Non per forza tanto da diventare beoni, ma un buon calice di vino in queste sere di reclusione può davvero aiutare a risollevare l’umore. Il consumo enologico cambierà drasticamente nel prossimo futuro stanti le limitazioni logistiche imposte dai vari lockdown: ma si potrebbe parlare di evoluzione.
LE QUATTRO ERRE – L’analisi è fornita da Wine Intelligence, agenzia di ricerca leader nell’ambiente del vino: lo scorso gennaio aveva pubblicato il report annuale sui trend di consumo, che ovviamente hanno subito un importante variazione alla luce della pandemia da COVID-19. A quanto dice l’agenzia, però, “le macro-aree di consumo rimarranno uguali, con delle variazioni nelo specifico”. Il report di gennaio parlavo di quattro elementi chiave emersi negli ultimi tempi, definiti come le quattro R: responsabilità, rivendita, rapporto personale e repertorio. “Anche in queste nuove condizioni, i capisaldi rimarrano gli stessi”, spiega Lulie Helstead, CEO di Wine Intelligence. “A cambiare sarà il modo in cui si presenteranno e i lloro percorso evolutivo, senza dubbio”.
ON PREMISE E OFF PREMISE – A gennaio si registrava un incremento della domanda per esperienze enogastronomiche fuori casa, con tutti gli annessi e connessi. Questo comportava un più frequente consumo di vino “in loco”, spese in aumento e un maggiore richiesta di proposte premium. Inutile dirlo, il cambiamento principale riguarda il consumo “in loco”, pressoché impossibile allo stato attuale, con i vari lockdown ad abbassare le saracinesche dei rivenditori. “A fronte di un calo senza precedenti delle vendite di ristoranti e bar, per ovvi motivi, stiamo assistendo a un’attività dei rivenditori off premise, cioè con consumo in luogo diverso (enoteche, negozi) che si vede in genere solo a Natale, per quanto non ci aspettiamo possa continuare troppo a lungo”. L’inevitabile recessione economica globale sarà sicuramente un fattore incentivante per il consumo di vino casalingo, nel medio e lungo termine, ma la necessità di un’esperienza fuori dalle mura domestiche rimarrà fondamentale: semplicemente meno spesso e con un budget probabilmente più limitato.
PREMIUM? NO, GRAZIE – Negli ultimi tempi, inoltre, il mercato del vino aveva assistito a un importante processo di premiumizzazione, una ricerca del prodotto di nicchia e di maggior qualità, guidata soprattutto dai consumatori più giovani. La mentalità regnante era fino a poco tempo fa quella del meno, ma meglio. La pandemia potrebbe cambiare le carte: l’impossibilità di permettersi spesso un prodotto di qualità potrebbe portare a un ritorno alla ricerca del miglior rapporto qualità-prezzo, in qualsiasi settore, vino incluso”.
RIVINCITA DEL CHILOMETRO ZERO – A giovarne, paradossalmente, potrebbero essere i vini locali: “Ci aspettiamo un rinnovato interesse verso i prodotti nazionali, una sorta di incremento del chilometro zero, che starà a significare un aumento forse inconscio della protezione e dello spirito di appartenenza che il consumatore potrà avere verso il proprio paese. Soprattutto se si tratta di paesi con buona tradizione di produzione”. Va inoltre considerato un generale minor prezzo dei prodotti locali, rispetto a quelli importati. E per quanto triste sia, non va escluso anche un processo di protezione dai paesi più colpiti dalla pandemia, che potrebbero venire etichettati come responsabili e contagiosi.
FUORI CATEGORIA – Non cambierà, apparentemente, la demografica dei consumatori: i wine enthusiast aumentano in età, mentre le nuove generazioni di consumatori preferiscono non rimanere coinvolte in particolari categorie. I più giovani preferiscono sperimentare qualsiasi prodotto, piuttosto che essere considerati come amanti di questo o quel genere.
fonte: beveragedaily.com