Si è tenuto a Roma in un convegno dal titolo La filiera italiana della birra. Ridurre la pressione fiscale per continuare a creare valore e occupazione”, alla presenza di Assobirra, Confagricoltura, Confimprese e Fipe-Confcommercio. Nel corso del convegno è stata denunciata la politica fiscale penalizzante nei confronti della birra in Italia che sta comportando una diminuzione dei consumi con riflessi negativi sui livelli produttivi e sulla occupazione dell’intera filiera.
La birra pesa in maniera rilevante sul fatturato dei pubblici esercizi: secondo dati Fipe-Confcommercio, in media il 12% degli incassi vengono garantiti da questa bevanda, ma si arriva anche al 20% per i bar serali e addirittura al 43% per i bar/birrerie. L’italia resta il mercato con i maggiori volumi di import di birra (pari a 6milioni e 175mila ettolitri nel 2013), complice anche “una competizione fiscale sleale – continua Frausin – da parte di vari paesi europei, fondata su norme nazionali poco rigorose sulla denominazione del prodotto che permettono di commercializzare a prezzi molto competitivi prodotti di minor qualità, che rischiano di mettere fuori mercato gli operatori italiani”. “Anche per questo – continua Frausin – è importante che il governo Renzi intervenga, perché la scelta di questo ingiusto aumento va a colpire la competitività del nostro prodotto, che resta l’unica bevanda alcolica da pasto su cui grava l’accisa (da noi non pagano le accise le bevande alcoliche che rappresentano il 65% dei consumi di alcol, ndr). Ma quando si incrementano le imposte il prezzo della birra sale, si riducono i consumi e, come dimostra lo studio del Ref anche lo Stato non ci guadagna quello che ha programmato”.
L’aumento delle accise sulla birra ha un effetto boomerang sulle entrate fiscali dello stato.. Infatti “le accise sulla birra – spiega Fedele De Novellis, coordinatore della ricerca Ref – si traducono in un innalzamento del prezzo pagato dal consumatore, a parità di prezzo praticato dall’impresa. L’incremento dei prezzi si traduce in una diminuzione delle quantità vendute, tanto maggiore quanto più elastica al prezzo risulta la curva della domanda. Questi effetti ‘indesiderati’ delle forzature del mercato indotte dalle politiche fiscali di aumento continuo delle accise avranno perciò un impatto diretto e importante sull’introito atteso dallo Stato: a fronte dei 177 milioni preventivati, ne arriveranno appena 116. Ai quali vanno però sottratti ulteriori 48 milioni, effetto negativo in termini d’introito fiscale per il calo del PIL causato dalla flessione dei consumi. Quindi alla fine lo Stato si ritroverà ad aver incassato solo 68 milioni di euro effettivi, ben il 62% in meno di quanto sperato”.