Annebbiata dal tempo, ma pur sempre viva, una leggenda continua ad arricchire le storie di un luogo di paradiso nel centro Italia. Venere sarebbe uscita dall’acqua del Mediterraneo con una collana di perle, regalatale da Perseo: sette di queste si sarebbero staccate e finite in mare, creando quindi l’arcipelago toscano. E una tra queste perle oggi ha anche un distillato nel proprio patrimonio.
L’isola d’Elba (le altre sono Gorgona, Capraia, Pianosa, Montecristo, Giglio e Giannutri): la principessa delle acque toscane, occhi negli occhi con la Versilia, terra arcigna e affascinante di libertà. Qui, da sempre, fa tappa Federico Figini, milanesissimo ma elbano d’adozione, già protagonista nel campo della comunicazione: amante di questa landa cruda e autentica, vissuta fin nel midollo a maggior ragione quando le chiusure hanno costretto a guardarsi sia dentro che intorno. “Da anni desideravo creare qualcosa che racchiudesse l’Elba in tutta la sua essenza. Avevo anche pensato di aprire un locale, poi l’idea di un gin si è fatta strada”. Si chiama Helba, nome medioevale dell’isola, perché una storia di qualità va raccontata nei dettagli più profondi.
Come lo stesso Figini racconta sorridendo, nella presentazione al Sixieme Bistrot di Milano (la prima in assoluto fuori dall’isola), “buona parte delle imprese di successo nascono per gioco, o in un garage. Noi abbiamo avuto entrambe le cose, speriamo sia un buon segno”. La rimessa è in realtà la distilleria indipendente Eugin, creazione di Eugenio Belli con sede in Brianza, che dal 2019 miete successi anche in campo internazionale; è a lui che Figini (che rimane socio unico di Helba) si è rivolto per “una ricetta che permettesse di assaggiare quanto di più emblematico l’isola ha da offrire”. E Belli ci è riuscito.
Helba è distillato con acqua proveniente dalla Fonte Napoleone (l’isola fu casa dell’imperatore nel suo primo esilio), una delle prime quattro in Italia per minor tasso di residuo fisso. A questa si aggiunge la macerazione di sette botaniche che trasudano Mediterraneo e territorialità: oltre all’imprescindibile ginepro (in realtà ben più presente al palato), al naso si intuiscono menta, liquirizia e un tuffo salmastro dovuto alla caratteristica presenza delle alghe, la lattuga di mare. Il risultato è un sorso sapido, ai limiti della verticalità minerale, che ben si presta a una miscelazione classica e decisa.
Oltre al gin&tonic ormai rituale, Helba si presta in rivisitazioni di miscele immortali: la struttura salina si asciuga benissimo in un Martini tagliente e soddisfacente se realizzato con (poco) vermouth, specie se questo è ossidato il giusto e non troppo aromatico (è pur sempre un London Dry, circa 42°). In un Negroni invece aggiunge spinta e ruvidità piacevole sterzata su una beva importante e identitaria.
Anche il design è pregno di significato e storia. Il blu tiffany e la riforma ricordano l’immagine tipica di un profumo locale, altro orgoglio elbano ovunque, e il claim inciso dice tutto: dal cuore di un’isola, quello di pirite rappresentato con una grafica elegante e che rimane impressa (il sottosuolo dell’Elba è stato dai tempi degli Etruschi miniera di ferro, appunto). La produzione attuale è di circa tremila bottiglie, con l’ambizioso progetto di toccare le diecimila a maggio (un anno dall’inizio) e le centomila entro cinque anni. Nessuna presenza in GDO, prezzo intorno ai 42 euro e-commerce. È l’alba della distillazione dell’Elba.