TESTI TRATTI DA ASSOBIRRA
Pubblicati sul sito www.assobirra.it e sul report annuale 2010
SOMMARIO: Cereali (soprattutto orzo) germinati in acqua e poi essiccati o torrefatti, lievito, qualità diverse di luppolo e persino di acqua: niente di più sano e naturale della birra, prodotta ancora oggi come accade ormai da diversi millenni, nel rispetto di un procedimento che somiglia a un rito. Se l’orzo è stato il primo cereale coltivato da un popolo non più nomade, la storia della birra prende avvio con la nascita della civiltà. Da allora sono molte le tappe che hanno segnato la vita di questa bevanda che è (dal latino “bibere”) da sempre sinonimo di bere. La birra è, poi, tra le bevande che fanno bene al corpo e anche allo spirito, la più antica. Per risalire alle sue origini, occorre fare un passo indietro di parecchi millenni. A quando legumi e cereali erano alla base dell’alimentazione quotidiana. E l’orzo è stato certamente il primo cereale coltivato, quello che ha accompagnato il passaggio di molti popoli dal nomadismo alla fondazione di villaggi e città.
Riferimento temporale: agosto 2011
UNA BEVANDA MILLEANARIA CHE VIENE DAL MEDITERRANEO
La prima descrizione documentata di una ricetta per produrre birra risale al 4.000 a.C.: furono i Sumeri a cimentarsi per primi nell’arte di produrre una bevanda alcolica assimilabile alla birra. Dalla Mesopotamia la produzione si estese in Egitto, per poi attraversare il Mediterraneo e arrivare nella Grecia antica, dove venne eletta bevanda ufficiale dei Giochi Olimpici in quanto fresca, dissetante e poco inebriante. Nella penisola italica è conosciuta già dagli Etruschi, dopodiché entra nella Roma antica dove si diffonde soprattutto negli ambienti più popolari. Dunque la birra è storicamente una bevanda tanto mediterranea quanto “nordica”. Anche se, per ragioni climatiche (le basse temperature ambientali sono più adatte alle esigenze del lievito di birra), si delinea una progressiva specializzazione fra il Sud (vino) e il Nord Europa (birra).
Per tutto il medioevo la birra migliore viene dai conventi.
I monaci coltivano l’orzo, producono birra e annotano ogni osservazione su fermentazione, materie prime e qualità del prodotto finito. Alla fine del Medioevo il legame fra birra e conventi si allenta, ma con l’estendersi del numero di produttori, molti lamentano anche una diminuzione della qualità. Per questo, nel 1516, il duca di Baviera Guglielmo IV emana il “Reinheitsgebot” (Editto sulla purezza), nel quale si stabilisce che per produrre la birra si possono utilizzare solo malto d’orzo, acqua e luppolo. Non sembri, la prassi della legislazione pubblica sulla birra, una stranezza: la produzione di questa bevanda è sempre stata regolamentata, e tassata, dalle autorità civili che – ieri come oggi – hanno visto nel settore una notevole fonte di entrate.
La birra ha seguito l’espansione della civiltà in ogni angolo del mondo.
Nel tempo la tecnica produttiva è rimasta sostanzialmente invariata. Con un’eccezione, introdotta nel 1842 da Josef Groll che, nella cittadina boema di Pils, sperimentò con successo il metodo della bassa fermentazione. Nasceva la birra bionda dal colore brillante e limpido, profumata di frutta e luppolo, dal gusto leggero e amarognolo: detta “pilsner”, è oggi, insieme alla “lager”, sinonimo di birra chiara in tutto il mondo. Nel 1883, infine, Emil Hansen isolò nei laboratori danesi della Carlsberg il ceppo di lieviti tipico della bassa fermentazione, il saccharomyces carlsbergensis (detto anche uvarum). La via alla moderna produzione della birra era definitivamente aperta.
In Italia una tradizione millenaria per un’industria all’avanguardia.
L’Italia vanta una tradizione birraria millenaria anche se, fino all’era moderna, si è prodotta poca birra per pochi estimatori e lo si è fatto soprattutto al nord, perché oltre a luppolo, malto d’orzo e acqua occorrono due altri ingredienti indispensabili: aria pura e freddo. Nella seconda metà dell’Ottocento prende piede una vasta e strutturata industria della birra, basata sul freddo artificiale e sulla nuova tecnologia di produzione di birre chiare a bassa fermentazione. Le prime fabbriche nascono per iniziativa di imprenditori d’Oltralpe (Dreher, Wührer, Paskowski, Metzger, Von Wünster, ecc.), cui fanno presto seguito commercianti italiani, per lo più di ghiaccio, che vedono nella birra il naturale completamento della propria attività. Nascono così alcune importanti realtà: nel 1845 la Peroni, fondata a Vigevano da Francesco Peroni (ma presto trapiantata a Roma dove, nel 1905, nasce la “Società Ghiaccio e Birra Peroni”); l’anno seguente la Menabrea, a Biella; nel 1857 la Forst, a Lagundo (Bolzano); nel 1859 la “Fabbrica di Birra e Ghiaccio Moretti”, a Udine. Alla fine del secolo ha inizio uno sviluppo che è arrivato ad oggi.
L’ingresso dei grandi gruppi birrari mondiali.
Negli ultimi decenni la crescita del mercato italiano ha attirato l’interesse dei grandi gruppi mondiali (Heineken, SABMiller, AB-InBev, Carlsberg), favorendo l’ingresso di capitale straniero, con acquisizioni che hanno riguardato la maggioranza o consistenti pacchetti azionari di diversi marchi. Investimenti che hanno contribuito all’ulteriore sviluppo e razionalizzazione degli asset produttivi, assicurando continuità alla storia di marchi prestigiosi e migliorando fortemente la produttività. Accanto ai grandi produttori si è sempre più affermata, negli ultimi anni, la realtà delle birrerie artigianali, che si distinguono per la rielaborazione ”all’italiana” di alcuni stili birrari bevuti nel mondo da secoli.
POCHI SEMPLICI INGREDIENTI PER UN PRODOTTO NATURALE
Acqua.
Cereali.
Sono l’elemento base per la produzione della birra. Il più utilizzato è l’orzo, graminacea originaria dell’Asia occidentale, anche se non l’unico (vengono impiegati pure frumento, riso, segale e mais). Da esso si ricava il malto d’orzo, sostanza base ottenuta dalla prima lavorazione di questo cereale.
Lievito.
Sono microscopici funghi unicellulari, ricchi di vitamine ed enzimi, che trasformano gli zuccheri in alcol e anidride carbonica. Appartengono a due famiglie principali: saccharomyces carlsbergensis o uvarum, usato per birre a bassa fermentazione, e saccharomyces cerevisiae, per quelle ad alta fermentazione.
Luppolo.
È una grande pianta rampicante, i cui fiori femminili contengono la luppolina, sostanza aromatica e resinosa che conferisce alla birra il caratteristico gusto amaro. I componenti più importanti del luppolo sono i tannini, gli oli e gli acidi amari, ottimi antisettici e conservanti. Le modalità di produzione della birra prevedono due grandi tipologie: le birre ad alta fermentazione e quelle a bassa fermentazione. Questi due processi, e quindi il tipo di birra ottenuta, sono determinati dalle caratteristiche del lievito impiegato, che agisce a diverse temperature.
L’ALTA FERMENTAZIONE: è sviluppata dal ceppo fungino saccharomyces cerevisiae, che svolge il proprio ruolo fra i 16 e i 23° C. Durante il processo di fermentazione, questi lieviti salgono in superficie, trasformando lo zucchero in alcol e producendo anidride carbonica. L’alta fermentazione è il metodo più antico e dà origine a birre corpose, dal gusto intenso e aromatico, tipicamente inglesi, raggruppate fra le Ale.
LA BASSA FERMENTAZIONE: è sviluppata dal ceppo fungino saccharomyces carlsbergensis o uvarum, che si attiva fra 5 e 8° C. I lieviti lavorano in recipienti chiusi (lager) depositandosi sul fondo, in modo che l’anidride carbonica rimanga nella birra. Questo metodo, diffusosi con lo sviluppo del controllo delle temperature, permette di produrre birre dal gusto leggero e fragrante.
UN PIACEVOLE COMPLEMENTO DI UN’ALIMENTAZIONE SANA E GUSTOSA
Leggera e con poche calorie.
Un bicchiere di birra chiara (la più bevuta al mondo e in Italia) conta 68 calorie, quasi come un succo di arancia (66), meno di quelle di un calice di vino rosso (94) e di un soft drink (129). Dunque, accompagnata a uno stile di consumo (e di vita) equilibrato, la birra non fa ingrassare.
Al ridotto contenuto di alcol.
Con il suo oltre 90% di acqua, la birra è, nelle versioni di gran lunga più diffuse, la bevanda alcolica fermentata con il minor quantitativo di alcol. Ciò la rende adatta anche a pranzi di lavoro, pasti leggeri, spuntini veloci, come un panino e l’insalata. E – contrariamente a quanto molti continuano a credere – non gonfia neppure. Ciò che infatti gonfia è l’anidride carbonica che, nella birra versata correttamente, rimane imprigionata nella schiuma.
Gustosa e frizzante.
La birra ha un gusto intrigante e rinfrescante; ed è “golosa”, perché proprio nella deglutizione risaltano le sue caratteristiche: il corpo di lieve impronta, l’inconfondibile gusto amaricante, le sensazioni gustative e tattili delicate e universali. Come dicono gli esperti, “il suo è tra i pochi amari che, come cioccolato e caffè, piacciono agli italiani”.
Versatile.
Nelle sue quasi infinite varianti, la birra può essere abbinata con qualsiasi piatto, o meglio ingrediente di cui questo è composto; compresi alcuni per i quali l’accoppiamento con le altre bevande alcoliche risulta problematico: dalle pietanze cucinate in frittura a un ingrediente “ostico” come il carciofo, fino al cioccolato.
LE 7 “REGOLE D’ORO” DEL SERVIZIO
Schiuma: alta due dita e ben compatta.
Spillatura: due fasi (e vari metodi).
Il termine “spillatura” indica il servizio della birra in bicchiere, tanto alla spina quanto dalla bottiglia. La birra va spillata rispettando due velocità: prima lentamente, tenendo il bicchiere leggermente inclinato fino a riempirlo per tre quarti; poi, dopo averlo raddrizzato, più velocemente, in modo da far sviluppare la giusta quantità di schiuma.
Bicchiere: ci vuole quello giusto.
Ogni stile di birra ha il bicchiere appropriato – rigorosamente di vetro – che permette di evidenziarne il gusto e l’aroma aiutando, anche, la formazione della giusta schiuma. Qualche esempio: per le birre ad alto contenuto alcolico come le Belgian Ale o le birre d’Abbazia, occorre un bicchiere a calice; le Ale e le birre anglosassoni ottengono il meglio dalla classica pinta (contenente 0,568 litri raso bordo); le Blanche, e in genere le birre speziate di stile belga, vengono servite in bicchieri ampi.
Vetro: sempre pulito e possibilmente bagnato.
Il vetro del bicchiere dev’essere ben pulito ma senza tracce di detergente e brillantante che impediscono la corretta formazione della schiuma. Prima dell’uso è consigliabile bagnarlo con acqua fredda, per eliminare eventuale polvere e avvicinare la temperatura del vetro a quella della birra. Un’avvertenza: non confondere la schiuma con le bollicine. Per la birra, a differenza dello champagne, la presenza di persistenti bollicine indica solo l’eccessivo contenuto di anidride carbonica.
Temperatura: in genere bassa, ma mai ghiacciata.
Ogni stile ha la propria corretta temperatura di servizio. Su questo tema vige una regola generale: più una birra è corposa e alcolica, più aumenta la temperatura alla quale va bevuta. Il “birraio” in genere consiglia sull’etichetta la migliore temperatura di servizio.
La giovinezza, per un sapore pieno.
La birra va consumata “giovane”. Come tutti prodotti “vivi” più fresca è, più mantiene integri profumo e gusto. Per assaporarla al meglio affidatevi alle indicazioni riportate in etichetta. Fanno eccezione alla regola pochissime birre, dette appunto “da invecchiamento”, in genere ad alta fermentazione, di elevata alcolicità e con robusta luppolatura.
Conservazione: in luogo fresco e al riparo della luce.
La birra risente degli sbalzi di temperatura e degli effetti negativi della luce e dell’ossigeno. Il luogo migliore di conservazione è perciò un posto fresco e al tempo stesso asciutto, nel quale le bottiglie siano tenute al riparo dalla luce e in posizione verticale (ciò se hanno il tappo a corona).
PER LE TIPOLOGIE E GLI STILI BIRRAI SI RIMANDA ALLA GUIDAONLINE BIRRE&BIRRE Download gratuito da: www.beverfood.com/downloads/guidaonline-birre-birre/