In Valtellina il buon bere alpino fa rima con Braulio, da oltre 140 anni. Per l’occasione lo scorso 6 aprile le storiche cantine dell’azienda più artigianale del gruppo Campari, nella centralissima via Roma a Bormio, si sono ampliate di circa 1.650 mq, arrivando a ben 6.516 mq.
Bormio sottorranea mantiene l’aspetto originario delle cantine del XIX secolo, ancora in possesso della famiglia Peloni, con una soluzione di continuità che dura da un paio di secoli. Sono 166 le nuove botti di rovere di Slavonia portate a Bormio, l’obiettivo è quello di raddoppiare nell’arco di tre anni la capacità produttiva dell’amaro Braulio. Un esempio di eccellenza di prodotto e di successo imprenditoriale di una famiglia che ha cominciato la propria attività come farmacisti di paese. Un legame forte con il territorio dal 1785: in tutta la Valtellina e non solo, il Braulio è l’amaro per eccellenza. Una profonda conoscenza e una forte passione per le erbe selvatiche, un attento studio su quella che può essere considerata la mixology ante litteram, che non segue le mode ma le detta, rendono il Braulio un amaro che piace anche ai millennials. Sono tredici le erbe che danno il caratteristico sapore all’amaro ma solo quattro sono note: ginepro, genziana, achillea moscata e assenzio, alchimia alpina.
“Questo importante progetto conferma la volontà di Campari Group di continuare a investire sul territorio di origine di Braulio, valorizzando, sia in Italia che all’estero, il suo autentico spirito alpino e la tradizionale ricetta segreta custodita gelosamente e tramandata da tre generazioni – commenta Lorenzo Sironi, Senior Marketing Director Italy Gruppo Campari – Da 140 anni, Braulio immerge infatti chi lo degusta nell’inconfondibile paesaggio ricco di storia proprio della Valtellina e del Monte Braulio, vetta da cui prende il nome”.
Non solo più quindi rito italiano del dopocena confinato alle gite in montagna, il Braulio recluta sempre nuove leve con una produzione di 1 milione di litri, che si dividono tra Braulio tradizionale e la riserva, conservata per 15-20 mesi in botti di rovere invecchiato, la cui prima annata è il 2000, destinata a raddoppiare. La ricetta del Braulio si trasmette di generazione in generazione ai figli della famiglia Peloni, dal dottor Giuseppe, laureato in Chimica e Farmacia all’Università di Padova, al figlio Attilio che nel 1936 scrisse “in herbis salus” a Egidio Tarantola Peloni, che fu il responsabile della produzione del liquore e dell’espansione dell’azienda fino a Edoardo, l’attuale custode della ricetta.
“Certo la ricetta è un segreto di famiglia che non è facile da conoscere neanche per i figli, bisogna dimostrare di essere all’altezza. Per anni sono stato in laboratorio con mio padre che, senza dirmi che erbe stavamo usando, piano piano mi ha istruito a capire i segreti dell’amaro e delle erbe della mia Valtellina. Un processo che è durato anni” racconta Edoardo Peloni.
Dalla Valtellina a Milano il passo è breve, molti bar milanesi cominciano a usare il Braulio nella mixology, dando vita a nuovi cocktail e a nuove modalità per berlo: dal Wooding bar, a Terrazza 12 che propone un twist di Americano. Il nome dell’amaro è dedicato alla montagna che sovrasta Bormio, il monte Braulio: 2.979 metri di altezza, dalla punta arrotondata e raggiungibile con relativa facilità, è tra le mete più interessanti per escursioni e passeggiate dei dintorni. Non è un caso che il payoff di Braulio sia “meno mondano, più montano”.
+info: www.amarobraulio.it/