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Indicazioni descrittive di sintesi tratte da
ANNUAL REPORT ASSOBIRRA 2009
Il documento integrale con testi bilingui (italiano e inglese) e relative tabelle, per un totale di 68 pp, può essere scaricato da www.assobirra.it/press/wp-content/ar-assobirra-2009.pdf

SOMMARIO: Se il 2008 era stato per il settore birrario italiano un anno difficile, con una diminuzione tanto della produzione quanto dei consumi parzialmente controbilanciata dall’aumento dell’export, il 2009 è proseguito – accelerando – nella stessa direzione: il prolungarsi della crisi economica, nazionale e internazionale, ha esercitato un impatto fortemente negativo sul settore; al tempo stesso, però, questo ha confermato la propria vitalità sui mercati stranieri e – soprattutto – la propria forte valenza economica e sociale. Un patrimonio da salvaguardare nell’interesse non solo degli operatori ma dell’intero Paese. È questo il quadro che emerge dall’Annual Report AssoBirra 2009, la pubblicazione che dà conto ogni anno dell’andamento del settore birrario in Italia nonché nei principali mercati internazionali.

Riferimento temporale: luglio 2010

INTRODUZIONE
(a cura di Piero Perron Presidente AssoBirra)

Piero Peron Presidente AssobirraNel 2009 la produzione di birra in Italia si è attestata a 12 milioni 780 mila ettolitri, contro i 13 milioni 340 mila del 2008: poco più di mezzo milione di ettolitri in meno, equivalenti a una diminuzione del -4,2%. Ancora più forte il calo dei consumi, che nel 2009 sono stati pari a 16 milioni 855 mila ettolitri, quasi un milione in meno rispetto ai 17 milioni 836 mila del 2008 (-5,5%), equivalenti ad un consumo pro capite di 28 litri, contro i 29,4 registrati nel 2008 e i 31,1 del 2007. In soli tre anni, dunque, i consumi di birra sono caduti in Italia del 9%. E se, nello stesso periodo,la produzione nazionale è scesa “soltanto” del 5%, ciò si deve al fatto che, oltre a continuare a presidiare con forza il mercato domestico (la birra prodotta in Italia rappresenta circa i due terzi del totale consumato nel nostro Paese), il settore birrario nazionale ha saputo sempre più proiettarsi sul mercato mondiale: nel 2008 l’export aveva per la prima volta superato il milione e mezzo di ettolitri, registrando un aumento del 40% rispetto al 2007; l’anno scorso il trend è proseguito, fino a segnare 1 milione 743 mila ettolitri esportati (+15% sul 2008).

Sicuramente una buona notizia, considerato l’indubbio rilievo del settore birrario per l’economia italiana: oltre 300 impianti produttivi che danno lavoro direttamente a 4 mila persone, alle quali se ne aggiungono ben 130 mila occupate nel cosiddetto “indotto allargato”; quasi un miliardo di euro annui di valore aggiunto generato negli altri comparti dell’economia nazionale (a cominciare da quello agricolo); un contributo complessivo allo Stato quantificabile in oltre 4 miliardi di euro all’anno, di cui 446 milioni derivanti dalle accise praticate sulla birra. Per il resto, nei primi mesi del 2010 assistiamo ad una parziale inversione di tendenza rispetto al netto calo dei consumi registrato nel 2009, corrispondente ad un modesto +1,73%; probabilmente, però, essa è in gran parte dovuta alla ricostituzione delle scorte di magazzino.

Di fronte all’accelerazione delle manovre di rientro dal deficit e/o dal debito pubblico adottate in tutte le maggiori economie avanzate, italiana compresa, rimane viva nel nostro Paese la tentazione di cercare nuove risorse finanziarie proprio ai danni del settore birrario, aumentando ulteriormente le imposte su consumi e produzione. Tale rischio si è concretizzato nelle ultime settimane presso la Camera dei Deputati con il voto all’unanimità di un provvedimento riguardante un tema socialmente rilevante, quale quello dell’assistenza dei familiari dei disabili, che prevede a copertura l’aumento dell’accisa sulla birra. Pur condividendo pienamente le finalità sociali dell’iniziativa parlamentare, confidiamo che il Senato possa in seconda lettura modificarne la copertura finanziaria. Già oggi, infatti, la tassazione della birra in Italia è assestata su livelli fra i più elevati dell’Europa continentale, con valori – ad esempio – tripli rispetto a Spagna e Germania e doppi rispetto alla Francia. E nel solo biennio 2004-2006 l’imposta è stata innalzata di oltre l’80% (l’accisa è anche gravata di Iva), arrivando a pesare fino ad un terzo sul prezzo di vendita finale e favorendo flussi di importazione in evasione d’imposta da Paesi limitrofi, in concorrenza sleale rispetto ai produttori nazionali.

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Se effettivamente attuato, l’ulteriore innalzamento delle accise avrebbe il più che probabile effetto di “soffocare nella culla” quella minima ripresa del settore manifestatasi in questi primi mesi generando inflazione e facendo diminuire i consumi e – dunque – la produzione. E non otterrebbe neppure l’obiettivo di ridurre i comportamenti “a rischio” della popolazione in materia di consumo di alcol. Studi internazionali sull’argomento dimostrano ampiamente come l’incremento della tassazione sugli alcolici non modifichi il comportamento dei consumatori a rischio – che si
spostano su bevande a più buon mercato e di minore qualità – danneggiando, invece, la ben più ampia fascia di consumatori moderati. Se poi si esamina il caso italiano, non possono non farsi due ulteriori considerazioni: l’accisa non tocca il vino, bevanda che rappresenta ben oltre la metà dei consumi nazionali pro capite di alcol puro; questi stessi consumi sono in costante diminuzione da trent’anni (dai 13 litri del 1980 ai 6 del 2009). Il fatto che, a fronte di una consolidata tendenza storica, aumentino i comportamenti a rischio di limitate fasce di popolazione (giovani, guidatori, ecc.), vuol dire che le politiche di riduzione generalizzata dei consumi per l’intera popolazione non funzionano, perché non riducono il danno alcol correlato, il vero obiettivo condiviso anche dai produttori birrari.

Il settore birrario si batte da anni per sostenere un consumo responsabile, ricevendo in ciò il positivo riscontro tanto delle istituzioni quanto dei cittadini italiani. Su questo fronte, il 2009 e l’anno in corso vedono AssoBirra impegnata in iniziative di grande rilievo, di cui si dà conto nelle pagine seguenti, volte a promuovere un approccio al consumo all’insegna della responsabilità, autoregolazione e moderazione. In conclusione, il settore birrario italiano e l’Associazione che lo rappresenta faranno la propria parte per garantire l’ulteriore sviluppo del settore, consapevoli che esso possa e debba andare di pari passo con la promozione dell’interesse collettivo. Auspichiamo che la stessa consapevolezza sia mostrata da coloro che hanno la responsabilità – oggi più che mai difficile – di governare il Paese.

IL SETTORE BIRRARIO IN ITALIA: UNA GRANDE RICCHEZZA PER IL PAESE

Il settore birrario italiano è una ricchezza economica e sociale del nostro Paese:
• oltre 300 fra stabilimenti industriali (14, di cui 6 nel Centro-Sud) e microbirrifici artigianali (circa 300);
• 134 mila posti di lavoro fra produzione (4 mila persone), impiegati nella filiera produttiva e nella fornitura di beni e servizi, vendita e promozione, ristorazione e ricettività;
• quasi 12,8 milioni di ettolitri di birra prodotta nel 2009 (di cui oltre il 13,5% esportati), equivalenti ai due terzi del consumo interno;
• circa 1.500 marchi di birra prodotti e distribuiti in Italia, quasi il doppio rispetto al 2005;
• quasi 60 mila tonnellate di malto, interamente assorbite dall’industria italiana;
• quasi 1 miliardo di euro annui investiti in Italia per l’approvvigionamento di beni e servizi;
• oltre 4 miliardi di euro di entrate allo Stato derivanti da produzione e commercializzazione: Iva (1.622 milioni); accise (446); tasse e contributi sociali di aziende e impiegati (62); tasse pagate dagli altri settori coinvolti a vario titolo (1.886).

Riguardo al miliardo circa di euro (per l’esattezza 983 milioni) speso in Italia dal settore birrario nazionale per l’acquisto di beni e servizi (fonte: Rapporto Ernst & Young 2009), i comparti nazionali che più ne beneficiano sono:
• packaging (366 milioni di euro). L’industria della birra è uno dei maggiori clienti dell’industria
italiana del vetro e dell’alluminio;
• servizi (163 milioni);
• media e marketing (135 milioni);
• trasporti (113 milioni);
• agricoltura (104 milioni).

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Al riguardo va segnalato che le due malterie operanti in Italia (entrambe nel Centro-Sud) lavorano tutto l’orzo da birra coltivato in Italia; ciò nonostante, la produzione nazionale di malto d’orzo copre soltanto la metà del fabbisogno dei birrai. Questi ultimi, inoltre, utilizzano rilevanti quantità di granturco di produzione nazionale. Complessivamente, gli oltre 100 milioni di euro destinati dalla birra italiana all’agricoltura nazionale rappresentano il 60% della spesa complessiva per l’approvvigionamento delle materie prime necessarie alla fabbricazione della birra: più del doppio rispetto alla media europea.

Della vasta a variegata realtà birraria italiana AssoBirra, l’Associazione degli Industriali della Birra e del Malto, rappresenta oggi oltre il 98 per cento. E svolge il proprio ruolo di rappresentanza tanto in Italia (aderisce a Federalimentare e a Confindustria) quanto all’estero: AssoBirra fa parte di BoE (The Brewers of Europe), Euromalt ed EBC (European Brewery Convention). In tema di rappresentanza, è da sottolineare il forte e costante aumento del numero dei produttori artigianali italiani che fanno oggi parte dell’Associazione accanto a quelli industriali. Cominciato nel 2008, a seguito della decisione assunta in quell’anno dall’Assemblea dei Soci di creare le condizioni per dar vita ad “un’unica casa dei produttori di birra italiani”, il processo è tuttora in corso. Sono al momento 24 gli associati ad AssoBirra: Birra Castello; Birra Forst; Birra Menabrea; Birra Peroni; Carlsberg Italia; Hausbrandt Trieste; Heineken Italia; In.Bev. Italia; 32 Via dei Birrai; Atlas Coelestis; Az. Agricola Monastero di San Biagio; Birradamare; Birra Bryton; Birra del Borgo; Birrificio Baladin; Birrificio Lodigiano; Birrificio Troll; Birrificio Turbacci; Conte di Campiglia; La Compagnia della Birra; La Petrognola; Maltovivo; Maltus Faber; SB-Birrificio Bacherotti.

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UN ANNO PARTICOLARMENTE DIFFICILE

Il 2009 è stato per il settore birrario italiano un anno particolarmente difficile, con l’accentuarsi del trend sfavorevole dei consumi e della produzione già registrato nel 2008, primo anno negativo dopo una sequenza di annate invece favorevoli. In termini assoluti, gli impianti ubicati sul territorio nazionale (circa 300 fra stabilimenti industriali e birrerie artigianali) hanno prodotto complessivamente 12.776.000 ettolitri di birra, di cui 1.743.000 esportati, a fronte di consumi interni pari a 16.855.000 ettolitri, corrispondenti a 28 litri pro capite. In valori percentuali, dunque, la produzione nazionale (totale meno export) ha soddisfatto il 65,5% del fabbisogno interno, con il restante 35,5%, pari a 5.822.000 ettolitri, importato. In termini comparativi, tutti i valori sopra indicati sono inferiori ai corrispondenti del 2008, ad eccezione di quelli riferiti all’export, ulteriormente cresciuto, e all’import, rimasto sostanzialmente stabile. Ugualmente preceduto dal segno “meno” il trend della produzione italiana di malto, interamente destinata alla produzione nazionale di birra: nel 2009 essa si è fermata a 589.138 quintali, -13,5% rispetto ai 681.160 q.li del 2008.

Tornando alla birra, sensibile risulta il calo della produzione, pari al -4,2% rispetto ai 13.343.000 ettolitri del 2008 che già avevano segnato un -0,9% sul 2007. Nei ultimi due anni, dunque, la produzione italiana è diminuita di quasi 700 mila ettolitri, con un arretramento del -5,1%. Ancora peggiore l’andamento dei consumi, fermatisi a 16.885.000 ettolitri, pari al -5.5% rispetto ai 17.836.000 ettolitri del 2008 e al -9% rispetto ai 18.513.000 del 2007, che aveva segnato il “massimo storico” del consumo in Italia. In valori pro capite, il consumo 2009 è stato di appena 28 litri, rispetto ai 29,4 del 2008 e ai 31,1 del 2007, con una diminuzione del -10% in soli due anni. Per trovare un’annata più insoddisfacente occorre risalire al secolo (e millennio) scorso, esattamente al 1999 quando il consumo pro capite di birra in Italia era stato di 27,1 litri…….

Di maggiore conforto, in un panorama intonato a forte preoccupazione, è la differenza (già riscontrata l’anno scorso) fra la variazione percentuale negativa della produzione e quella dei consumi: -4,2% vs -5,5% fra il 2009 e il 2008; -5,1% vs -9% fra il 2009 e il 2007. Il fatto che la produzione scenda meno dei consumi indica, da una parte, il perdurante “presidio” del mercato interno da parte della produzione nazionale: 66,9% di quota di mercato nel 2007, 66,4% nel
2008 e – come detto – 65,5% nel 2009. Dall’altra testimonia il consolidarsi della proiezione internazionale del “made in Italy birrario”: dopo un 2007 in cui l’export aveva per la prima volta superato la soglia del milione di ettolitri, e un 2008 con oltre un milione e mezzo di ettolitri commercializzati oltre frontiera (+40,7% sul 2007), nel 2009 l’esportazione di birra prodotta in Italia ha toccato 1.743.000 ettolitri (+16% rispetto al 2008), di cui oltre un terzo destinati a Paesi anglofoni con alta tradizione birraria (Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia e Sudafrica).

Al tempo stesso le importazioni hanno subito un lieve decremento (-2,9%), scendendo a 5.822.000 ettolitri, valore che conferma – peraltro – l’Italia come il maggiore importatore europeo di birra: proveniente in prevalenza dalla Germania (55% del totale importato), seguita da Paesi Bassi (12%), Danimarca (6%) e Belgio (5,4%). Il combinato disposto dei due andamenti (più export e meno import) ha portato ad una riduzione rispetto al 2008 della negatività del saldo commerciale, comunque ancora attestato a oltre 4 milioni di ettolitri (-4.079.000). Nel complesso, lo scenario appena delineato mostra molte ombre e poche (o pochissime) luci, specie se inserito in un contesto internazionale i cui dati, seppure ancora parziali, denotano una situazione di flessione generale. In particolare, nei Paesi dell’Unione Europea si registra una sostanziale tendenza al ribasso, più o meno accentuato, tanto nella produzione quanto nei consumi. Ciò fa sì che, sul primo fronte, l’Italia si ponga al decimo posto nella classifica dei Paesi produttori, davanti anche a realtà tradizionalmente associate al “prodotto birra” quali Austria, Danimarca e Irlanda.

Riguardo ai consumi, tutti i Paesi europei, dei quali si conoscono ad oggi i dati, hanno fatto registrare diminuzioni, a volte consistenti come nel caso – per limitarsi a quelli a più forte consumo – di Irlanda (-8,1% rispetto al 2008), Gran Bretagna (-10%) e Polonia (-8,6%). Ciò non ha però impedito all’Italia di “riconquistare” il tradizionale ultimo posto nella graduatoria europea dei consumi, ex aequo con la Francia (anch’essa a 28 litri pro capite) che, per la prima volta, nel 2008 era stata sopravanzata (29,6 contro 29 litri). Resta infine sostanzialmente immutato il forte divario che separa l’Italia dai Paesi del Nord e Centro Europa (ma anche dalla Spagna), nei quali il consumo è dalle tre alle cinque volte superiore; mentre la media UE rimane di circa 2 volte e mezzo quella italiana.

Se questo è lo scenario, il settore birrario italiano – e per esso AssoBirra – chiede alle istituzioni, specie a quelle nazionali, di poter competere “ad armi pari” con i produttori degli altri Paesi. Ciò significa, prima di tutto, non essere gravato ulteriormente da una tassazione che è oggi ai livelli fra i più elevati dell’Europa Continentale dopo che, nel biennio 2004-2006, l’imposta è stata innalzata di oltre l’80% (l’accisa è anche gravata di Iva), arrivando a pesare fino al 25-30% sul prezzo di vendita finale. Ad ottobre 2009 le accise medie per ettolitro di birra erano pari, in Italia, a 28,2 euro rispetto – ad esempio – ai 9,4 della Germania, ai 10 della Spagna, ai 12,7 della Francia, ai 11,7 della Repubblica Ceca, ai 16,9 del Portogallo e ai 20,5 del Belgio (e anche – occorre aggiungere – agli zero euro di accise praticati sul vino tanto nel nostro quanto nella maggior parte dei Paesi dell’Europa centro-meridionale). Il forte differenziale fiscale fra l’Italia e numerosi (e importanti) Paesi europei favorisce importazioni in evasione d’imposta e genera, non di rado, comportamenti elusivi dell’accisa, favoriti dalla scomparsa delle barriere doganali all’interno dell’Unione Europea. Più in generale, l’industria nazionale continua a risentire della competizione sleale di alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale, fondata su norme nazionali poco rigorose in merito alla denominazione del prodotto, con la conseguenza che lì è possibile produrre ed esportare in Italia, a prezzi fortemente competitivi e con la denominazione di “birra”, qualcosa che qui non sarebbe considerato tale. Per fortuna – in realtà grazie a una politica tenacemente perseguita dal settore negli anni – l’attenzione alla qualità della birra e all’universo che intorno ad essa ruota in termini di consumo responsabile, di servizio, in una parola di “cultura”, è sempre più sviluppata nel consumatore. Su questa strada il settore birrario nazionale proseguirà con forza negli anni futuri, convinto che essa – purché siano garantite le condizioni di “pari opportunità” sopra ricordate – possa portare al superamento delle attuali difficoltà, con beneficio per l’intera economia nazionale.

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Il documento integrale con testi bilingui (italiano e inglese) e relative tabelle, per un totale di 68 pagine, può essere scaricato da www.assobirra.it/press/wp-content/ar-assobirra-2009.pdf
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AssoBirra: Viale di Val Fiorita, 90 – 00144 Roma – Tel: 06 96 044 005 – Fax: 06 96 044 010
assobirra@assobirra.itwww.assobirra.it Presidente di Assobirra è Piero Perron; vicepresidenti sono Alfonso Bosch e Franco Thedy – Direttore è Filippo Terzaghi, mentre Andrea Bagnolini è Vice Direttore

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