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Un progetto ricco di fascino e passione Cave Monaja, una piccola cantina valdostana che dal recupero di fazzoletti di vecchie vigne in pochi anni è riuscito ad entrare nelle migliori tavole stellate d’Italia. Una vision chiara con modi gentili e metodo maniacale quella dell’enologo e titolare Chul Kyu Peloso, Andrea per gli amici, coreano di nascita ma valdostano doc nelle radici. L’occasione di conoscere meglio la realtà di Cave Monaja durante una degustazione da WineTip a Milano, che grazie al lavoro di scouting di piccole realtà ha scovato questa chicca valdostana.

Le vigne recuperate di Cave Monaja©Cristian Castelnuovo

Una storia da raccontare Cave Monaja, Chul Kyu“ Andrea” Peloso, dopo aver terminato gli studi in enologia ad Alba ed esperienze in cantine di Langa, torna in Valle d’Aosta. Nel 2016, su consiglio di un’amica prende in gestione un vecchio vigneto di famiglia ereditato dal nonno, un piccolo appezzamento di circa 400 metri quadri che rischiava di andare perduto. Da quel primo passo è nato il modello Cave Monaja, 7.000 bottiglie prodotte tutte numerate a una a una, grazie al lavoro di recupero di vecchi impianti, 30 piccoli appezzamenti con un’estensione di poco più di due ettari, piccoli appezzamenti da 150 mq, sino al più grande di 3.000 mq, partendo da una quota altimetrica di 500 mt, per arrivare agli oltre 1.000 mt. “In poco tempo diversi proprietari mi hanno chiesto se avessi potuto occuparmi anche dei loro vecchi vigneti di famiglia. Piante e terreni che nessuno vuole più coltivare perché poco redditizi, anche per via dell’enorme impegno per la lavorazione di una viticoltura definita eroica”.

Chul Kyu Peloso©Cristian Castelnuovo

Una realtà Cave Monaja nata nel 2018, con la mission di salvaguardare un pezzo di storia vitivinicola valdostana, gestendo vitigni perfettamente integrati con il proprio terroir. Un approccio sostenibile, preservando gli uvaggi diversi coltivati all’interno dei vigneti, una biodiversità storicamente necessaria per fare fronte all’imprevedibilità per la creazione di vini espressione del territorio, rispettando i diversi cicli di maturazione mantenendo l’equilibrio. “Sono il custode di queste vecchie vigne, cerco di ammodernare gli impianti in modo da rendere più agevole il lavoro in campagna, sostituisco i vecchi pali con strutture più moderne che permettano di far crescere la vigna in modo più ordinato e incrementare la superficie fogliare. Ma le piante rimangono quelle, come anche i sistemi di allevamento originali”.

La cantina di Cave Monaja©Cristian Castelnuovo

Una cantina piccola ma perfettamente organizzata, si trova alle porte di Aosta a Quart, un approccio garagista in locali un tempo utilizzati per la maturazione dei formaggi, suddivisi in modo razionale che per garantire oggi un ambiente perfetto anche per la lavorazione dei vini, con un vecchio torchio e una moderna pressa pneumatica, cercando di ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente, riuscendo a controllare le temperature con metodi di una volta. Sui lieviti, per la produzione dei vini bianchi, sono usati solo ceppi selezionati neutri, per i rossi lieviti indigeni che si trovano naturalmente sull’uva. I vini non vengono filtrati ma fatti naturalmente decantare grazie al freddo.

La prima etichetta Cave Monaja©Cristian Castelnuovo

Moderni e naturali, una gamma di 6 etichette che in pochi anni hanno già ottenuto premi e riconoscimenti. La prima etichetta da cui ha preso il via l’attività è il Foehn, 40% Fumin, 30% Petit Rouge e 30% Vien de Nus, le uve utilizzate in questo caso provengono esclusivamente da vecchie vigne, con un’età media tra i 60 e 80anni. Al termine della fermentazione e della successiva conversione malolattica, il vino matura per circa 18 mesi all’interno di particolari tonneaux, che sono stati recuperati e rinnovati appositamente per la cantina. Lo Stau invece, nasce da una lavorazione di Chardonnay per il 50%, a cui si aggiungono Malvoisie de Nus, Muscat Petit Grain e Traminer. Nomi che richiamano una beva pronta come il Prêt à Boire Blanc e Rouge, vini che nascono dalla lavorazione di uve internazionali e dall’impiego di tecniche che non appartengono alla tradizione valdostana, come l’anfora per l’affinamento del bianco e un serbatoio ovoidale in cemento per il rosso. Prêt à Boire Blanc, nasce da un uvaggio di Malvoisie de Nus al 40%, Muscat Petit Grainper il 30%, Traminer per il 20%, a cui si aggiungono percentuali di vitigni a bacca bianca. Prêt à Boire Ruge, nasce invece da una lavorazione di 40% Pinot Noir, 30% Syrah e20% Petit Rouge, a cui si aggiungono piccole percentuali di vitigni a bacca rossa.

Prodotto in sole 300 bottiglie annue, il Monaja 300. 40% Petit Rouge, 30% Fumin e Vien de Nus, in questo caso le uve provengono dagli impianti più vecchi, con viti di età media superiore a 80 anni, tra cui anche quelle raccolte dalla monumentale e ultracentenaria vite di Farys, una pianta di oltre 300 anni situata in una frazione del Comune di Saint-Denis, appoggiata a un’antica pergola. L’ultimo nato è il Sélection Monaja, il “cru” di Cave Monaja, nato nel 2020 con l’idea di valorizzare una particolare vigna, frutto di un lungo lavoro di recupero durato ben quattro anni. Prodotto solo in 800 bottiglie in limited edition, nasce da una lavorazione di Fumin e Petit Rouge al 40%, con il 20% di Vien de Nus. Tra i progetti futuri, ampliare la produzione arrivando sino a 15.000 bottiglie al massimo, uno spumante che sta riposando sui lieviti, oltre a guardare con interesse i mercati esteri tra cui Corea, Usa, Norvegia e Svizzera.

INFO Cave MONAJA (company.site)

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