquisì la masseria, anche detta Baldea. E oggi, oltre alla produzione di vino, il vecchio fienile ha creato una nuova opportunità trasformandosi in una struttura ricettiva, un bed&breakfast, che si inserisce felicemente nel “movimento monferrino” in atto con delizia e attenzione alle tradizioni locali.

E di lì tutto intorno c’è una collana di 10 ettari destinati quasi esclusivamente al grande, nuovo protagonista rosso piemontese: il Grignolino. Un’uva lavorata e affinata in tipiche cantine piemontesi scavate nel tufo, gli Infernot. Fatti di pietra arenaria, d’estate (in passato) erano adibiti a locali di deposito per gli alimenti, celle frigorifere naturali ma anche rifugi in periodo di guerra, una ricchezza che ha certamente aiutato la zona del Monferrato a diventare un Patrimonio UNESCO.

Ma cosa c’è nel bicchiere? È il Primo Canato, un vino simbolico per la famiglia, è “l’andare oltre” il Grignolino come lo intendiamo: fresco, roseo, fragrante, effettivamente tannico, e decisamente elegante. Canato va oltre e lo ingentilisce ancora, lo smembra per ricomporlo, ne detiene una ricetta che prevede lunghe macerazioni e una maturazione per 3 anni in tonneau da 500 lt seguito poi da un affinamento in bottiglia. Una Riserva in uscita dopo almeno 5 fasi lunarie.

In tutte le etichette, con il supporto di un giovane illustratore, osserviamo l’interpretazione di ogni vino e dei simboli che ne influenzano il moto. Nel caso di Primo Canato, è il ritratto del padre di Marco, colui che nella zona ha sempre prodotto anche uno Spumante Rosé Muntavà prodotto con metodo ancestrale.

LA VERTICALE

GRIGNOLINO DEL MONFERRATO CASALESE DOC PRIMO CANATO 2015

Corpo condensato dal sale, immobile, osserva la polpa (matura) sorretta da un mai esornativo tannino dato dal legno. Ci sono ampiezza e armonia nell’epicentro gustativo che svelano una sfericità e un calore dettati probabilmente dall’annata.

GRIGNOLINO DEL MONFERRATO CASALESE DOC PRIMO CANATO 2012

Silenzioso nei primi battiti, la sua vena acida sferzante, conferma la fanciullezza, la gioia è come tutta sospesa in un’aurea affascinante che echeggia in continuo e ricorda all’unisono l’eucalipto. Una foglia tannica, sapida, ne incornicia le membra. Siamo dentro un boccolo di rosa delicatissimo, virtuosamente fresco, ancora coperto di rugiada. Assolutamente Grignolino per tutto il percepito ma con un’anima chiaroscurale “che va oltre” il vino: la sua materia è controllata da un’indole sapida. C’è il suolo argilloso en plein air.

GRIGNOLINO DEL MONFERRATO CASALESE DOC PRIMO CANATO 2010

Cupo, scuro, chiuso, foderato da muschio e sottobosco, poi il tartufo lascia spazio alla sua parte più aerea, e al naso compare la violetta. Alla beva la parte linfatica alleggerisce ogni componente; ampissimo c’è la potenza di una mina che sa di esser sempre appuntita.

INFO www.canatovini.it/

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