Siamo con Luca Ferraris, anche noto come il “signore del Ruchè”. La sua cantina omonima è ormai riconosciuta ed apprezzata non solo nel perimetro monferrino ma anche in oltre 35 paesi del mondo. La sua famiglia, Ferraris, in quel di Castagnole Monferrato è l’erede e tra le più importanti voci della storia di questo nobile ed autoctono vitigno, cosi fresco e curioso da essersi fatto strada molto rapidamente.
In realtà tutto inizia nella prima decade del novecento quando molti italiani scelsero di sbarcare in America in cerca di fortuna. Incontrata dal bisnonno Luigi che invia i proventi generati dall’oro trovato alla moglie Teresa, che non ci pensa due volte e acquista la casa più grande del paese. Ci sono grandi cantine, oggi diventate un museo, e relativa vigna non distante dalla centrale Via del Castello, impreziosito da uno spettacolare “infernot” scavato a mano nel tufo che insieme alla biodiversità di queste colline ariose e verdi circondate dalle Alpi, dal Monviso, al Monterosa, al Cervino, al Monte Bianco, con boschi e castagni, hanno contribuito a rendere questo paesaggio Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Luogo fatto di uomini nati sotto buone stelle e di belle intuizioni come nonno Martino quando investe nel “Casot”, per agevolare le lavorazioni in campagna e produrre vini da consegnare a Torino in sella al suo cavallo. Una capitale che con l’industrializzazione non ha certo favorito lo sviluppo economico e commerciale del vino…Ma la passione e quella voglia di rimane ancorati alla terra sono i sinceri responsabili della mai fermata produzione delle uve conferite al tempo alla cooperativa sociale del paese. Sarà poi nel 1999, ultimato il percorso di studi, che Luca Ferraris sceglie di prendere in mano l’attività e trasformarla nella sua ragione di vita. Scelta che, oggi si può dire, fù una vera e propria rinascita, un riscatto per l’intero territorio del Ruchè. Inizia con i diradamenti, vuole trovare la strada per imbottigliare, in prima persona, vini di alta qualità. Sarà stata la novità, la storia e la bontà -o probabilmente il mix di tutto questo- fatto sta che nel giro di tre anni passa da dieci a sessantamila bottiglie.
Oggi gli ettari sono diventati poco più di una trentina e la produzione si attesta intorno alle 180mila unità con fortissima specializzazione sul Ruchè affiancato all’internazionale Viognier e la più tipica Barbera. Una linea che rende Ferraris la più grande azienda a gestione familiare tra i sette comuni in cui è consentita la produzione del Ruchè DOCG. Più recentemente a completare la gamma produttiva è arrivato l’acquisto di una magica e vocata vigna, quella “del parroco”, da cui si produce il vino più iconico dell’azienda e dell’intero areale.
In questo vino, la storia si intreccia al mito, il talento alla vocazione, la natura all’ascolto. Tutto inizia con la lungimirante scelta del parroco Giacomo Cauda di vinificare in purezza le uve adiacenti alla vigna in abbandono della chiesa in cui teneva messa a partire dall’inizio degli anni sessanta. Giacomo quando arriva da Cisterna d’Asti conosce probabilmente i classici vitigni roerini e di langa: dolcetto, barbera e nebbiolo.
È il 1964 quando scopre il Ruchè, ne viene colpito per lo spiccato profumo e per il colore brillante. Inizia allora a produrlo seriamente e separatamente dalla Barbera, rimettendo in sesto l’intero clos di 12 giornate 8 e mezza, di cui 8 e mezza di Ruchè (l’attuale superficie della “vigna del Parroco”), due di Grignolino, una e mezza di Barbera. In etichetta apparirà a lungo l’immagine di un angelo con le ali aperte. All’inizio l’impegno e il sogno di Don Cauda non è ben accolto dalle autorità ecclesiastiche ma fortunatamente negli stessi anni il fenomeno Ruchè cresce, inizia la corsa all’impianto e da qui la necessità della tutela ed il conseguente ottenimento della DOC e DOCG. Negli anni novanta la magica vigna rientra tra le proprietà di sostentamento del Clero, le fatiche e i brutti pensieri del vecchio parroco sono quietati dall’acquisto della stessa da parte di un parrocchiano, Francesco Borgognone che la cederà nel 2016 al promettente e giovane Luca Ferraris…
Questo grand cru oltre alla sua storia e l’allure è di valore inestimabile. È infatti l’unico appezzamento di terra riconosciuto dal Ministero. Soprannominato in zona come “Il piccolo Barolo del Monferrato”, il vino è prodotto con un antico clone di Ruchè, protetto, anzi predestinato ad eccellere. Giacomo Cauda nella sua modestia amava ripetere: “sono solo un uomo, un povero prete. Il successo che ho avuto non è merito mio, ma di chi, dall’alto, ha ispirato la mia opera. Tante volte ho pensato ‘Chi me lo fa fare?’ Ma, dentro di me, conoscevo la risposta”.
All’assaggio il 2016 è di sensazionale potenza ma anche leggerezza, il tannino accarezza il palato definendo con persistenza il suo passaggio. Iodato e fitto non è ancora maturo, si fa strada e lascia andare via via sensazioni più balsamiche. I frutti blu avvolgono le guance e coinvolgono in un sorso fresco e molto elegante. Un esemplare che stupisce chi è, o non è, abituato a Ruchè armonici, meno taglienti e certamente più ricchi di frutto. Le vigne vecchie di sessant’anni gli conferiscono profumi incredibili che ricordano la polvere da sparo, bastoni di liquirizia e scorze di arancia rossa.
Della stessa forza è anche il Ruchè Opera Prima 2016. Si tratta di una rivoluzione della tecnica con cui si vuole rappresentare il vitigno. Nasce con una visone “di tempo” contrastando totalmente l’idea del classico Ruchè più conviviale. Nasce dall’incontro di visioni di Luca e nonno Martino che scelgono per la produzione di questo vino la piccola vigna del Bricco della Gioia, alto e progressivamente illuminato dal sole. Nel bicchiere si riflette la voglia di raggiungere una traguardo più lontano e più longevo. Si esaltano gli agrumi e si raccolgono con meraviglia l’eucalipto e le componenti più speziate.
All’ingresso appare rotondo e piacevole per poi allungarsi con immediata freschezza e controllata salinità. Una forma quasi voluta e di facile comprensione che chiaramente chiede di aspettare prima di esser riascoltato. Cambia istante dopo istante. Accelera e lascia una bella sensazione di movimento al palato.
La forza e le capacità della cantina si assaporano tutte nel Ruchè Clasìc 2017: manifesto della rappresentazione del lavoro di Luca che assicura la qualità con le più basse rese in vigne di 10 anni circa su terreni misti, calcarei, argillosi e tufacei e la scelta di fermentare direttamente in tini grandi. Il risultato è un vino decisamente più espressivo con un rapporto confidenziale con il frutto e il legno. Fedele al vitigno è floreale e carico di bacche rosse dolci con qualche foglia di stevia e cenni di tostatura. La bocca da vita a un sorso equilibrato e ampio senza sbavatura. Chiude secco e pulito.
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