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Cosa ci fa uno degli artisti più controversi e apprezzati della storia moderna, con il prodotto italiano per eccellenza, nel cuore della città più modaiola d’Italia? Non una barzelletta, ma una tre giorni di sfrontatezza e cin cin, durante i quali Maurizio Cattelan è stato tra i protagonisti di discussioni da bar (è il caso di dirlo): vincitori e sconfitti, ma non quelli che ci si auspicherebbe.

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Cattelan, inutile dirlo, ha ancora una volta fatto parlare di sé e di quello che gravita attorno a lui. Se metti un dito medio di fronte alla Borsa di Milano, infili mezzo cavallo imbalsamato nella parete di una galleria d’arte, tieni inchiodato un bambino fantoccio al banco di scuola con matite infilzate nelle mani (senza considerare i manichini impiccati in centro a Milano, trent’anni fa), aprire un pop-up sul Naviglio accanto a un posto identico e già celebre, è una passeggiata di salute.

Maestro della comunicazione ante-litteram, virale ben prima che i social sbucassero all’orizzonte, l’ex infermiere padovano ha in carriera smosso qualcosa come cento milioni di euro solo in valore delle sue opere, nessuna delle quali ha mai mancato di far storcere il naso all’opinione pubblica, quando non addirittura sconvolgerla: chiedere anche ai polacchi, che si sono ritrovati l’ormai famigerata scultura HIM, raffigurante un Hitler in ginocchio e penitente, in pieno ghetto di Varsavia (oggi il pezzo è parte di una collezione privata, dopo la vendite tramite Christie’s per diciotto milioni, nel 2016). Che il tipo sia giusto un minimo sfacciato, lo si poteva immaginare anche prima del suo ingresso nel mondo del bere. 

Maurizio Cattelan

Mondo del bere che, seppur limitato allo scenario milanese, s’è invece visto scuotere dall’iniziativa di quella vecchia volpe del Maurizio, che insieme ad altre due menti navigate come quelle di Paolo Dalla Mora (inventore di Engine, da poco ceduto al 25% al colosso ILLVA) e Charley Vezza, ha lanciato il proprio brand di grappa, conclamata passione di famiglia date le origini di Cattelan, che sostiene di averla ereditata dal padre, tecnico radiologo. Equazione semplicissima, risultato fragoroso: prodotto italiano con nome orecchiabile (Sgrappa), packaging con tanto di dito medio in bassorilievo e soprattutto location intrigante (meglio dire irritante) per cominciare a calcare la scena della notte.

Qui, che lo si apprezzi o meno, il genio malefico di Cattelan ci ha messo una firma a caratteri maiuscoli: per il pop-up store, durato tre giorni lo scorso weekend, Sgrappa ha scelto un’installazione larga sessanta centimetri, una finestrella attraverso la quale una non meglio identificata mano porgeva i bicchieri d’asporto, con cocktail ovviamente a base grappa, ai passanti assetati. Poteva aprirla ovunque, e invece ha scelto Ripa di Porta Ticinese 43, sulla via che è polmone del divertimento milanese: civico dove si trova anche l’arcinoto Backdoor43, il bar più piccolo del mondo, che negli anni (ha aperto nel 2015) si è distinto anche per il take-away attraverso la propria, di finestrella.

Che si sia trattato di sfida, scimmiottamento (di certo non inconsapevolezza), e soprattutto che lo si apprezzi o meno, l’esperimento è riuscito alla grande: l’intero panorama del bere miscelato milanese, dai professionisti agli habituè, ha per due giorni insultato, ammirato, commentato Sgrappa e via!, portandolo a tappezzare il flusso social del fine settimana, a maggior ragione quello del Backdoor43 e di tutto il gruppo Farmily di Flavio Angiolillo, cui il localino appartiene e del quale è uno dei gioielli più interessanti. È stato il trionfo del marketing indiretto, sul quale, ci si potrebbe scommettere case, Cattelan e la distributrice di Sgrappa, Velier, avranno puntato a occhi chiusi in fase di pianificazione: probabilmente aggiungendo una punta di provocazione in più, alla luce di una comunicazione guerrilla che lo stesso Farmily ha da mesi avviato per sponsorizzare il proprio ultimo prodotto, cosa nota a chiunque sia nel giro del bere, figurarsi a chi il giro lo foraggia con la propria distribuzione. Come a dire, “se lo fate voi con altri, lo si fa noi con voi”.

L.O.V.E – La celebre scultura di Cattelan in Piazza della Borsa

Quello che però ha davvero inquinato l’intero acquerello, di per sé in qualche modo affascinante a prescindere dalle parti che si vogliono prendere, è stata l’ennesima prova scadente di chi della comunicazione, intesa come informazione e non come pubblicità, si suppone faccia un mestiere. Decine sono state, infatti, le testate (per fortuna quantomeno non quelle specializzate) che hanno parlato del pop up di Sgrappa e Via! come del “nuovo bar più piccolo del mondo”, prevedendone il sicuro successo “anche nei prossimi mesi”; senza neanche quindi preoccuparsi di comprendere davvero cosa fosse, considerando che è ormai già un capitolo chiuso, sebbene nessuno possa escluderne una replica.

Ed è questo forse che ha più di tutto fatto levare gli scudi al Backdoor43 e alle schiere di bevitori abituali (e va detto, anche grazie allo sforzo di Farmily, consapevoli), che hanno giustamente tenuto a specificare come la progettualità, la fatica e la visione per poter davvero portare avanti un’idea come quella (il Backdoor43 è un minuscolo salotto per quattro persone al massimo, con musica, ricette e coccole su misura per ciascun avventore) siano oltremodo maggiori e soprattutto più richiedenti, rispetto a tre giorni di cocktail d’asporto, e via. Sarebbe bastato informarsi di più per informare meglio, e cogliere l’occasione per sottolineare magari l’imperitura attrattiva dei Navigli e dei distillati, a maggior ragione adesso che si dovrebbe riaprire come si deve.

E invece no, l’unico mantra è stato fotocopiare un qualche comunicato stampa, condirlo con un goccio di sentito dire e alimentare un fuocherello che agli occhi di chi non è addentro all’hospitality potrà sembrare una schermaglia da ragazzini. Ma che per chi è stato costretto a tenere chiuso mesi, passeggiando sul filo dell’incertezza, è un ulteriore pizzico all’orgoglio, perché per quanto lascino il tempo che trovano, i titoli hanno sempre un certo effetto. Ne ha perso, ma non è una cosa rara ormai, la credibilità di giornali e riviste. Ne ha guadagnato, eccome, Maurizio Cattelan, non che ne avesse bisogno, sia chiaro, ma la conferma del suo intuito senza reverenze è un piacere artistico, anche in un campo che non è (stato, almeno finora) il suo. Ne ha guadagnato un gran bene anche il Backdoor43, alla vigilia delle riaperture all’interno dei locali: magari sarà stato uno sprone in più per far vedere ai nuovi adepti, che arriveranno copiosi, anche grazie al tam tam del weekend, quanto la qualità, alla lunga, si vedrà sempre. Come direbbero nel rugby, win or lose, always booze. Che si vinca o si perda, purché si brindi. E stavolta l’hospitality può brindare guardando al domani, tanto a perdere è stata solo la faccia di certi scribacchini.

 

 

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