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Un sentimento viscerale e infinito, più forte di qualsiasi avversità. “Tornare e resistere”, per combattere al fianco e in nome del territorio. Il fuoco della passione per la propria terra è il carburante dell’anima di Martina Caruso, 29 anni, patron del ristorante Signum di Salina e già stellata dal 2016: è lei la Chef Donna 2019 premiato dalla Guida Michelin in partnership con l’Atelier de Grand Dame di Veuve Cliquot.
TESTA DURA – Per il lavoro che Martina svolge quotidianamente “con una cucina locale aperta alle contaminazioni, che trova alla base gli aromi della sua isola”. La motivazione della Guida racchiude in punta di penna i valori di Caruso, votata alla tradizione con il coraggio mai banale di chi si evolve. “Strutturata, fresca e non esagerata, accompagnata da grande volontà e capacità di progredire, e di essere rappresentante della proprio isola”. Quella Salina che a 14 anni la vedeva già disposta a tutto pur di essere padrona della cucina, nonostante il parere contrario dei genitori che un anno prima di averla, davano vita al progetto del ristorante. “Ero determinata già da piccola, ho la testa dura. A 16 anni ho continuato i miei studi a Cefalù, senza paura”. Fino al ritorno sull’isola, che come lei stessa racconta “mi dà l’energia del vulcano che la domina”. L’amore per la sua terra è al tempo stesso dedizione e supporto, sogno e famiglia. Un approccio antico alla ristorazione, con ingredienti reperiti da artigiani e dall’isola stessa, portati in tavola su un binario diretto che sa di Mediterraneo.
TRADIZIONE VEUVE – Martina riceve il testimone da Fabrizia Meroi, premiata da Veuve Clicquot lo scorso anno e protagonista con il menu della cocktail dinner durante la cerimonia al The Yard di Milano del padrone di casa Francesco Galdi, annaffiata da una strepitosa Grande Dame di Veuve Clicquot millesimo 2006. Sarà un incentivo e soprattutto una responsabilità, come testimonia anche Caterina Ceraudo, la prima donna premiata dalla manifestazione nel 2017: “Dopo la vittoria la mia vita è cambiata, qualcuno ha finalmente capito dove ero. Nel mio territorio ho dato un senso diverso al mestiere, ho lanciato un messaggio profondo di donna che non solo è moglie, ma anche artista, intrattenitrice, lavoratrice, manager. Chi viene a trovarmi è contento, e so di essere stata un esempio per giovani della nuova generazione”. Nel 2016 aprivano i battenti del progetto Atelier de Grand Dame, sulla scia di una tradizione ben raccontata da Francesca Terragni, Direttrice Marketing e Comunicazione di Moët Hennessy, del quale Veuve Clicquot fa parte: “Madame Clicquot fu pioniera per forza e anticonformismo, e negli anni la maison non ha dimenticato il suo spirito”.
INTUIZIONE FELICE – Dal 1973 sono infatti attivi progetti dell’azienda per valorizzare il talento manageriale e imprenditoriale delle donne nel mondo, oggi riuniti sotto l’hastag #veuveclicquotforwomen: “Nel 2016 in Italia decidemmo di accendere una lampadina sulle donne più talentuose nel mondo dell’alta ristorazione, denominandolo secondo un’ispirazione chiara: Atelier perché significa fare, creare, e Grand Dame perché Madame Clicquot rimane il nostro punto di riferimento”. Nel 2017 l’opportunità di sodalizio con Michelin per creare il premio, un successo che ha portato l’opinione pubblica ad accorgersi di donne chef dal valore assoluto: “Abbiamo avuto un’intuizione felice, abbiamo visto enormi progressi ma dovranno ancora essercene; è un percorso, in quanto tale mai compiuto, sempre alla ricerca di nuovi stimoli da prendere in considerazione”. Il premio fa inoltre parte di un progetto del gruppo LVMH che mira a tutelare e incentivare lo sviluppo delle donne in qualsiasi ambito.
FEMMINILITÀ – Il focus dell’edizione di quest’anno ha riguardato la femminilità espressa nel lavoro delle chef, troppo spesso scambiata come tratto distintivo di piatti e filosofia di cucina. “Non si è in grado di distinguere la mano di un uomo o di una donna”, spiega Antonia Klugmann alla premiazione. “Un uomo può essere più femminile di me, io più mascolina di un uomo. Siamo fortunate perché nel nostro lavoro il nostro aspetto conta zero”. La cucina come massimo luogo di libertà, nel quale i rapporti umani devono farla da padrone, secondo Solarika Marlocco del ristorante Primo di Lecce: “Uno sguardo può valere mille parole, da qui viene fuori la femminilità, dall’empatia. La sensibilità è forza, non debolezza”. Katia Maccari, toscana de I Salotti, Chiusi, ha posto l’accento su organizzazione e pianificazione e sulla sua brigata che conta l’80% di quote rosa. Carlo Boschi, Senior Brand Manager di Veuve Clicquot Italia, ha citato più volte il ruolo di mentoring: “Un partner autorevole come Michelin ci permette di lavorare per creare un contenuto e tutto quello che è necessario perché si continui a parlarne. È fondamentale l’attenzione al sostegno dei talenti, e questo è uno strumento”.
DONNE STELLATE – Martina Caruso si afferma quindi come paladina del movimento femminile nelle cucine italiane e non solo. Ulteriore conferma di quanto le donne siano in realtà ben più protagoniste di quanto non si sappia: le chef stellate in Italia sono di gran lunga più numerose rispetto a qualsiasi altro paese, addirittura 41 su 169 chef stellati totali, davanti a Francia e Spagna ben distanziate. “Noi siamo solo attenti osservatori del movimento delle donne in cucina in crescita, il merito è tutto loro”- ha sentenziato Marco Do, Direttore Comunicazione Michelin Italia, che ha aperto la busta rigorosamente rossa dove c’era il nome di Martina Caruso. Ma guai a chiamarle quote rosa: inutile una contrapposizione di genere nel mondo dell’alta gastronomia, forse nemmeno esiste una cucina al femminile. Ha senso invece sottolineare sensibilità e attitudini diverse tra uomini e donne ai fornelli. Magari l’obiettivo del premio, come detto dai presentatori Fernanda Roggero e Luca Iaccarino, è davvero l’autoestinzione, quando non ci sarà più bisogno di dar voce a una minoranza, che minoranza in realtà non è. E magari il prossimo focus potrebbe essere sul mondo della sala, dove ci sono dei talenti al femminile in costante ascesa.
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