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Ogni scritto nasce da una motivazione diversa. È la sua natura primaria a imporre il perché della sua esigenza e realizzazione, e quasi sempre è causa di un incontro. Sono pochi, poi, quelli che ti cambiamo la vita. Come nel caso delle ultime immagini di Bruno Carvi, il produttore di vino a Viguzzolo, nell’alessandrino. Ci ha lasciato qualche settimana fa, durante il periodo che la storia chiamerà “quello del Coronavirus”.

Lo capiamo da subito, quando guardiamo negli occhi una persona o una vigna e sentiamo il sangue accelerare dentro di noi. Si chiamano emozioni, le sbavature del tono vocale di chi narra i propri percorsi di vita sono le chiavi d’accesso alla loro comprensione. L’ascolto si trasforma in immagini: veloci e frastagliate. E ad un tratto arrivano le “frasi fatte” e i convenevoli, meri e sottili veli impiegati per nascondere le fatiche che hanno consumato anima e corpo. Sacrifici che hanno portato alla realizzazione di quel progetto tanto sognato e inimmaginato.  L’eco di queste fatiche si manifesta con segni nelle mani, in rughe, in passi più lenti, nella schiena affaticata e meritevole del giusto riposo. E poi c’è quel bastone di legno che aiuta a camminare e ad entrare nella casa – cantina quando si rientra dall’ospedale. Fortunatamente alle spalle c’è un secondo, prezioso aiuto: la mano della moglie. Entrambi tuonano “ci sono”.

L’azienda di Bruno Carvi Cascina Montagnola si trova nei Colli Tortonesi e si è sviluppata grazie al crescente colpo di fulmine avuto con questa campagna incontaminata ad una sola ora di distanza da quella Milano dove gestiva un’importante agenzia di assicurazioni. Insieme alla moglie Donatella il percorso prende il via nel 1997.

Intorno a Villa Margherita anche un ettaro di vigna di Barbera e tutto lì intorno c’è lo spazio ideale per coltivare altra frutta – pensarono i due. Donatella con trasporto, sorriso e costanza ha sempre contribuito alla gestione di ogni aspetto aziendale. Lo apprezziamo quando si vede la dimestichezza dei suoi passi in ogni angolo della cantina, anche in quelli più stretti che portano ai servizi o alla sala degustazione, colma di bottiglie e di vecchie réclame.

L’incontro organizzato, oggetto di questo racconto, è per scattare un fermo immagine sul presente e di quanto è stato fatto. La tavola è imbandita di bicchieri, una strepitosa verticale di Timorasso Morasso è pronta a svelare i segreti del suolo in cui nascono i vini di questo terroir segnato, in ogni suo confine, dalle Marne di Sant’Agata: le stesse che troviamo nelle Langhe (Verduno, la Morra e a Barbaresco).

Al timone c’è un sale potente ma non invasivo che, fedele alla rotta impostata dall’andamento climatico, conduce i vini con una timbrica disarmante per tocco e per linguaggio. Per stile. Li vive, li cavalca, li anima, li dosa, li rende profondi. Ci sono traversate più lunghe e persistenti (accade nel 2006 e nel 2010), più rettilinee perché il meteo ne ha enfatizzato la freschezza ma anche vini che non si  fermano mai (accade nella strepitosa 2011) e poi arriva la virata finale, il sorso dal quale non tornerai più indietro: è quello dell’annata 2016. Ogni instante si fa più saporito, più luminoso. Dopo quattro anni il suo scheletro è formato, compito e progettuale. Inizia una lunga navigazione.

Il vino, in quest’annata beata, è untissime: potente e ardente giovinezza. È la più bella espressione in batteria, un sorso di prospettiva indimenticabile. I cuscini di terra a Viguzzolo sono resistenti alla siccità, i vini sono tutti accompagnati da una importante acidità. Questi speciali orizzonti agevolano anche i lavori in vigna, oggi poco più di 3 ettari a Timorasso, curati, dal principio, da Joseph Manuel. Un lavoratore silenzioso, preciso, ligio che, dal 1998 insieme a Giovanni Bailo e la consulenza dell’agrotecnico Davide Ferrarese cura – come fosse suo – il parco vigna intorno alla cascina. Un percorso, quello proposto, culminato con l’assaggio dei rossi in cui a stupire è un Merlot vinificato in purezza solo negli ultimi anni. Pochissime le bottiglie prodotte per godersi un’evoluzione danzante sempre figlia del talento del suolo e del suo più grande interprete.

Buon viaggio, Bruno. A Donatella auguriamo di continuare con la stessa passione il suo percorso e continuare ad offrirci vini pregni di vitalità.

 

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