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I consumatori americani dovranno presto pagare di più per cocktail, Champagne e birre straniere, mentre molti marchi potrebbero sparire dai menu dei bar. È l’effetto diretto della nuova ondata di dazi reciproci annunciati dal Presidente Donald Trump, che secondo le associazioni di settore del beverage porterà perdite occupazionali su entrambe le sponde dell’Atlantico.

Trump ha introdotto un’aliquota del 25% su tutte le importazioni di birra e ha esteso i precedenti dazi sull’alluminio anche alle lattine vuote per bibite. Le altre bevande ed il cibo dell’Unione Europea ed italiani sono stati colpiti da tariffa del 20%, creando una nuova barriera commerciale che rischia di ridisegnare l’offerta alcolica sul mercato statunitense.

Conseguenze per l’industria europea e americana

Sebbene i dazi più estremi – come quelli ipotizzati fino al 200% su alcolici europei o il 25% su tequila e whisky canadese – non siano stati attuati, le misure introdotte sono già sufficienti a danneggiare settori fortemente legati al mercato statunitense.

Nel 2024, le esportazioni europee di spirits verso gli USA hanno toccato i 2,9 miliardi di euro, secondo i dati di spiritsEurope. In Francia, le associazioni di settore paventano un calo delle vendite del 20% e licenziamenti di massa in aree simbolo come il Cognac, dove si produce uno dei distillati più esportati al mondo.

Molti di questi prodotti, come il Cognac, lo Champagne, il Prosecco o il Tequila, sono tutelati da denominazioni d’origine che impongono la produzione esclusiva in determinate zone geografiche. Ciò significa che non possono essere replicati o prodotti localmente negli Stati Uniti, rendendo inevitabile l’aumento dei prezzi e la riduzione della disponibilità.

Federvini sui dazi USA: impatto su oltre 2 miliardi di export italiano e 450mila lavoratori

Federvini, la federazione italiana delle industrie dei vini, spiriti e aceti, lancia l’allarme sui danni provocati dalle nuove tariffe statunitensi, definendole un colpo diretto all’equilibrio degli scambi internazionali. La misura colpisce un comparto che da solo vale oltre 2 miliardi di euro di esportazioni verso gli Stati Uniti, coinvolgendo oltre 40mila imprese italiane e più di 450mila lavoratori lungo l’intera filiera produttiva.

Secondo l’associazione, gli effetti non si limiteranno all’industria europea, ma avranno ripercussioni anche sui consumatori e sugli operatori americani, con un aumento dei prezzi lungo tutta la catena distributiva e impatti sull’occupazione locale. Una dinamica che, secondo Federvini, rischia di compromettere gravemente la competitività del settore agroalimentare italiano sui mercati internazionali.

La decisione di applicare dazi alle esportazioni europee negli Stati Uniti rappresenta un danno gravissimo per il nostro settore e un attacco diretto al libero mercato. Ci siamo già passati, e sappiamo bene quanto possa costare: in passato queste misure ci hanno portato a perdere fino al 50% delle esportazioni verso gli USA. Ora rischiamo di rivivere quel trauma economico, con ripercussioni pesantissime su tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, fino al consumatore finale. Serve ora più che mai compattezza e determinazione da parte delle nostre istituzioni per contenere gli effetti devastanti di queste misure inutilmente protezionistiche e antistoriche”, ha dichiarato la Presidente di Federvini, Micaela Pallini.

Micaela Pallini
Micaela Pallini

Il vino italiano sotto attacco secondo UIV: “a rischio 323 milioni di euro l’anno”

Particolarmente critica la posizione dell’Unione Italiana Vini (UIV), che lancia l’allarme sul comparto vitivinicolo italiano. Secondo l’Osservatorio UIV, i dazi al 20% imposti dagli Stati Uniti potrebbero causare una riduzione annua dei ricavi pari a 323 milioni di euro, mettendo a rischio la sostenibilità economica di molte aziende.

L’esposizione dell’Italia è particolarmente elevata: il 76% delle 480 milioni di bottiglie esportate lo scorso anno verso gli USA – pari a 364 milioni di bottiglie per un valore di oltre 1,3 miliardi di euro – si trova in zona rossa, ovvero con un’esposizione superiore al 20% del totale spedito. Le aree enologiche più a rischio sono il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, i piemontesi al 31%, così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco.

Secondo Paolo Castelletti, segretario generale di UIV, “l’Italia presenta due fattori di rischio principali rispetto ad altri Paesi europei: una maggiore esposizione netta sul mercato USA (24% contro il 20% della Francia e l’11% della Spagna), e una lista di prodotti molto sensibili per fascia di prezzo e volume”. Solo il 2% delle bottiglie italiane vendute negli USA rientra nella categoria dei vini di lusso, mentre l’80% è posizionato nella fascia “popular”, con un prezzo medio all’origine di poco più di 4 euro al litro.

Italia del Gusto: “A rischio la filiera agroalimentare e l’identità del Made in Italy”

Anche il Consorzio Italia del Gusto esprime forte preoccupazione per l’impatto dei dazi USA sul comparto agroalimentare italiano, che nel 2024 ha raggiunto risultati record con una crescita del +18% negli Stati Uniti, pari a oltre 7,8 miliardi di euro di export. Secondo il presidente Giacomo Ponti, non si tratta solo di numeri, ma della tenuta stessa di una filiera strategica, fatta di territori, competenze e marchi riconosciuti a livello globale.

L’introduzione di tariffe al 20% potrebbe generare perdite tra 1,2 e 1,6 miliardi di euro all’anno e mettere a rischio oltre 10.000 posti di lavoro solo nella filiera legata all’export verso gli USA. Un danno sistemico che colpirebbe non solo l’economia, ma anche il patrimonio culturale italiano, aprendo la strada a fenomeni di Italian sounding e favorendo le imitazioni a scapito dell’autenticità.

“Senza questi prodotti sulle tavole americane non perdiamo solo fatturato: perdiamo un pezzo di identità italiana nel mondo”, ha dichiarato Ponti, che ha sollecitato un intervento tempestivo del governo italiano e dell’Unione Europea per evitare che barriere protezionistiche compromettano un motore strategico del Made in Italy.

Giacomo Ponti
Giacomo Ponti

Preoccupazioni anche negli Stati Uniti

Il presidente del Distilled Spirits Council USA, Chris Swonger, ha ricordato che il settore degli spirits ha beneficiato per decenni di tariffe nulle reciproche e che ora rischia di diventare una vittima collaterale delle tensioni commerciali.

Secondo Swonger e spiritsEurope, queste politiche espongono gli alcolici americani, come il bourbon, a ritorsioni e mettono a rischio posti di lavoro negli USA, soprattutto nei settori della distribuzione e dell’hospitality legati alle importazioni europee.

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