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Una sola lettera che genera un piccolo terremoto, con protagonisti un colosso planetario e una comunità indigena. Non è la trama di un film distopico: le comunità Nasa e Embera Chami, strutture tribali della Colombia, hanno infatti dato un ultimatum a Coca-Cola, per chiarire l’utilizzo del termine coca, appunto.

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Il primo squillo era in realtà arrivato dal gigante di Atlanta: a fine 2021, tramite uno studio legale locale, Coca-Cola aveva formalmente fatto ingiunzione contro Tierra de Indio, la (modesta) compagnia di distribuzione che si occupa del piazzamento dei prodotti Coca Pola, Coca Ron e Coca Sek, appartenenti a Coca Nasa. Quest’ultima è piccola società fondata oltre un quarto di secolo fa da Fabiola Piñacué, leader dell’omonima comunità Nasa, che si batte per rivalutare la pianta di coca e definitivamente slegarla dall’associazione con la cocaina. Coca-Cola chiedeva quindi di evitare l’utilizzo del termine, per evitare confusione nel consumatore ed esercitare pratiche di concorrenza sleale.

La risposta delle comunità indigene è arrivata sul piano lessicale, addirittura: dieci giorni per avere “delucidazioni sull’utilizzo non consensuale del termine coca“, che se non forniti, porterebbero a misure giudiziarie e commerciali, incluso il divieto di vendere prodotti a marchio nei territori occupati dalle tribù. E non sarebbe neanche una fetta di nazione da trascurare: si tratta di quasi un terzo del suolo nazionale, trentatré milioni di ettari, secondo l’Agenzia Colombiana per il Territorio, che tiene a sottolineare come in ogni caso solo il dieci percento della popolazione si identifichi come indigena.

La pianta di coca è un caposaldo della cultura colombiana e di altre popolazioni indigene (Perù, Bolivia): viene masticata quotidianamente dagli abitanti del paese, e da essa derivano una moltitudine di prodotti. Il più tristemente famoso è ovviamente la cocaina, della quale la Colombia è il maggior esportatore del pianeta, a maggior ragione alla luce della libertà che i cittadini hanno di poter coltivare e lavorare la pianta anche in casa. Coca Pola (pola in colombiano significa birra) è uno dei prodotti che se ne ottengono, e fa parte del portfolio di Coca Nasa, che dà lavoro a venti impiegati e conta un catalogo di referenze medicinali ed enogastronomiche.

Le comunità Nasa e Embera Chami sostengono quindi che data l’importanza del prodotto (e del nome), il brevetto ultracentenario di Coca-Cola, realizzato senza consultare i colombiani, sia da considerarsi come una “pratica abusiva che viola il sistema di diritti umani nazionali, Andini e internazionali”, in una lettera firmata da Piñacué che ha ribadito come la coca sia un elemento chiave nella cultura indigena. I rappresentanti legali di Coca-Cola in Colombia non hanno risposto, ma farebbero bene a ripercorrere la storia: nel 2012, un brand chiamato Indigenous Coca fu citato in giudizio per plagio. Chiuse i battenti poche settimane dopo.

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